Il “Rapporto sulla Scuola in Lombardia” appena pubblicato (Guerini Editore, 2013) intende fornire alcuni spunti di riflessione sul sistema scolastico lombardo, al fine di supportare le policy che il Governo, le Regioni e gli Uffici Scolastici regionali potranno implementare nei prossimi anni. Il volume raccoglie i risultati di un lavoro di ricerca e di analisi, svoltosi nell’ambito di una convenzione tra Politecnico di Milano, Università degli Studi di Milano-Bicocca ed Invalsi, grazie anche al supporto di Regione Lombardia, al coinvolgimento dell’Università degli Studi di Pavia e alla collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia (Usrl).



L’obiettivo del lavoro di ricerca consiste nel mettere in luce e discutere criticamente le peculiarità del sistema scolastico lombardo, muovendo le mosse dalle sfide che il sistema scolastico italiano si trova ad affrontare in questo momento particolare, caratterizzato tanto da profondi cambiamenti quanto da rischi di burocratizzazione e conservazione. Sono, infatti, numerosi gli interventi di politica scolastica intervenuti nel sistema negli ultimi pochi anni: le nuove procedure per l’immissione in ruolo di oltre diecimila docenti attraverso un nuovo concorso nazionale, l’avvio dell’esperienza dei Tirocini formativi attivi (Tfa) per il reclutamento di nuovi docenti, l’assunzione di diverse centinaia di nuovi dirigenti scolastici, l’approvazione del Regolamento per il sistema di valutazione delle scuole.



In questo contesto, caratterizzato da contraddizioni ed incertezza, ci si interroga sul ruolo che potrebbero assumere le Regioni, nell’ambito del processo di decentramento previsto dalla riforma del titolo V della Costituzione, la quale assegna alle stesse margini di autonomia, ponendo l’istruzione scolastica tra le materie in cui vi è competenza concorrente insieme allo Stato. Sullo sfondo, rimane l’annosa questione della autonomia delle singole istituzioni scolastiche. 

Le più recenti rilevazioni dei risultati degli studenti (Invalsi e Ocse) mettono in luce enormi differenze tra regioni nei livelli di apprendimento a diversi stadi del percorso scolastico, rendendo quindi ancor più rilevante la discussione sulle potenzialità di un maggior coinvolgimento dei governi regionali nella regolazione del settore. Appare evidente, infatti, che il ruolo di “regolatore centrale” assunto tradizionalmente dallo Stato, con lo scopo di garantire una qualità uniforme del servizio di istruzione su tutto il territorio nazionale, non ha centrato il proprio obiettivo e deve essere ripensato. 



Il sistema scolastico lombardo presenta alcune caratteristiche peculiari nel panorama nazionale. In primo luogo, il numero di istituzioni scolastiche, plessi e studenti rende il sistema lombardo il più grande del Paese: nell’a.s. 2011/12, operavano oltre 1.200 istituzioni scolastiche, organizzate in quasi 4mila plessi, frequentati da oltre 1 milione di studenti. In secondo luogo, vi è una forte presenza di scuole paritarie, le quali accolgono oltre 100mila studenti: a fronte di un’incidenza percentuale media del 5,5% del settore paritario a livello nazionale, in Lombardia le scuole paritarie iscrivono quasi il 10% degli studenti. 

Inoltre, la presenza di alunni di cittadinanza non italiana è un fenomeno che, pur riguardando in misura sempre più significativa tutto il paese, è particolarmente rilevante in Lombardia, dove gli alunni stranieri sono oltre il 14%, con punte di oltre il 20% in alcune Province.  

Particolare menzione merita pure l’analisi degli apprendimenti medi degli studenti; osservando i dati (su base regionale) restituiti da Invalsi sulle prove per l’anno 2011-12, si osserva come le scuole lombarde ottengano performances mediamente più elevate della media italiana per ogni ordine scolastico – con punteggi talvolta anche più alti di quelli dell’area del Nord-Ovest. 

L’attività di ricerca preliminare ha evidenziato come la problematica principale risiedesse nella mancanza di un dataset strutturato a livello di istituzione scolastica, in grado di consentire uno studio comparativo a livello regionale. Le informazioni rilevanti, infatti, sono raccolte ed archiviate separatamente dai vari soggetti istituzionali che interagiscono con le singole istituzioni scolastiche (Miur, Invalsi, Usrl). Pertanto, lo sforzo principale della prima fase di ricerca si è concentrato nella costruzione di un tale dataset, dalle caratteristiche fortemente innovative, in quanto raccoglie e sistematizza i dati sulle caratteristiche e sugli apprendimenti di tutte le istituzioni scolastiche lombarde, al fine di sviluppare una metodologia da replicare negli anni scolastici successivi. Tale dataset è stato poi reso disponibile per analisi di secondo livello (realizzate con appropriate tecniche statistiche ed econometriche) ai ricercatori del gruppo di lavoro che ha condotto l’analisi. 

I risultati della ricerca possono essere sinteticamente riassunti in tre aspetti principali. 

In primo luogo, si è evidenziata l’assoluta necessità di disporre di un sistema di rilevazione ed analisi dei dati stabile, robusto e adeguatamente manutenuto. La mancanza di un dataset omogeneo (a livello di singola istituzione scolastica) impedisce qualunque riflessione a supporto delle policy, che non possono, quindi, che finire per essere orientate più ad idee che ad evidenze empiriche. I sistemi scolastici più avanzati del mondo hanno a disposizione database molto sofisticati non solo a livello di scuola, ma anche di singolo studente, con un grado di dettaglio molto fine e un’ottica longitudinale. Invalsi ha avviato un percorso per creare basi di dati di questo tipo, ma si tratta di un’esperienza ancora molto preliminare, e comunque ancora parzialmente slegata dai dati amministrativi raccolti periodicamente dalle amministrazioni interessate. Il lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Rapporto sulla scuola in Lombardia” costituisce un primo passo verso la definizione di standard di raccolta ed elaborazione dati più coerente con le finalità di un sistema di valutazione delle prestazioni scolastiche.  

In secondo luogo, dall’analisi emerge come non esista un “sistema scolastico lombardo”, definibile come sistema di istituzioni scolastiche omogenee sotto il profilo delle caratteristiche e delle prestazioni ottenute. Se una comparazione dei dati aggregati a livello regionale consente solamente valutazioni sulle differenze strutturali inter-regionali, un’analisi più dettagliata intra-regionale fa emergere un quadro molto più eterogeneo e variegato, sia tra province lombarde che all’interno delle singole province. La consapevolezza di tali differenze (legate, ad esempio, all’incidenza del fenomeno dell’immigrazione, o alla differente disponibilità di risorse, ecc.) può consentire al policy-maker regionale, nonchè agli altri attori e stakeholders, riflessioni ed interventi molto più circostanziati di quanto non siano possibili per il regolatore nazionale. 

Sebbene in media le scuole lombarde ottengano performances migliori della media nazionale, si riscontrano all’interno del sistema lombardo anche scuole con livelli di prestazione ancora insoddisfacenti (sulle quali si potranno definire specifici piani di miglioramento), così come esperienze di assoluta eccellenza che potrebbero essere utilizzate come best-practices per analisi di benchmarking. Sotto questo profilo, la dimensione regionale appare la più appropriata per esercizi di valutazione che non corrano il rischio di “omogeneizzare” eccessivamente le attività delle singole scuole, e che siano invece in grado di tenere in debito conto le loro differenze in termini di risorse, caratteristiche, processi e background socioeconomico della popolazione studentesca. 

Il terzo messaggio riguarda le determinanti delle prestazioni degli studenti e delle scuole. Nonostante i dati disponibili non si prestino ad analisi dei nessi causali tra variabili descrittive e performances, lo studio condotto ha consentito di studiare i fattori statisticamente associati ai risultati degli studenti in termini di apprendimento. I risultati dello studio sono coerenti con quelli derivanti dalla letteratura esistente, e mostrano come sia ancora forte il ruolo esercitato della composizione socio-economica della popolazione studentesca: le scuole che ottengono risultati migliori sono (in media) quelle in cui gli studenti provengono da un background familiare più favorevole. Da questo punto di vista, si può ritenere che, ancora oggi, il ruolo della scuola nel ridurre i divari socioeconomici di partenza non sia esercitato appieno. 

Appare necessario, quindi, che i policy-makers focalizzino la propria attenzione sullo sviluppo di quei fattori e processi (clima scolastico, formazione dei docenti, modalità didattiche innovative, ecc.) che potrebbero avere, nel medio-lungo periodo, effetti positivi in termini di risultati ottenuti dagli studenti, anche e soprattutto coloro che partono da una condizione di partenza svantaggiata. In questa prospettiva, si dovrebbe prestare maggiore attenzione agli strumenti di diritto allo studio (sostegno finanziario agli studenti e alle loro famiglie) che, anche in continuità con le politiche di diritto allo studio universitario, potrebbero meglio contrastare i fenomeni di abbandono scolastico e di dispersione.

Complessivamente, i risultati dello studio mettono dunque in luce diversi spunti di riflessione che potrebbero utilmente essere colti per riflettere sulla eterogeneità presente in un sistema scolastico che, pur caratterizzato da prestazioni migliori rispetto al resto del paese, vede al suo interno una comunque significativa differenziazione.