Nessuna proroga, quindi, per il termine del 28 febbraio alle iscrizioni online per le classi prime. È strano però: per trasferimenti, pensionamenti, scadenze di bilanci le proroghe ci sono sempre state. Per le famiglie, no: “questo Paese deve imparare – ha detto Profumo – che se ci sono regole vanno osservate organizzandosi per tempo”.
1. Al 14 febbraio le domande di iscrizione trasmesse alle scuole erano 1.027.797 e, a detta del Miur, eravamo giunti al 65,3% delle iscrizioni attese. Il che significa (se le percentuali non sono un’opinione) che ne mancavano circa 573.000 non ancora inserite. Dai dati disgregati poi si legge che vi sono regioni dove le domande trasmesse non raggiungono neppure il 50% (Basilicata) oppure lo superano di poco (Sardegna, Calabria e Sicilia).
Ma a dire il vero gli stessi dati del Miur non sono molto chiari. Infatti il giorno prima, 13 febbraio, un comunicato sempre del Miur sosteneva che la meta da raggiungere era di 1.700.000 iscrizioni. Se questi altri conti sono veri e se il ritmo di 40.000 al giorno dichiarato dal Miur fosse mantenuto, il 28 febbraio all’appello potrebbero mancare più di 200.000 iscrizioni, cioè 20.000 scuole intere… dopo il dimensionamento. A meno di aspettarci un’impennata finale.
2. Alla difficoltà delle cifre ed alle ombre sulla trasparenza romana siamo un po’ abituati e quindi anche queste potrebbero ballare, sia per la fascia sconosciuta delle paritarie che non è stata obbligata a usare internet, sia per un fenomeno occorso in moltissime scuole. Infatti, per venire incontro alle difficoltà delle famiglie nell’uso della casella postale e nella compilazione online, moltissime scuole hanno fatto compilare le domande sul modulo cartaceo e per poi provvedere in seguito all’inserimento a sistema.
Il ministro invoca serietà e rispetto delle regole stabilite da Roma: insieme a questo sussiego sarebbe stato bello vedere anche il rispetto per le persone, il loro lavoro, le loro situazioni reali, la diversità dell’Italia. In fondo non era sconosciuta la mancanza di uso della rete per più del 50% delle famiglie e la mancanza di caselle di posta elettronica per oltre due terzi di queste. Ma lo sa il ministro che per far funzionare le iscrizioni online le scuole hanno creato caselle di posta elettronica per un terzo delle famiglie? Non si direbbe che nei loro confronti l’operazione organizzata dal Miur, che ha avuto momenti di seria difficoltà per la quale l’Amministrazione ha dovuto fare un intervento straordinario, abbia avuto altrettanta attenzione.
Così, mentre qualche preside faceva (da queste pagine) l’elogio della modernità, le segreterie delle scuole dovevano distaccare per oltre un mese una persona da dedicare al servizio. Il marchingegno costruito poi è di complesso utilizzo per le scuole stesse, che devono sempre avere nelle mani tutti i codici delle scuole per decifrare le provenienze o le destinazioni delle domande. Non ultimo, hanno dovuto utilizzare più carta di prima, visto che ogni modulo è composto di almeno 8 pagine.
A pagare queste difficoltà sono state e saranno le situazioni più deboli, sia tra le famiglie (in termini di aree regionali e di fasce sociali) che tra le scuole, con particolare riferimento a quelle scuole medie o quegli istituti professionali che notoriamente raccolgono la quasi totalità degli stranieri, degli alunni portatori di handicap e dei ragazzi con disagio o difficoltà. Saranno queste realtà a pagare di più per la forzatura ministeriale, che invece avrebbe funzionato meglio se, come in tutte le innovazioni, si fosse partiti con più moderazione consentendo (come d’altronde alle paritarie) sia la modalità online che quella cartacea.
3. In fondo è il solito metodo del centralismo. Perché mai le famiglie italiane, le scuole italiane debbono aspettare le deroghe dal ministero? E chi non sarà iscritto perché non ha internet o la casella mail o i genitori non sono riusciti ad avere dal datore di lavoro (dove magari non hanno neanche un contratto) un giorno di ferie per andare a scuola, cosa farà, starà fuori dalla scuola? E le scuole non potranno accettare iscrizioni che non sono entrate alla scadenza del sistema? Poi cosa faremo? Manderemo i carabinieri a casa loro perché non adempiono l’obbligo scolastico?
In questi giorni si sono letti tanti appelli alla “scuola seria”, che assieme all’invocazione delle regole, manifestano in fondo una sfiducia verso il popolo, la gente, le professioni. Dopo l’indigestione elettorale che si è rivolta agli aspetti più bassi della vita del popolo italiano, dopo la noiosa elargizione di programmi e piattaforme, dopo le domande “prioritarie” a politici che puntualmente rispondevano con altisonanti promesse, cosa accadrà alla nostra scuola, a quelle comunità educative dove si gioca il futuro del nostro paese?
Dai guai della scuola italiana non si esce con diktat centrali, invocazioni sussiegose, procedure standardizzate uguali per tutti dall’Alpi alle Sicilie: la serietà non è la caserma (dove poi dietro l’angolo c’è la patria della goliardia), ma la valorizzazione ed il sostegno delle energie migliori e delle esperienze positive.
Allora, cominciando anche dalle iscrizioni, occorre dare autonomia alle scuole, ridare risorse per lavorare (non aumentando lavoro da prestare gratuitamente), lasciare libertà di scelta, introdurre innovazione con strategie realistiche che valorizzino capacità professionali, favorire sane competizioni, dare l’esempio con il fare funzionare bene l’amministrazione. Chi lo diceva? Don Milani: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra i diversi”. Signor ministro: bene l’informatica, bene l’efficienza (prima a Roma), ma il centro non è il ministero, è la scuola.