L’ADi proporrà al futuro governo un’agenda per l’istruzione nel seminario internazionale Il tallone di Achille che si terrà a Bologna l’1 e 2 marzo. Il titolo è una metafora per indicare i punti più vulnerabili dell’istruzione italiana su cui è indispensabile intervenire: decentralizzazione e autonomia scolastica, istruzione e formazione tecnica e professionale, professione docente.
Mentre in Italia c’è chi pensa che i problemi della scuola siano solo i finanziamenti, ADi, riprendendo filoni di riflessione e di ricerca meno scontati, suggerisce il dubbio che il fallimento della scuola di massa sia una questione universale e non solo italiana.
La scuola in tutto il mondo si trova in una fase di transizione, che ha le caratteristiche di una vera e propria mutazione, il cui esito non è scontato. La massificazione dell’istruzione non ha prodotto un nuovo modello di scolarizzazione, ma ha semplicemente riproposto il vecchio modello per tutti. L’effetto è stata la destabilizzazione: i diplomi hanno perso valore, l’autorità degli insegnanti è in costante declino, la motivazione degli alunni nei paesi ricchi diminuisce sempre più. A ciò si aggiunge il precipitoso avanzare delle tecnologie digitali, che stanno modificando nel profondo i modi di apprendere. La pedagogia, che si era alimentata di utopie progressiste, si limita a diffondere retoriche, buone intenzioni e pratiche difensive.
In questo problematico quadro internazionale la situazione italiana risulta aggravata da ciò che Sabino Cassese ha descritto come “atavismo”, vale a dire come “l’inesorabile tragedia della perseveranza storica”. Cioè l’incapacità di cambiare alcunché.
Il miraggio offuscato. Autonomia e decentralizzazione in Italia – Sulla riforma del Titolo V e sulla decentralizzazione dei poteri dallo Stato alle Regioni dopo 12 anni si è al punto di partenza, anzi si assiste a processi regressivi, di cui la ristatalizzazione degli Istituti professionali è stata la più eclatante, nell’assoluta indifferenza della quasi totalità delle regioni. Per quanto riguarda l’autonomia scolastica, secondo stilemi tipicamente italiani le norme più avanzate si sono accompagnate alle realizzazioni più arretrate. Conseguenze: immobilismo, scarsissima capacità d’innovazione, nessun intervento sui tempi della scuola, nessuna opzionalità di discipline nel curricolo, nessuna rottura della centenaria impostazione delle classi per età, ecc.
Roel J. Bosker, professore ordinario alla Università di Groeningen, dimostrerà che allo stato attuale della ricerca internazionale è molto difficile arrivare a conclusioni certe rispetto a quale dei sistemi di governo determini migliori risultati. Ma le certezze a priori di coloro che credono che viviamo nella migliore delle scuole possibili e che l’unico problema sia quello di darle più soldi sono del tutto infondate. ADi sostiene che vale la pena scommettere su un cambiamento, che una vera autonomia non può che passare attraverso l’assunzione di maggiori poteri nei confronti della gestione del personale; sarebbe anche ora di poter in Italia sperimentare forme di autonomia più spinte, in analogia alle charter schools americane o alle academies inglesi.
Lo statalismo non ha unificato l’Italia; che la divisione fra Nord e Sud sia macroscopica anche nel campo dell’istruzione, oramai non lo può negare più nessuno. E’ ora di provare a dare maggiori poteri alle Autonomie locali: nell’istruzione ciò significa che lo Stato non deve più essere il datore di lavoro, e la gestione di tutto il personale scolastico deve passare a loro, prevedendo realisticamente tempi differenziati. Parte chi è pronto, aspettare tutti è oramai una evidente copertura dell’immobilismo. Gli Usr siano da subito inglobati nelle regioni, come da tempo sollecita la Corte costituzionale, scompaia il Miur come padrone della gestione, e gli Organi collegiali – oramai un anacronismo assoluto – siano ripensati in funzione dei nuovi poteri agli Enti locali.
Vincoli e pregiudizi. Lo stato dell’istruzione tecnica e professionale in Italia – Dopo 30 anni di sperimentazioni e riforme nell’istruzione per il lavoro registriamo un elevatissimo tasso di dispersione, il mancato incontro fra competenze acquisite a scuola e competenze richieste dal mercato ed il più alto numero di Neet nella UE. Partendo da una analisi delle esperienze europee più di successo in questo campo e per quanto riguarda l’Italia da ciò che si è realizzato in Alto Adige, nel convegno ADi presenterà le ipotesi operative per fare uscire la formazione per il lavoro dalle secche attuali: decentralizzazione degli insegnanti e conseguente fusione fra istruzione professionale e formazione professionale, forte valorizzazione dell’apprendistato (presso il quale si può già assolvere l’obbligo), inserendolo organicamente negli ordinamenti, revisione dei curricula con una assoluta preminenza delle discipline professionalizzati e di carattere trasversale.
Insegnanti in cerca di identità – Due relazioni internazionali tenute rispettivamente da Andy Hargreaves, uno dei più prestigiosi ed apprezzati analisti della professione docente, sulla costruzione del capitale professionale, e da Marcel Crahay, ordinario di psicologia dello sviluppo e dell’apprendimento all’Università di Ginevra, sui modelli più efficaci di docenza nei Paesi dell’UE apriranno la sessione. Al termine ADI presenterà puntuali proposte per dare una nuova identità e un nuovo status alla professione docente in Italia. E’ necessario essere consapevoli che esiste una inscindibile correlazione fra diversi elementi: occorre in primo luogo attirare nella formazione iniziale i migliori studenti, come avviene in quei Paesi che hanno i migliori risultati in Pisa, ma perché ciò avvenga occorre che l’insegnamento diventi una carriera appetibile economicamente. Tuttavia non ci saranno aumenti retributivi significativi se si manterrà l’attuale orario e struttura di lavoro. Toccare l’orario di lavoro significa però diminuire il numero degli insegnanti e abbandonare una visione della scuola contenitore della sottoccupazione. L’approdo potrà avvenire solo attraverso percorsi differenziati e scaglionati. Alla base di tutte le riforme rimane comunque la decentralizzazione, solo così sarà possibile una programmazione fondata sui bisogni reali del territorio di riferimento, un reclutamento tempestivo, una progressione nell’innovazione.