Continua su ilsussidiario.net il confronto a più voci su alcuni dei tempi principali della politica scolastica, in vista delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Dopo Rivoluzione civile, parla Elena Centemero, responsabile nazionale scuola, università, ricerca e cultura del Pdl. «Siamo convinti che le famiglie debbano poter scegliere la scuola che ritengono più vicina ai bisogni formativi dei figli e per questo crediamo che il sistema del buono scuola, già sperimentato in Lombardia, debba essere esportato in tutta Italia».



Onorevole Centemero, cosa avete messo al centro del programma del Pdl sulla scuola?
Le parole chiave del nostro programma per la scuola sono tre: autonomia, libertà di scelta e occupabilità. Innanzitutto, l’autonomia delle scuole è un processo non ancora definitivamente compiuto. Per portarlo a termine è necessario intervenire su due pilastri: un nuovo sistema di reclutamento e un efficiente metodo di valutazione delle scuole, dei dirigenti e dei docenti. Far emergere le eccellenze, individuare le migliori soluzioni possibili alle criticità vissute in alcune scuole è senz’altro utile a tutti per migliorare la qualità del servizio offerto. Senza dimenticare le scuole di “frontiera”, che richiedono un’attenzione particolare. Siamo inoltre convinti che le famiglie debbano poter scegliere la scuola che ritengono più vicina ai bisogni formativi dei figli e per questo crediamo che il sistema del buono scuola, già sperimentato in Lombardia, debba essere esportato in tutta Italia. Infine, per dare piena e concreta attuazione al principio europeo dell’occupabilità, intendiamo rafforzare e potenziare il raccordo tra scuola e mondo del lavoro e tra impresa e università, così da garantire una forte qualificazione professionale dei nostri studenti e la spendibilità all’estero dei titoli conseguiti.



Veniamo ai docenti. Prima del governo Monti è stato avviato dal governo Berlusconi il Tfa basato sulla separazione tra abilitazione professionale e reclutamento del personale. Il Tfa transitorio si sta svolgendo, pur in mezzo a difficoltà. Il Tfa ordinario dovrebbe partire subito dopo, come pure dovrebbero partire i Tfa speciali. Cosa intendete fare?
Andremo sicuramente avanti sulla separazione tra abilitazione professionale e sistema di reclutamento. C’è bisogno di competenze forti dei docenti, soprattutto nelle metodologie didattiche, e di ambienti di apprendimento adatti ai nostri giovani. Ma è bene essere chiari su un punto: non possiamo alimentare ancora il precariato. La formazione deve essere legata alla reale possibilità di insegnare. La mia preoccupazione maggiore è per i giovani. Sosterremo il più possibile le nuove risorse che vogliano entrare nel mondo della scuola, senza ovviamente dimenticare chi da anni insegna già.



Profumo ha bandito un concorso. Attualmente manca un nuovo regolamento per il reclutamento dei docenti sia in vigore. Qual è il vostro progetto in merito? Come deve avvenire l’assunzione degli insegnanti: a) per impedire la formazione di nuovo precariato? b) per selezionare personale che sia effettivamente capace di insegnare?

La nostra costituzione prevede i concorsi come sistema di accesso alla pubblica amministrazione e, di conseguenza, anche alla scuola. Questo è il punto dal quale deve necessariamente partire ogni riflessione sul sistema di reclutamento. Pensiamo quindi a concorsi biennali che evitino la creazione di graduatorie ad esaurimento. Si dovrà poi ragionare sulle modalità di svolgimento di questi concorsi e soprattutto sulla possibilità che le scuole, in rete, possano scegliere docenti.

Si è parlato in tempi recenti di assunzione diretta dei docenti da parte di scuole o reti di scuole, sulla base dei posti disponibili e dell’offerta formativa di ciascuna scuola. Cosa ne pensa?
Penso che il nostro Paese sia molto complesso e molto diverso. Cambiamenti di questa portata sono di lungo respiro e richiedono un percorso fatto di piccoli passi se vogliamo che abbiano una valenza nazionale e non solo locale.

La professione docente è valutabile? Perché e chi deve presiedere a questo compito?
La scuola può e deve essere valutata. Ma nel farlo non si può non tenere conto che la qualità del servizio offerto agli studenti e alle famiglie deriva da una pluralità di fattori. Mi riferisco all’offerta formativa, ma anche ai docenti che la realizzano e ai dirigenti che compiono scelte importanti ai fini del buon funzionamento dell’istituto scolastico. Per questo abbiamo sempre proposto un sistema di valutazione a tre gambe: organi interni di autovalutazione, valutazione degli apprendimenti, anche attraverso l’Invalsi, e un sistema di valutazione esterna attraverso ispettori indipendenti.

Alla valutazione deve o no corrispondere una diversa retribuzione? Ritiene che scatti e anzianità siano la sola strada possibile?
È del tutto evidente che questo articolato processo di valutazione debba essere accompagnato da un adeguato sistema di riconoscimento dei meriti. Abbiamo tanti insegnanti capaci e preparati che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema di istruzione. Credo sia doveroso offrire loro delle possibilità di “carriera” che consentano di superare una volta per tutte la logica del “ti pago poco, ti chiedo poco”.

Veniamo alla valutazione delle scuole. Che ruolo deve/può giocare la valutazione dei singoli istituti per il miglioramento del nostro sistema scolastico? Cosa fare?
La valutazione va vista nell’ottica di un miglioramento continuo. È un passaggio indispensabile a far emergere i punti di forza e di debolezza delle nostre scuole e, di conseguenza, dell’intero sistema. I primi possono infatti tradursi in buone pratiche da diffondere in altri istituti, in un rapporto di rete e di interazione continua che aiuti a superare criticità e problemi.

Cosa pensa delle rilevazioni nazionali Invalsi sull’apprendimento degli studenti? Il suo partito cosa propone?

L’Invalsi, così come le indagini internazionali Ocse, Pisa, Tims e Pirls, permette di valutare su scala nazionale il livello dell’apprendimento dei nostri studenti. In tutti i casi citati, si tratta di strumenti e come tale vanno utilizzati, senza pregiudizi e preconcetti. Va peraltro sottolineato che i risultati di queste rilevazioni possono incrementare la libertà di insegnamento e per questo riteniamo giusto sostenerli. La nostra scuola deve aprirsi sempre di più all’Europa e alla comunità internazionale.

La legge sulla parità scolastica (62/2000) comporta la distinzione tra scuole pubbliche e paritarie nel quadro di un unico sistema nazionale di istruzione e formazione. Secondo lei la parità può dirsi oggi realizzata? Cosa fare?
La scuola è pubblica, ossia di tutta la comunità. E il nostro sistema integra bene istituti pubblici e paritari. Il Pdl ha sempre sostenuto, e continuerà a sostenere, la libertà di scelta delle famiglie. Lo abbiamo fatto in modo concreto, attraverso il buono scuola e la dote scuola. E soprattutto lo abbiamo fatto garantendo in Parlamento il mantenimento dei finanziamenti alle scuole non statali e con una dura opposizione all’applicazione dell’Imu. Nella prossima legislatura interverremo ancora in questa direzione, perché vogliamo rendere certi e stabili i finanziamenti e mettere a sistema il buono scuola.

L’autonomia scolastica oggi è da considerarsi già attuata? Secondo il suo partito, nel quadro di una autonomia compiuta (non solo funzionale ma anche giuridica e finanziaria) una scuola potrebbe ricevere direttamente risorse finanziarie? A quali condizioni?
Purtroppo il governo dei tecnici, guidato da Monti, si è caratterizzato per il forte centralismo anche nei finanziamenti alle scuole. Penso, ad esempio, al Fondo d’istituto. Ora però dobbiamo guardare avanti e, al contempo, essere realisti. Occorre rivedere l’intero sistema di finanziamento e la sua gestione, a partire dal Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa e dal Fondo d’istituto. Non possiamo più pensare a finanziamenti a pioggia senza un’adeguata verifica dell’efficacia e dell’utilizzo delle risorse. Ed è indispensabile iniziare a ragionare in termine di costi standard e di reti di scuola.

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