Durante l’esame di maturità, il professore di arte – che mi avrebbe dato un nove – mi consigliò vivamente di scegliere una facoltà scientifica, altri insegnanti di indirizzarmi verso la filosofia. Nel dubbio, passai un po’ di tempo a riflettere e scelsi fisica. Poi, dopo un anno, mi trasferii a matematica. Non credo di essere uno sfigato, un “choosy” o un bamboccione: sono entrato in ruolo con concorso a 25 anni. Conosco molti che, come me, hanno esitato, hanno cambiato e spesso sono risultati i migliori. L’idea che una persona, addirittura dalle scuole medie debba decidere quale sarà la sua professione ribalta la visione della scuola come l’unica fase della vita in cui, pur faticando, l’unico scopo è sé stessi e la propria formazione. Concependola come un luogo in cui si addestrano addetti alle professioni non si formeranno persone dotate di autonomia, di creatività e cultura, com’è richiesto da una società avanzata, ma un esercito di polli di batteria senza autonomia e potenzialmente frustrati.



Niente da fare: l’idea dilaga per l’interessato interesse di ambienti imprenditoriali a gestire l’istruzione a loro uso e consumo, e perché ha trovato nel ministro Profumo un paladino. Il ministro è riuscito nell’impresa unica di mettere insieme un cocktail infernale: una visione tecnocratica e sprezzante della cultura (conta solo quel che “serve”), una visione demagogica della scuola come centro civico, la mania della digitalizzazione, la mania della valutazione universale mediante test. 



L’ultimo prodotto di questo cocktail è la parola d’ordine “giocare d’anticipo” che, per decreto, antepone i test d’ingresso universitari all’esame di maturità. Gli studenti sono già impegnati a prepararsi per sostenere questi test che, come ha precisato il ministro, riguarderanno le solite prove di “logica” e “comprensione del testo” che abbiamo visto all’opera di recente e che sono servite solo a mettere in luce l’abissale ignoranza di chi li ha preparati. Così, la scuola sta diventano un grande percorso a test: i test Invalsi delle primarie, quelli delle medie che fanno già media, l’ultimo anno dei licei dedicato a preparare i test d’ingresso alle università. Mi scrive un insegnante disperata perché quest’anno inizia la sperimentazione delle prove Invalsi di scienze e inglese e, in tal modo, si inizierà a sottrarre agli insegnanti sia la valutazione che la didattica, costretta a trasformarsi in “teaching to the test”. Basta ascoltare per udire un coro di sconforto e desolazione tra insegnanti e dirigenti scolastici per il dilagare di adempimenti e di soffocante burocrazia. 



Ma il ministro è sordo. A noi risultava che egli fosse in carica “per il disbrigo degli affari correnti”, e invece non si è mai visto un siffatto ministro prendere tanti provvedimenti che nulla hanno di ordinario, che modificano in profondità la struttura dell’istruzione e richiederebbero almeno uno straccio di discussione pubblica. 

A lui non importa e procede come un carro armato, o piuttosto con un carro di Tespi affollato da una dirigenza e burocrazia ministeriale sempre più invadente e dirigista, da enti di valutazione sempre più pletorici, attorno a cui ronza uno stuolo di “esperti” la cui unica competenza è dichiararsi pomposamente 2.0.

Alcuni mesi fa, su queste pagine, illustravamo le dodici mosse con cui il ministro stava distruggendo il sistema nazionale dell’istruzione (scuola e università). Dobbiamo ammettere che egli ci ha sorpreso, mostrando una fantasia e uno spirito d’iniziativa inattesi. Altro che dodici mosse!… Il “ministro per il disbrigo degli affari correnti” è riuscito a combinarne una lista interminabile che lascerà una traccia indelebile.

È riuscito a generalizzare il sistema dei test a ogni aspetto dell’istruzione, facendone una sorta di ossessione maniacale, fino a quest’ultimo exploit dei test d’ingresso all’università anticipati.

Ha inventato i Tfa speciali, su cui si può discutere e avere opinioni diverse, ma che sanzionano il fallimento di un sistema a regime di formazione degli insegnanti basato sul merito; cui va aggiunta la scelta sciagurata di accantonare uno dei punti più qualificanti della riforma della formazione degli insegnanti, e cioè le lauree magistrali specifiche che, soprattutto per le secondarie di primo grado, ponevano rimedio alle gravissime carenze nella formazione matematica (ma a lui cosa importa dei contenuti?).

Ha ridisegnato il sistema della valutazione dell’istruzione, conferendo poteri crescenti all’Invalsi e all’Indire, evitando un dibattito pubblico su una questione tanto centrale e strategica, e imponendo nei fatti l’idea che la valutazione la fa un gruppetto di burocrati, di “economisti della scuola” e di statistici, dotati del potere insindacabile di scegliersi i consulenti che più a loro aggradano; in barba ai declamati principi di oggettività. E, come se non bastasse, ha proceduto al rinnovo dei vertici di questi enti, sottraendo questa scelta al futuro ministro.

È venuto meno alle promesse di fare luce sulla squallida vicenda delle “pillole del sapere”, il che è gravissimo perché quell’episodio configurava una prassi cui tende con tutte le forze la dirigenza ministeriale, e cioè di confezionare direttamente i “prodotti” didattici, imponendo di fatto agli insegnanti, ridotti a semplici badanti, la loro trasmissione a scuola, mediante Lim o altri apparati.

Ha varato di forza la digitalizzazione dei libri di testo, con un’accelerazione irresponsabile per almeno tre motivi: perché le scuole sono allo stremo e, in assenza di reti wi-fi a banda larga, la digitalizzazione dei testi si trasformerà in una buffonata epocale; perché i tempi imposti non permettono di determinare standard unificati dal punto di vista informatico e soprattutto di creare testi di qualità (ma a lui cosa importa dei contenuti?); e perché questa operazione farà crollare l’impiego nel settore dell’editoria scolastica, il che non è una bella idea coi tempi che corrono.

Ha varato una nuova trovata che allarga smisuratamente la platea degli studenti con problemi, ovvero trasforma ciascuno in un “problema”: con i Bes, Bisogni Educativi Speciali, comprendenti «svantaggio sociale e culturale, i disturbi specifici di apprendimento (Dsa), disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana». D’ora in poi ognuno avrà il suo Piano Didattico Personalizzato (Pdp, per la gioia dell’acronimismo buromaniacale). Sarà la rincorsa ad avere il piano più facile e a studiare il meno possibile, facendosi diagnosticare questo o quel “bisogno”, in un’orgia di certificati che sommergeranno scuole, dirigenti didattici e insegnanti. Nei paesi in cui sono state sperimentate queste differenziazioni, addirittura colorando diversamente i banchi secondo i piani didattici, i ragazzi o bambini hanno finito col dividersi in bande picchiandosi selvaggiamente e picchiando anche l’insegnante. È facile immaginare i sentimenti del gruppo che deve studiare di più nei confronti di quello che studia di meno perché proveniente da zone socialmente “svantaggiate”… Ma anche se il ministro non lo sapesse, a lui non importa nulla, tanto se ne andrà con il diploma di “democratico” e “inclusivo” lasciando la patata bollente ad altri.

Poi ci sarebbe il capitolo università, che meriterebbe un articolo a parte e, circa il quale, ci limitiamo a menzionare il disastro compiuto con la gestione delle prove di abilitazione nazionale da parte dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca), cui il ministro ha concesso poteri crescenti che hanno di fatto azzerato l’autonomia universitaria, conferendo all’ente il potere di verificare il livello degli apprendimenti universitari e, su questa base, valutare le università e persino i corsi di studio, e addirittura di decidere quali dottorati possono essere attivati.

Su tutto plana l’incredibile conferimento di fondi agli enti di valutazione, sempre più ricchi e sempre più dotati di mezzi per fare cose inutili o dannose, mentre il sistema dell’istruzione propriamente detto, cioè quello che si occupa dei contenuti dell’insegnamento, viene tagliato nei finanziamenti in modo sempre più feroce. Ma a chi interessa dei contenuti e degli insegnanti di ogni ordine e grado? Figure che sarebbe meglio abolire, trasformandole in badanti deputate a “somministrare” le batterie dei test trasmesse dal ministero e dai suoi enti di valutazione e che sono preposte all’accensione e allo spegnimento delle Lim, previo inserimento dei materiali didattici di produzione ministeriale, che attendono al funzionamento della rete, che sorvegliano l’applicazione dei Bes secondo le certificazioni di psicologi, sociologi e Asl e compilano diligentemente le centinaia di scartafacci (digitali) come imposto dal Superiore Ministero.

Giorni fa, durante un corso di formazione, un insegnante ha osservato che non bisogna dimenticare che la Costituzione garantisce la libertà d’insegnamento. Molti non si sono resi conto che, nei fatti, ormai è stata cancellata, per cui il problema che si pone è di riconquistarsela. 

Quanto al “ministro per il disbrigo degli affari correnti” Profumo, l’unico dubbio che lascia dietro di sé è se sia stato peggio lui o Giuseppe Bottai.