Caro direttore,
il ministro Profumo lancia l’allarme sull’orientamento, facendo presente che il 20 per cento degli studenti al primo anno si accorge di aver sbagliato scelta universitaria e che il 40per cento, alla fine del percorso, dice che non avrebbe scelto la facoltà frequentata.
La conseguenza che il ministro Profumo trae da questa preoccupante situazione è che le università sono deboli nel dare informazioni, e che è precisamente a questo livello che occorre prendere l’iniziativa, potenziando l’orientamento, dunque con un surplus di informazioni più precise e definite.
Ora, le informazioni sono certamente utili; occorre però anche notare che ciò su cui si sono impegnate le università in questi anni sono proprio le informazioni: gli atenei hanno bombardato gli studenti delle scuole superiori di informazioni, e sempre più specifiche, sempre più nel dettaglio. I dati preoccupanti che il ministro fornisce dovrebbero allora portare ad una riflessione seria sull’orientamento, una riflessione che parta proprio da questa semplice constatazione: in questi anni l’impegno a dare informazioni è stato inequivocabile, eppure questo non ha impedito a tanti studenti e studentesse di sbagliare scelta. Possiamo a questo punto chiederci: come mai? Come mai le informazioni non bastano per fare la scelta giusta? Come mai si possono avere a disposizioni tante e precise informazioni e si può finire con il commettere errori su errori?
La questione è semplice: scegliere la facoltà universitaria non dipende solo dai ragguagli che si hanno. E non è nemmeno un meccanismo per cui, dati l’interesse e la capacità, risulti la facoltà cui iscriversi. Scegliere una facoltà universitaria è un passo di maturità, è mettere in gioco la propria vita, il proprio futuro, la stima che si ha di sé, nella prospettiva di lasciare un segno dentro la realtà. Per questo il problema non è solo di avere informazioni, ma anche e soprattutto di chiarire quali siano i criteri in forza dei quali scegliere; che cosa un giovane d’oggi possa mettere in campo e che lo faccia crescere, lo faccia diventare uomo.
La realtà è che ciò su cui sono deboli oggi scuole superiori e università a riguardo dell’orientamento non sono le informazioni: la debolezza sta nel non accompagnare i giovani nella scelta, e il primo modo di accompagnare un giovane nella scelta è aiutarlo a capire chi è, che valore ha la sua vita, che importanza ha la sua umanità. La domanda da cui parte un processo di orientamento non è: che cosa debbo o posso fare, ma: io chi sono? E’ questa domanda che manca in tutti i progetti di orientamento, ed è perché manca questa domanda che si va incontro ad errori spesso fatali.
Urge quindi prendere sul serio l’allarme del ministro Profumo, e prima di organizzare visite su visite nelle università, aiutare gli studenti dell’ultimo e penultimo anno di scuola superiore a prendere coscienza del valore della loro umanità, della ricchezza che ognuno porta. Da una nuova, più vera affezione a sé scaturirà la passione che fa fare tutto il resto.
Ripensare l’orientamento è dunque introdurre negli ultimi anni di scuola superiore uno sguardo nuovo, uno sguardo che aiuti gli studenti ad avere una capacità di sintesi tale da portarli finalmente a conoscere ciò che studiano, e con questo, a maturare una nuova coscienza di sé e a prendere in mano il loro io. La prima mossa allora sta nel riconsiderare lo studio, cambiandone l’impostazione: dal gestire un accumulo di informazioni allo scoprire che ogni oggetto, appreso criticamente, fa crescere l’io. Questo è conoscere, ed è questo il primo passo di un orientamento serio.