«ll grado di civiltà di un Paese si misura dal livello del suo sistema di istruzione e formazione»: è con questa secca considerazione che inizia l’Agenda Scuola di Mario Monti, presentata nei scorsi giorni e senza la quale non si spiega tutto quello che viene proposto in seguito. La prima proposta è, infatti, quella di «invertire la tendenza a disinvestire nella scuola (…) facendo gradualmente crescere gli investimenti in educazione ad un ritmo pari a quello della crescita del PIL». Si tratterebbe di investire, nel corso della legislatura, nuove risorse per circa 8 miliardi di euro: sul punto, come rilevato anche da un recente ed autorevole intervento su questo giornale, si potrebbe dire che manca una chiara indicazione di dove andare a reperire le risorse. E se questo è almeno in parte vero, bisogna considerare questo elemento come un pressoché costante “difetto” di questa campagna elettorale: d’altro canto, già il solo fatto di indicare chiaramente la necessità e l’urgenza di un rilancio, anche economico, dell’istruzione, ponendosi in rottura con i tagli indiscriminati e lineari del duo Tremonti-Gelmini, è un importante dato di cui tenere conto, che indica una direzione e una prospettiva nella quale ci si colloca.



Fatta questa premessa, l’Agenda Scuola dei montiani prosegue indicando quattro leve necessarie per cambiare la scuola.  La prima di esse si declina nel rilancio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, che devono essere poste nella condizione di sfruttare tutti quegli spazi (finora per la verità abbastanza ridotti) di flessibilità «per l’ampliamento dell’offerta formativa, per la personalizzazione dei percorsi e per dare stabilità ai processii di alternanza scuola-lavoro e di orientamento». Il tema delle risorse torna anche in merito ai centri di formazione professionale, con la proposta di istituire un apposito fondo nazionale, «che integri i fondi delle regioni, a presidio della qualità della formazione su tutto il territorio». Tra le altre proposte di questa “prima leva” ecco il sostegno alla costituzione delle reti di scuole, lo snellimento dell’iter burocratico per l’assegnazione del 5 per mille alle scuole e un miglior utilizzo dei fondi europei.



La seconda leva strategica mette al centro il tema della valutazione, intesa come strumento finalizzato a un obiettivo preciso: il miglioramento della qualità. Tra le proposte avanzate, una rendicontazione pubblica dei risultati delle singole istituzioni scolastiche e l’avvio della valutazione dei dirigenti scolastici.

Le nuove politiche per il personale della scuola occupano la terza leva, che si apre con una considerazione di fondamentale importanza: «la chiave per un sistema di istruzione di qualità sono insegnanti preparati e motivati e dirigenti con elevate competenze professionali». Da qui la proposta di considerare il docente come un professionista, attraverso un suo nuovo status giuridico. 



Per quanto riguarda la formazione iniziale degli insegnanti si propone «la messa a regime dei TFA, (…) mantenendo una netta distinzione tra il momento in cui si consegue l’abilitazione all’insegnamento e il momento in cui si entra nei ruoli del personale della scuola attraverso concorso pubblico». Sul punto sarebbe auspicabile anche che, oltre alla messa a regime, ci si proponga di correggere e rivedere quegli aspetti paradossali e tragicomici che hanno contraddistito quest’anno l’avvio del primo ciclo di tirocini.

Uno dei temi più scottanti ed attuali è sicuramente quello del reclutamento dei docenti: sul punto le proposte sembrano ad un tempo molto prudenti, consapevoli cioè dell’intricata situazione venutasi a creare nel corso degli anni, e al tempo stesso capaci di innovare (si pensi per esempio alla previsione di «progessioni di carriera» o alle «nuove modalità di reclutamento che lascino progressivamente spazio all’autonomia responsabile delle istituzioni scolastiche e la possibilità di concorsi per reti di scuola»).

Si vuole quindi «portare a soluzione la questione del precariato senza ledere i diritti acquisiti» ma senza dimenticare le nuove generazioni, «prevedendo un ingresso costante e regolare di giovani insegnanti nella scuola». Qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile trovare un punto di equilibrio tra situazioni contrapposte e tra di loro in conflitto: eppure mi sembra che sia proprio questo uno dei compiti della politica e di chi è chiamato a governare.

Nella quarta leva si propone di sostenere le famiglie, attraverso la deducibilità delle «spese certificate in istruzione, come le rette per le scuole paritarie ed i contributi versati per la scuola statale», sostenendo così una effettiva libertà di scelta educativa. Per rilanciare il diritto allo studio, infine, si suggerisce di «riconoscere il credito d’imposta per chi mette a disposizione borse di studio in favore degli studenti».

L’Agenda Scuola appare quindi come una proposta coraggiosa, dotata di una sua coerenza interna e, nel complesso, abbastanza strutturata: da un lato non si limita infatti ad una mera elencazione di facili slogan, dall’altro è da rilevare un apprezzabile tentativo di coniugare una buona dose di realismo con responsabilità e slancio riformatore. Un programma certo non facile da realizzare, sia perché costoso (e in questo senso è forse un bene, perché è sotto gli occhi di tutti quali siano gli effetti di riforme “a costo zero” nel campo dell’education…) sia perché dovrà vedersela contro i due più importanti fattori conservatori del nostro sistema: buona parte della burocrazia ministeriale e la quasi totalità delle rappresentanze sindacali.

PS. Mi sia permesso di concludere con un piccolo auspicio. Nel 1996 il futuro primo ministro inglese Tony Blair, rispose così alla domanda su quali sarebbero state le tre priorità di un suo eventuale governo: «Ask me my three main priorities for government and I tell you: education, education and education». (Leader’s speech, Blackpool 1996). Ecco, sarebbe davvero un segnale importante se il futuro Presidente del Consiglio del nostro Paese, a prescindere dal partito di provenienza, durante la conferenza stampa dell’insediamento dell’esecutivo potesse rispondere allo stesso modo.

Twitter @Francesco_Magni