Massiccie dosi di liberalizzazioni, a tutti i livelli, per guarire la scuola dal centralismo cronico. È questo, in sintesi, ciò che propone Fare per Fermare il declino, il partito fondato da Oscar Giannino. Risponde alle domande de ilsussidiario.net Andrea Moro, docente di economia alla Vanderbilt University (Usa) e fondatore del blog noisefromamerika.org. Sono già intervenuti, su queste pagine, Francesca Puglisi per il Pd, Elena Centemero per il Pdl, Letizia Bosco e Ilaria Persi per Rivoluzione Civile.



Qual è l’idea guida del programma di Fare per Fermare il declino?
Valorizzare gli insegnanti anche economicamente, ma premiare il merito. Dare ai genitori e ai docenti una vera possibilità di scelta fra scuole con diversi piani formativi. Responsabilizzare i dirigenti scolastici dotando le scuole di vera autonomia nella formulazione del piano formativo e nella scelte finanziarie e del personale.



A proposito di docenti. Prima del governo Monti è stato avviato dal governo Berlusconi il Tfa basato sulla separazione tra abilitazione professionale e reclutamento del personale. Il Tfa transitorio si sta svolgendo, pur in mezzo a difficoltà. Il Tfa ordinario dovrebbe partire subito dopo, come pure i Tfa speciali. Andrete avanti sulla strada intrapresa? Cosa intendete fare?
Riteniamo che un percorso specifico di formazione pedagogica sia necessario per l’abilitazione di un insegnante. Ad esso va affiancata una formazione continua, obbligatoria e gratuita, da effettuarsi durante tutto l’arco della carriera di insegnamento.



Profumo ha bandito un concorso. Al tempo stesso la legislatura si chiude senza che un nuovo regolamento per il reclutamento dei docenti sia in vigore. Qual è il vostro progetto in merito? Come deve avvenire l’assunzione degli insegnanti: a) per impedire la formazione di nuovo precariato? b) per selezionare personale che sia effettivamente capace di insegnare?
Va abolito il “concorso” come strumento di reclutamento della classe insegnante. Un esame non potrà mai, comunque sia congegnato, verificare le capacità pedagogiche di un docente. Va sostituito al concorso un’abilitazione dei docenti su base regionale o nazionale. I nuovi docenti devono essere sottoposti ad un periodo di prova di almeno due anni, dopo il quale potranno essere assunti a tempo indeterminato, su indicazione del dirigente responsabile e di una commissione di controllo. La selezione del personale deve essere demandata alle singole scuole, secondo la massima autonomia. Naturalmente, nell’attuale sistema di reclutamento e finanziamento una simile autonomia potrebbe portare a fenomeni clientelari. Ma la nostra idea è diversa: il perno del finanziamento alle scuole deve essere la scelta degli studenti. Realisticamente, una scuola dove insegnano docenti di scarsa qualità ma tutti “amici degli amici” finirebbe per trovarsi senza studenti, e sarebbe costretta a chiudere.

Si è parlato in tempi recenti di assunzione diretta dei docenti da parte di scuole o reti di scuole, sulla base dei posti disponibili e dell’offerta formativa di ciascuna scuola. Cosa ne pensa?

È esattamente la nostra proposta, purché, appunto, essa sia accompagnata da un meccanismo di finanziamento che impedisca comportamenti perversi. I dirigenti devono essere responsabilizzati per i risultati ottenuti e deve essere possibile rimuoverli dal loro incarico se non li ottengono. Questa responsabilità deve accompagnarsi ad una vera autonomia nella gestione delle risorse umane e finanziarie della scuola: l’autonomia può essere attuata solo se i dirigenti possono scegliere i docenti adatti ad attuare la linea educativa da essi scelta. L’amministrazione scolastica deve limitarsi a predisporre e verificare il personale disponibile, ma le chiamate devono avvenire dalle scuole.

Si può valutare un docente? Perché e chi deve presiedere a questo compito? Alla valutazione deve o no corrispondere una diversa retribuzione? Ritiene che scatti e anzianità siano la sola strada possibile?
Ci sono molti modi per valutare la performance dei docenti, dai questionari di valutazione di studenti e genitori all’osservazione dei risultati degli studenti (per esempio quelli rilevati dai test Invalsi e Pisa, gli esami di fine ciclo, eccetera). In aggiunta a questi strumenti “oggettivi” deve pesare la valutazione complessiva dei colleghi e dei dirigenti scolastici. Tutte queste informazioni devono essere utilizzate per determinare la carriera e la parte variabile del reddito degli insegnanti (che deve crescere, sia in valore assoluto sia come quota del reddito complessivo). L’anzianità non dovrebbe essere un criterio di determinazione del reddito o della carriera, o comunque dovrebbe contare molto poco.

Secondo lei è o non è necessario ipotizzare la definizione di un nuovo stato giuridico dei docenti?
Il docente deve essere un dipendente della scuola a tempo pieno. Nella nostra proposta di riforma del mercato del lavoro però proponiamo di equiparare il contratto di lavoro dei dipendenti pubblici a quello dei dipendenti privati, un altra fonte di iniquità nel mercato del lavoro di cui si parla poco. Questo richiede, naturalmente, una complementare riforma della pubblica amministrazione che fornisca adeguati incentivi ai dirigenti pubblici. Ci rendiamo conto che questo è un processo complesso, ma è necessario avviare il percorso.

Veniamo alla valutazione delle scuole. Che ruolo deve/può giocare la valutazione dei singoli istituti per il miglioramento del nostro sistema scolastico?
Nel nostro schema le scuole vengono finanziate principalmente in funzione del numero di studenti che le frequentano. È utile che una quota del finanziamento sia legata alla valutazione della loro efficacia complessiva, misurata per esempio dai risultati degli studenti nei test, dalla rapidità con cui trovano lavoro una volta terminato il ciclo di studi e della percentuale di laureati che si registra tra gli studenti di quella scuola. Ma la funzione primaria delle valutazioni deve essere un’altra: ossia orientare la scelta degli studenti e delle famiglie. Per questo le valutazioni sugli istituti devono essere trasparenti e divulgate nel modo più capillare possibile, in modo che tutti sappiano quali sono le scuole migliori e che gli istituti siano incentivati a impegnarsi per guadagnare reputazione.

Cosa pensa delle rilevazioni nazionali Invalsi sull’apprendimento degli studenti? Fare per Fermare il declino cosa propone?

Uno dei pilastri della valutazione deve affidarsi sugli esami che l’Invalsi svolge oramai da anni in tutte le scuole. Spesso viene obiettato che i test standardizzati incentivano l’appiattimento dell’istruzione sul nozionismo, sulla capacità meccanica di risolvere i problemi piuttosto che sulla capacità critica di analizzare il contenuto di un problema e sulla ricerca creative della soluzione. Queste obiezioni rivelano una scarsa conoscenza del contenuto dei test approntati, che sono congegnati per testare più le competenze che le conoscenze degli studenti; le capacità di analizzare un problema, piuttosto che le conoscenze tecniche necessarie a risolverlo; la comprensione critica del testo letto, piuttosto che la capacità meccanica di lettura. Ma anche accettando le consuete critiche ai test standardizzati, è indubbio che essi possano almeno essere in grado di evidenziare i casi di negligenza più gravi. Se un alunno non sa leggere un testo semplice in quarta elmentare, o se non sa svolgere le operazioni aritmetiche fondamentali, è difficile che possa ragionare e risolvere un problema complesso. È compito dello stato definire criteri di competenze minime superabili dalla stragrande maggioranza degli alunni, e certamente i test standardizzati possono essere uno strumento essenziale nella valutazione di queste competenze.

La legge sulla parità scolastica (62/2000) comporta la distinzione tra scuole pubbliche e paritarie nel quadro di un unico sistema nazionale di istruzione e formazione. Secondo lei la parità può dirsi oggi realizzata? Cosa fare?
La scuola italiana si fonda su una eccessivo centralismo dirigista, che pretende di imporre regole dettagliate, uguali per tutti, ottenendo alla fine le enormi disparità regionali che l’Invalsi ha rilevato essere presenti in ogni grado di istruzione. Il problema non è dunque certificare una presunta parità anche per le scuole private, ma creare possibilità di scelta anche fra scuole pubbliche. L’autonomia scolastica è stata vista negli anni passati principalmente come un modo per contrastare la crisi e le rigidità dell’apparato burocratico centralizzato, per fornire alle scuole la flessibilità necessaria a rispondere alle esigenze educative moderne. Noi crediamo che serva innanzitutto un cambiamento delle motivazioni che hanno spinto all’adozione di un sistema (ancora irrealizzato) di autonomia scolastica. L’autonomia serve non tanto, o non solo, perché un sistema centralizzato è incapace di innovare, ma soprattutto perché gli studenti hanno esigenze diverse, e questa diversità di esigenze va soddisfatta con un’offerta scolastica diversificata, per permettere a genitori e studenti una genuina possibilità di scelta fra percorsi e filosofie educative diverse.

L’autonomia scolastica è da considerarsi già attuata? Secondo il suo partito, nel quadro di una autonomia compiuta (non solo funzionale ma anche giuridica e finanziaria) una scuola potrebbe ricevere direttamente risorse finanziarie? A quali condizioni?
L’autonomia introdotta dalle riforme degli anni scorsi introduce nelle scuole elementi di flessibilità organizzativa, didattica e curricolare, ma nei fatti questa possibilità si scontra con notevoli resistenze imposte dall’attuale struttura burocratica della scuola. Il cosiddetto “Piano di Offerta Formativa” che ogni scuola deve stilare perde di efficacia quando viene subordinato alla sostenibilità economica da parte della scuola (per esempio, la disponibilità spesso casuale di insegnanti con ore in esubero), e più in generale quando la scuola manca di autonomia finanziaria e di scelta dei docenti che questo piano devono attuare. Parallelamente alle dichiarazioni altisonanti inneggianti all’autonomia, l’apparato ministeriale continua a produrre “indicazioni nazionali”, reperibili sul sito del ministero, che dimostrano che l’ottica dirigistica è dura da combattere.

Anche le indicazioni nazionali sono per voi espressione di centralismo?

A titolo di esempio, per i licei queste indicazioni arrivano persino a definire in quale anno si debba studiare Leopardi (il quinto), e, per l’educazione fisica, che “nel secondo anno”, per lo studente “è fondamentale sperimentare nello sport i diversi ruoli […] e le responsabilità nell’arbitraggio”, mentre “nel quinto anno”, lo studente “saprà affrontare il confronto agonistico con un’etica corretta”. Mentre nel dibattito sulle riforme della la scuola primaria il confronto politico si è concentrato nel migliore dei casi sulla necessità o meno del maestro unico (spesso condizionato da vincoli di bilancio piuttosto che su una riflessione dei suoi meriti pedagogici); nel peggiore dei casi, sull’esigenza o meno di imporre una divisa uguale per tutti gli alunni. Quasi nessuno ha sollevato l’obiezione che diversi alunni possano avere esigenze diverse, e che la scelte possa essere demandate alle scuole sulla base di un piano educativo, pubblicizzato per permettere ai genitori una scelta informata.

La vostra autonomia allora che cos’è?
Vera autonomia significa la possibilità per le scuole (su iniziativa del dirigente e degli organi che lo coadiuvano) di definire la propria filosofia educativa basata su un piano formativo coerente. Per attuarlo, vanno decentralizzate decisioni su praticamente tutti gli aspetti della formazione scolastica: orari, obiettivi e strategie, programmi, criteri di valutazione e di comunicazione dei risultati dell’apprendimento alle famiglie. A livello centrale andrebbero definiti solo obiettivi formativi minimi che le scuole devono tassativamente rispettare, pena la chiusura della scuola, licenziamento del dirigente, e scioglimento degli organi amministrativi. Agli organi collegiali dovrebbe spettare la supervisione del dirigente con potere di valutazione sul suo operato e su quello dei docenti. Tale valutazione deve influire sugli aumenti premiali di remunerazione e sulle conferme in organico dei docenti. Autonomia significa anche la possibilità per la dirigenza di una scuola di gestire il budget ad essa destinato in modo tale da poter conseguire i risultati auspicati dal proprio piano formativo. Questo può implicare anche la possibilità di destinare parte del bilancio ad incrementi premiali per il personale docente ed amministrativo.

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