Il dibattito aperto da ilsussidiario.net sul tema della valutazione esterna delle scuole è la prova che la questione è tutt’altro che pacificata e risolta nella testa di molti insegnanti e di molte organizzazioni sindacali e professionali del settore. Due ultimi eventi hanno aggiunto legna al fuoco. Il primo è stata la presa di posizione di un gruppo di Associazioni professionali, il cui ventaglio ideologico si estende dai cattolici, ai laici, alla sinistra sindacale e politica. In un loro documento hanno chiesto, tra le altre cose, che si torni dall’indagine censuaria sugli apprendimenti a quella campionaria. Alla quale era momentaneamente regredito Fioroni nel 2006, per ripristinare dopo un paio d’anni quella censuaria. 



La diversa posta in gioco delle due opzioni è presto detta: l’indagine campionaria – che è quella che, ad esempio, ogni tre anni conduce l’Ocse nei singoli Paesi – fornisce dei dati certamente rigorosi, ma non impegna le scuole più di tanto né sul piano organizzativo né, soprattutto, sul piano gestionale. Invece, l’indagine censuaria tocca intere fasce di classi e intere scuole. L’operazione diventa un impegno stringente già nella fase iniziale e diviene ancor più profondo in quelle successive: quelle dell’informazione sui risultati e della gestione dei loro effetti sull’organizzazione e sui contenuti della didattica. Se poi i dati fossero resi pubblici! Insomma: la rilevazione campionaria non ti giudica, quella censuaria sì! 



In risposta a questa presa di posizione, il secondo evento è consistito nel rifiuto strenuo da parte del Pd in Parlamento di approvare il Regolamento sulla valutazione. Sì è trattato di una patente mossa pre-elettorale, volta a raccogliere qualche manciata di voti dal bacino della resistenza dei docenti e dei sindacati alla valutazione esterna. Anche perché, come spiega bene l’intervento di Daniela Notarbartolo, l’Invalsi ha incominciato a radicarsi nel sistema scolastico. Nella latitanza della politica e dei ministri di turno, in assenza di una vera Authority nazionale del curriculum e mentre le Indicazioni nazionali – ultima versione – si fanno strada  a fatica nella scuola reale, le indagini Invalsi finiscono per precostituire dei parametri nazionali, relativamente ad alcune competenze chiave, cui le scuole saranno costrette obtorto collo ad adeguarsi, sia pure per autovalutazione interna. 



E non è l’unico punto di intersezione. Insomma, dal punto di vista dei “resistenti” quella dell’Invalsi è diventata una presenza ingombrante ed invasiva. Nessuno, o quasi, ha più il coraggio di dire che la valutazione esterna non si deve fare, ma parecchi ne vorrebbero una “diversa”, senza mai specificare quale. Questa è la posizione reale, benché negata a parole, di molti sindacati, di molti insegnanti e dirigenti e anche di specialisti. Pertanto, niente valutazione! Così l’astuto Bertoldo riuscì a evitare l’impiccagione-valutazione, perché gli era stata data la possibilità di scegliere l’albero e nessun albero gli sembrava mai adatto per essere impiccato, pardon, valutato.

Dietro a questa posizione sta un intrico di culture − Gentile, Croce, forme di personalismo e di marxismo radicale – e di interessi materiali.

Quanto alle culture, quella più influente si può genericamente definire “gentiliana”. Lo Stato è la sintesi suprema dello spirito umano, che tiene insieme e supera la parzialità degli interessi particolari. Esso si incarna nella sua Amministrazione, con le sue regole e le sue procedure. Perciò lo Stato-Amministrazione non deve rendere conto a nessuno di quello che fa. Sono i cittadini e i gruppi sociali a dover rendere conto allo Stato. Il servizio pubblico in risposta ai bisogni civili e sociali è di tipo monopolistico. Ma, in quanto statale, si autocertifica automaticamente come la migliore risposta possibile ai bisogni. A maggior ragione, questa legge universale vale per l’istruzione, che non è un servizio pubblico qualsiasi: è, infatti, la modalità essenziale con cui lo Stato costruisce i cittadini, cioè se stesso. L’insegnante, quando entra in classe, rappresenta lo Stato; non è un impiegato pubblico, quale è diventato oggi, è un funzionario dello Stato, sacerdote dello Spirito assoluto che si incarna nel mondo. Perciò giudica, non può essere giudicato. 

Oggi convengono in molti nel riconoscere che occorrerebbe migliorare la preparazione degli insegnanti, visto che nel frattempo il corpo docente si è trasformato da ristretta élite di funzionari dello Stato in una massa di dipendenti pubblici proletarizzati e sindacalizzati. Ma tanto dovrebbe bastare. Passati Giovanni Gentile e il fascismo, arrivata la Repubblica, è caduta la teologia dello Stato, ma è rimasta la cultura. Qualora si dimostri che le procedure sono state rispettate rigorosamente, nessuna contestazione dei risultati dell’azione di istruzione/educazione è più possibile. Il corpo degli ispettori non deve valutare la qualità del servizio, a priori garantita, ma l’osservanza delle procedure. La Repubblica, ancorché governata dai cattolici per decenni, ha mantenuto non solo lo stesso impianto centralistico e piramidale dell’Amministrazione del liberalismo e del fascismo, ma, soprattutto, la sua cultura profonda, con la quale tutti i governi, fino ad oggi, hanno dovuto fare i conti e alla quale si sono arresi per non essere sconfitti, tanto nella Prima quanto nella Seconda repubblica. 

Croce è morto da tempo, ma i suoi pregiudizi contro le scienze umane, considerate prive di statuto scientifico, hanno avuto vita più lunga. Come si può sottoporre a misurazione lo spirito? Si finisce, nell’atto di misurarlo, per provocarne la morte per… autopsia. Non è pertanto possibile applicare i metodi della statistica, del questionario e, quod Deus avertat, dei test per verificare gli apprendimenti/insegnamenti e le performance delle scuole, senza perdere l’oggetto stesso. Come si fa a dire che un ragazzo è “mediocre”? “Mediocre” è un concetto statistico, il ragazzo che hai di fronte è, invece, una singolarità incommensurabile con nessun altra. La valutazione, pertanto, è possibile solo come autovalutazione, come ermeneutica dialogica, solo qualitativa, non quantitativa, solo interna, non esterna, solo dal basso, non dall’alto. 

A questo crocianesimo di ritorno, hanno fornito munizioni alcuni settori personalisti, soprattutto di origine cattolica. Partendo dall’innegabile mistero ontologico della persona, sono approdati all’ineffabilità del rapporto pedagogico – che è sempre relazione rischiosa tra due libertà in atto – e pertanto alla sua smisuratezza, che non tollera, appunto, nessuna misurazione estrinseca. Singolare, ma non imprevedibile, la convergenza con l’area culturale della Flc e della sinistra più radicale. Le quali sostengono che la valutazione esterna delle scuole e degli apprendimenti significa aziendalizzazione e privatizzazione delle scuole. Dove si vede che, sotto la foglia di fico dell’anticapitalismo marxista, fa capolino il vecchio e sempreverde statalismo gentiliano. La difesa della scuola pubblica, da cui si sono denominati i “Comitati di difesa della scuola pubblica” in tutta Italia, non prevede la valutazione esterna.

Quanto agli interessi, che si intrecciano con le culture, sono facilmente decifrabili e sono molto “umani”. Nessuno ama essere giudicato, nessuno desidera appassionatamente di rendere conto a qualcuno. Neppure gli insegnanti e i dirigenti, il cui profilo professionale è stato piegato dall’organizzazione amministrativa della didattica verso il solipsismo della stirneriana “repubblica degli unici”. Il patto storico che si è stretto tra Amministrazione e insegnanti, pronubi i sindacati e i partiti, prevede che gli insegnanti siano pagati poco, non siano differenziati per carriere e per stipendi e che, in compenso, non siano valutati da nessuno. Possono essere rimossi dal posto di lavoro solo per comportamenti criminali molto odiosi, mai per incapacità palese di fare il proprio mestiere. 

Questo tranquillo tran-tran, che durava dal 1859, è stato messo in discussione da due fattori. Il primo, decisivo, è stato quello della crisi fiscale dello Stato e dell’aumento conseguente della pressione fiscale. I cittadini hanno incominciato a chiedersi che fine facessero i loro soldi, tanto più quando le indagini internazionali sui sistemi educativi mondiali pubblicizzate anche in Italia, dopo anni di occultamento politico-burocratico, hanno incominciato a documentare che agli investimenti ingenti non corrispondeva nessun miglioramento della qualità dell’istruzione in Italia. Il secondo fattore, più culturale, è stato un cambiamento di mentalità civile, e cioè l’affermarsi del concetto di responsabilità e, pertanto, di accountability. Chiunque si trovi in una posizione pubblica, dall’impiegato, al funzionario, al docente, è chiamato a rendere conto pubblicamente della propria azione, attraverso un sistema di valutazione esterna e di rendicontazione. Ecco perché “la metodologia dell’inverificabile” è giunta al capolinea.