Seconda parte dell’articolo di Giuliana Zanello. Leggi qui la prima parte.
Forse sì. Prima di tutto, può cercare di far capire quanto detto sopra: della manutenzione di ciò che gli è stato insegnato ciascuno è responsabile personalmente. Se non si matura questo atteggiamento fondamentale, non c’è mezzo che scongiuri l’analfabetismo di ritorno.
Deve essere chiaro che non si ricomincia da capo: il compito di riattivare le conoscenze deve essere con chiarezza consegnato all’allievo, pur dentro un rapporto di sostegno attento.
Naturalmente l’abitudine mentale a considerarsi compito di qualcun altro non si sconfigge all’istante, tuttavia in molti casi la capacità di cambiamento dimostrata da allievi così interpellati può essere sorprendente.
Poi i contenuti. La battaglia comincia non di rado già nei documenti prodotti dalle scuole (un giro tra i siti può essere istruttivo), nei quali i contenuti sono concettualmente subordinati e anche graficamente emarginati fino a sparire sotto una mostruosa proliferazione di didattichese.
Qui gli esiti non sono affatto sicuri: non sappiamo più che cosa sia necessario trasmettere ai giovani, che cosa sia buono, che cosa sia bello, e questo è un fatto. L’assenza di gerarchia tra il centesimo messaggio insignificante dell’amico e un testo carico di gloria e di millenni è nella testa degli adulti, prima che in quella dei ragazzi. Tuttavia è bene combattere, anche se probabilmente si perderà, così che quella gerarchia resti viva e si tempri nella mente e nel cuore dell’insegnante.
Oggi l’insegnante di italiano non può aspettarsi sostegni esterni: l’abitudine a pensare al patrimonio culturale solo in termini funzionali, da padroni e non da discepoli, e insieme la sconfortante mancanza di immaginazione per cui non ci si ferma mai un momento a pensare se un mondo in cui tale patrimonio fosse scomparso del tutto dalle coscienze sarebbe migliore o peggiore, lo hanno lasciato del tutto solo.
Solo, con l’intima convinzione del valore di ciò che propone, che può bastare a dargli la paziente determinazione di pretendere dagli allievi che ascoltino e studino. Che riassumano, a voce e per iscritto, con il testo davanti o dopo averne ascoltato la lettura; che eseguano parafrasi; che accettino di scommettere su un romanzo o una poesia fino a scoprire che significa qualcosa, qualcosa di eventualmente più interessante dell’immenso chiacchiericcio mediatico, del mare di non-testi con cui trituriamo le nostre ore.
Ma certo si tratta di questioni complicate. A ogni passo si aprono nuovi problemi. L’insegnante del biennio delle superiori deve far leggere solo letteratura? Più che altro letteratura? Almeno un po’ di letteratura? Meno letteratura possibile? La letteratura è un linguaggio speciale, un settore del sapere (si può dire così?) di cui si è in passato esagerata l’importanza, inutile e inutilmente complicato, oltre che ambiguo (non solo sul piano linguistico, ma anche ideologico) nei messaggi?
O un patrimonio che l’allievo ha il diritto di ricevere in consegna? Tra difficoltà dilaganti nel comprendere, scrivere e parlare dignitosamente la lingua madre e ore di lezione ridotte dall’ultima riforma (e non solo da essa), la letteratura non finisce per fare la figura ridicola di un ninnolo pretenzioso in una casa che va a pezzi? Non è meglio concentrarsi su testi di altro tipo, scientifici, informativi, normativi, argomentativi a vario titolo, vicini alla realtà e funzionali allo studio di tante altre discipline?
Con l’ovvia premessa che in questa materia non ci sono ricette infallibili né panacee, si può fare qualche osservazione.
La scuola in realtà è tutta fatta di testi di questo tipo, varii per materia e grado di difficoltà: sono i libri di testo naturalmente; e sotto questo aspetto, davvero l’educazione linguistica ha sempre profittato del contributo di tutti: il compito di fornire gli strumenti è dell’insegnante di italiano, ma gli esercizi di applicazione e rinforzo si praticano in ogni disciplina, perché non si può studiare nulla senza riassumere, schematizzare, analizzare… Lo stesso insegnante di lettere che ha a disposizione un manuale di letteratura, dal linguaggio ricco e fluente, un manuale di grammatica, dal linguaggio tecnico, un manuale di storia e uno di geografia, con ogni tipo possibile di testi argomentativi ed espositivi, non ha bisogno di cercare troppo lontano.
Ecco, forse però il problema è che nelle righe qui sopra sono sbagliati i tempi verbali. Questa non è la scuola, era la scuola. E ancora una volta, l’assalto tecnologico ha accelerato ma non avviato un processo che è stato lento e inesorabile: testi sempre più brevi, sempre più spezzati, già così sintetici che non ha senso riassumere, dove i concetti fondamentali sono già graficamente posti in evidenza, togliendo allo studente l’onere e la soddisfazione di farlo.
L’eliminazione materiale del libro è solo l’ultimo capitolo, tanto che in molti casi si tratta in realtà dell’eliminazione del non libro, di una colorata quanto esangue larva che viene accompagnata al cimitero con il vestito di carnevale, quello che ha indossato per assomigliare a se stessa il meno possibile, nella convinzione di poter essere accettata solo a questo patto.
Al biennio, tuttavia, molto può essere recuperato, ma ad una condizione.
Non si può pensare di proporre un’infinita propedeutica al libro (materiale o elettronico) di impegnativa lettura. Perché l’addestramento, per quanto intelligente, non può che risultare, a quell’età, mortalmente noioso e deludente, mentre testa e cuore hanno bisogno di nutrimento robusto. Per i risultati occorre avere pazienza, ma per ottenere che un lavoro abbia inizio bisogna conquistare l’alleanza di tutto ciò che nel ragazzo anela a crescere e a capire.
Non si può pensare di proporre un’infinita propedeutica al libro (materiale o elettronico) di impegnativa lettura. Perché l’addestramento, per quanto intelligente, non può che risultare, a quell’età, mortalmente noioso e deludente, mentre testa e cuore hanno bisogno di nutrimento robusto. Per i risultati occorre avere pazienza, ma per ottenere che un lavoro abbia inizio bisogna conquistare l’alleanza di tutto ciò che nel ragazzo anela a crescere e a capire.
La grande letteratura (magari rinunciando a fare a pezzi i testi in modo esasperato: anche se le autopsie sembrano godere di fortuna nelle serie televisive, sono poco emozionanti sul cadavere di un sonetto), la storia, la geografia devono occupare il centro della scena. Solo il fascino di tale proposta può far scoprire la bellezza del fare attenzione, può far sorgere qualche slancio di emulazione, può indurre financo a rammaricarsi di non aver mai studiato bene i verbi irregolari, e a farlo, finalmente.
(2/2 − fine)