Arriva il libro digitale: il ministro Profumo l’altro ieri ha firmato il decreto. Dal 2014 le classi interessate saranno la I e IV primaria, la I media, la I e la III superiore. I libri saranno in versione informatica oppure mista (cartacei con aggiornamenti online), mentre i costi cominceranno da subito ad essere abbattuti. I costi di copertina saranno invariati fino al 2014/15, mentre si abbassa il tetto complessivo di spesa entro cui i consigli di istituto devono mantenere le adozioni; ulteriori risparmi sono previsti in futuro. Gli editori però non sono entusiasti, e lamentano l’inadeguatezza della scuola italiana ad un cambiamento che si vuole così repentino. Certamente per i docenti sarà una bella sfida, non tanto, forse, per il digital divide che li separa dai loro allievi «smanettoni», quanto per i cambiamenti di metodo che gli e-book porteranno in classe. Parla Renata Kodilja, docente di psicologia sociale nell’Università di Udine.



Lei si iscrive al partito dei progressisti o a quello dei conservatori?
Degli innovatori con misura e buon senso. Mi colloco tra quelli che sperimentano e ricercano l’innovazione quando questa appare vantaggiosa e strumentale alla qualità dell’apprendimento e non fine a se stessa. Sono affascinata dalle potenzialità della tecnologia, anche quelle che obbligano a nuovi, faticosi schemi cognitivi e di funzionamento, anche quando il sano conservatorismo cognitivo ci spinge alla reiterazione del noto piuttosto che all’apprendimento del nuovo. Ne sono affascinata nella misura in cui quell’innovazione porta a reali vantaggi, reali “risparmi” nell’ergonomia quotidiana. Nel momento in cui l’innovazione è eccessiva – fine a se stessa – o prematura, credo perda parte importante del suo potenziale di valore.



Giorgio Palumbo (Aie) l’indomani ha dato su La Stampa un giudizio molto severo, dicendo che Profumo «parla di un mondo che non c’è». Le case editrici dicono insomma che i docenti non sono pronti. Che ne pensa?
È possibile che negli ultimi anni non si sia fatta formazione e aggiornamento specifico e mirato in questa direzione all’interno della scuola primaria, soggetto indicato come “pilota” dell’innovazione nel decreto del ministro; lo stesso decreto peraltro indica la possibilità di scelta di un “regime ibrido”, misto, di coesistenza tra cartaceo e digitale. Consideriamo inoltre che l’innovazione è “onerosa” per l’obbligo di cambiamento e di nuovo apprendimento che comporta e che difficilmente viene accettata di buon grado; oltre alla valutazione di quelle che possono essere (probabilmente saranno) le inevitabili modificazioni o meglio contrazioni del mercato, dell’editoria classica. La psicologia insegna che spesso è uno stato di necessità a fornire l’indispensabile motivazione al cambiamento, e l’obbligo imposto frequentemente è l’antecedente di un valore che viene poi gradualmente interiorizzato.



In altri termini?

Intendo dire che la virtù si apprende e si fa propria dopo essere stati indotti a sperimentarla (banalizzando un po’, è come imparare ad indossare con regolarità le cinture di sicurezza in macchina).

Non c’è il rischio di una imposizione dall’alto?
Per evitare il rischio di imposizione dall’alto basta anticipare l’obbligo dal basso, anche gradatamente, con buon senso e con un occhio attento alle trasformazioni di contesto più ampio. Non credo che il sistema scolastico italiano possa permettersi di restare “scollato” dalla rimanente realtà quotidiana. Non è immaginabile un ancoraggio fermo al tradizionale cartaceo − a scuola − contro la fruizione abbondante di multimediale che avviene nel doposcuola di un adolescente.

Il nuovo supporto, non essendo concepito semplicemente come una versione informatica del cartaceo ma come una “rete” di contenuti correlati, cosa chiederà ai docenti?
L’evento del digitale all’interno del sistema educativo rappresenta un momento di sostanziale cambiamento delle modalità relazionali tra gli attori che operano nella scuola. Sarebbe limitante e sbagliato concepire le nuove tecnologie semplicemente come una somma di nuove funzioni; si tratta di una moltiplicazione di opportunità, di nuove modalità relazionali e di pensiero. L’aspetto della didattica è quindi solo uno dei lati che devono essere rivalutati all’interno dello scambio educativo di un processo formativo. L’approccio con la rete e nello specifico con l’e-book  deve essere inteso come un nuovo ambiente di comunicazione e di apprendimento.

Bene. Ma il caro vecchio libro era (ed è) una “cosa” fisica, palpabile, che si può sottolineare, scarabocchiare, appuntare. Ritiene che questa sia una fase destinata ad essere superata?
La modalità di fruizione di un e-book non offre certamente la stessa “esperienza di lettura” che si vive, e che siamo abituati a vivere, con un libro cartaceo, anche se di fatto la funzione che l’e-book svolge è del tutto analoga alla funzione che finora hanno svolto e ancora svolgono alcuni prodotti editoriali classici. Con alcune differenze importanti. Differenze che riguardano soprattutto la velocità e l’economia della distribuzione nella prospettiva dell’editore, nella facilità di duplicazione per il lettore, combinate ad alcune potenzialità altrettanto rilevanti come l’ipertestualità e l’efficacia degli strumenti di ricerca. Non ultime le comodità di accesso a magazzini capienti: in un unico leggero supporto si può avere tutta la biblioteca di casa sempre in tasca. Fin qua il ragionamento è molto razionale e sembra propendere a favore del libro digitale…

Ma?
Ma cambiamo registro e mettiamoci nell’ottica del vissuto esperienziale, anche emotivo, del lettore.  Focalizziamo sulla funzione di “fissaggio” che alcuni libri hanno avuto nella vista di ognuno: i libri scolastici dell’adolescenza con disegni, appunti, i libri delle vacanze legati alle memorie, ecc…  oppure pensiamo all’esperienza dell’entrare in libreria e guardare le copertine, toccare la carta, sentire il profumo dell’inchiostro. È un vissuto plurisensoriale.

Dunque? Si può ritrovare in un e-book questa dimensione “sentimentale”? 

Credo non sia possibile, non allo stesso modo: certamente l’e-book comporterà un universo esperienziale diverso e peculiare, ma non questo. Per questi motivi credo che libro cartaceo e libro digitale resteranno modalità parallele con applicazioni preferenziali in un ambito piuttosto che in un altro. Non credo che il digitale possa sostituirsi interamente.

In generale, a che cosa stiamo assistendo secondo lei in Italia con questo e altri simili provvedimenti? Ad una fuga in avanti, ad un recupero del nostro terreno perduto, ad un giusto risparmio? O cos’altro?
Probabilmente le ragioni sono un po’ tutte quelle che ha elencato, aggiunte alla necessità, che tra qualche tempo sarà resa più consapevole, dell’opportunità di riduzione del consumo di carta, sia per motivi ecologici che economici. Il recupero del terreno perduto, soprattutto rispetto ad altri paesi europei, diventa bisogno urgente quando i tempi del confronto tra gli stakeholder coinvolti è eccessivamente dilatato; non dimentichiamoci inoltre le legittime esigenze di risparmio delle famiglie relativamente alle spese che possono essere razionalizzate.

Avanti tutta, dunque.
Credo però che la riuscita dell’operazione debba prevedere equilibro, misura e gradualità. È un cambio di regime che ha bisogno del rispetto dei tempi di interiorizzazione dei nuovi comportamenti.