Introduzione – In questa fase di profonda crisi del sistema politico, economico e sociale, in cui tutti i settori lamentano carenza di risorse, e tutti sono alla ricerca di soluzioni e probabilmente “rivoluzioni” negli assetti valoriali, organizzativi ed istituzionali, si impone un’attenzione particolare per il settore dell’istruzione. Da oltre un ventennio il sistema educativo italiano risulta sottoposto a tentativi continui di riforma che stanno diventando sempre più invasivi e cogenti. Al di là degli obiettivi dichiarati e delle affermazioni di principio contenute nei documenti politici nazionali e internazionali, vale la pena tentare un’analisi a consuntivo delle principali dimensioni che caratterizzano i sistemi educativi, guardando all’evoluzione dell’Italia dal 1970 ad oggi, in rapporto agli altri paesi con cui il confronto appare più appropriato.
A questo scopo si è provveduto a considerare i dati sui sistemi di istruzione, disponibili presso la Banca Mondiale nella banca-dati Education Statistics. La Banca Mondiale ha recentemente rilasciato una versione beta di una banca dati contenente tutti gli indicatori prodotti dai maggiori istituti di statistica internazionali (http://databank.worldbank.org/ddp/home.do). L’iniziativa della Banca Mondiale risulta veramente meritoria, soprattutto in vista delle difficoltà crescenti che si incontrano, specie nel nostro paese, a recuperare serie storiche relative ai fenomeni di maggiore rilevanza per i sistemi educativi, dopo il passaggio delle competenze dall’Istat al Miur. La facilità con la quale è possibile recuperare dati di estremo interesse presso il sito citato fa impallidire, al confronto, i più autorevoli istituti di statistica, e indica una via per il futuro, nella diffusione delle informazioni statistiche.
Ai fini della redazione di queste note si è provveduto a scaricare dalla banca citata una serie di indicatori, che saranno descritti brevemente di seguito, per l’universo costituito dai “più ricchi paesi OECD” secondo la definizione contenuta nella banca dati (31 paesi tra cui ovviamente l’Italia; St. Kitts and Nevis è stato escluso per la irrilevanza e la carenza di dati per tale stato). I dati estratti riguardano gli anni dal 1971 al 2010: quindi un arco temporale di 40 anni. Per ogni indicatore si è provveduto a calcolare i percentili di ordine 10%, 25%, 50%, 75% e 90% e a rappresentarli graficamente, così da ottenere qualcosa che assomiglia alle curve di crescita del peso, che spesso vengono usate per monitorare la crescita degli organismi (tra cui gli esseri umani). Rispetto a tali curve di crescita, che individuano degli intervalli di normalità e di eccezionalità, si è provveduto a rappresentare l’Italia e la Korea. La scelta di quest’ultima è motivata da vari fattori: i sorprendenti tassi di sviluppo economico, le ottime performance che questo paese ha fatto da sempre registrare nelle indagini internazionali sugli apprendimenti, l’importanza etica e sociale profonda che l’istruzione ed i risultati individuali in termini di conoscenze effettive e non di mero titolo di studio cartaceo, hanno in questo paese, come in molti altri paesi asiatici (http://www.economist.com/node/21541713). Quasi che certi valori profondi (“haec ornamenta mea”; Cornelia, 154 a.C.), sopravvivessero adesso in altra parte del mondo!
Gli indicatori presi in considerazione sono descritti di seguito, raggruppati per temi così come saranno commentati in questo articolo:
1. Qualificazione della forza lavoro
2. Risultati di apprendimento di matematica
3. Tassi di accesso ai diversi gradi di istruzione
4. Rapporto studenti/docenti nei vari gradi di istruzione
Per ciascuno degli indicatori considerati sono stati costruiti dei grafici: le linee gialle corrispondono ai percentili di ordine 10% e 90%, quelle verdi ai percentili di ordine 25% e 75%, mentre la linea blu rappresenta la mediana. I punti rossi individuano l’Italia, quelli viola la Korea. La definizione di istruzione Primaria, Secondaria e Terziaria è quella della Banca Mondiale e a questa si rinvia il lettore per opportuni chiarimenti. Si utilizzano le stesse definizioni contenute nella banca dati della Banca Mondiale per consentire al lettore di ricostruire da solo il percorso. Non è qui possibile riportare i grafici che saranno commentati. Il lettore può tuttavia facilmente ricostruirli da solo o richiederli agli autori. Oppure può scaricare il file ppt contenente i grafici dal sito http://www.academia.edu/2604870/Figure_per_Haec_ornamenta_mea_.
1. Qualificazione della forza lavoro − Un primo importante indicatore per valutare lo stato di un paese è costituito dal grado di istruzione raggiunto dalla sua forza lavoro. È ovviamente un indicatore che non si riferisce ad un singolo anno, bensì evidenzia come il capitale umano si sia accumulato nel corso del tempo. La situazione dell’Italia in rapporto ai “più ricchi paesi OCSE”, è ben sintetizzata dai tre indicatori prescelti: il nostro paese si trova ai primi posti, da oltre 20 anni, per la quota di forza lavoro che detiene solo un titolo di studio di istruzione primaria. Nel corso del ventennio 1991-2010 tale quota è passata da oltre 55% al 37%, che è poco al di sotto del livello della Korea di 20 anni fa. La Korea, nello stesso periodo di tempo, ha portato tale quota dal 45% al 25%!
Accanto al primato della più elevata quota di forza lavoro con basso livello di istruzione, l’Italia detiene oggi, e ormai da oltre 20 anni, quello di paese con la minore quota di forza lavoro con titolo di studio di istruzione terziaria: siamo oggi intorno al 17%, che di nuovo era il livello della Korea di 20 anni or sono, mentre oggi tale paese ha raggiunto la quota del 35%. Si deve qui osservare, in verità, che la Korea comincia ad avere qualche problema di rendimento privato dell’istruzione terziaria derivante da un eccesso di offerta di forza lavoro qualificata (http://www.economist.com/node/21541713), per cui molto probabilmente i livelli koreani risultano forse eccessivi, anche se sicuramente sono stati uno dei fattori di successo di quell’economia. All’opposto, un recente studio sui rendimenti privati dell’istruzione terziaria nell’OCSE (http://dx.doi.org/10.1787/031008650733) evidenzia come in Italia questo sia pari all’8%, superiore a quello di molti altri paesi.
Una delle ragioni di tale elevato livello è proprio il vantaggio occupazionale dei laureati italiani rispetto ai diplomati. Il lato negativo della medaglia è che è forse proprio la bassa percentuale di forza lavoro con istruzione terziaria, e quindi un basso livello di offerta in rapporto alla domanda (più che una maggiore produttività), il fattore che sta tenendo alti i rendimenti: in pratica il mercato ci sta dicendo che vi sarebbe spazio per ulteriore forza lavoro con istruzione terziaria, ma il nostro sistema educativo non è in grado di produrla. È pertanto verosimile che in Italia, al contrario della Korea, vi sia spazio per un incremento della quota di forza lavoro con istruzione terziaria che, dalle figure, si potrebbe collocare attorno al valore mediano del 30% per l’ultimo anno disponibile: una cifra che rappresenta quasi il doppio dell’attuale livello. Qualcosa che forse si potrebbe raggiungere in pochi anni solo con politiche efficaci. Evidentemente, non quelle messe in atto fino ad oggi.
A fronte di questi fatti negativi uno positivo si può senz’altro evidenziare: la quota di forza lavoro con istruzione secondaria è giunta ad un livello paragonabile a quello mediano dei paesi dell’OCSE e costituisce quasi la metà della forza lavoro del paese (47%). Un livello di istruzione almeno medio è fondamentale per accrescere le capacità di riconversione della forza lavoro, specie in momenti di crisi come questi. Il problema però è: qual è il livello delle competenze-conoscenze dei diplomati secondari nel nostro paese? Purtroppo questo è un aspetto critico dell’istruzione italiana che affrontiamo sinteticamente nel prossimo paragrafo.
(1/4 − continua)