Ma guarda un po’: anche un docente scopre la bellezza di rileggere Verga! Quel Verga che pensavi di avere già capito, già incasellato, già messo a tacere negli schemi della critica letteraria, ecco che d’improvviso ti suona strano, nuovo, sorprendente. Scopri che nelle sue pagine c’è molto più di quello che pensavi. E come e dove accade questo piccolo-grande miracolo? A Firenze, manco a farlo apposta, in mezzo a più di 1800 studenti venuti da tutta Italia. Ci sono loro, ci sono i tuoi studenti, ci sono diversi colleghi con cui ti puoi incontrare e confrontare.
Soprattutto, a Firenze, durante la tre giorni dei “Colloqui fiorentini”, c’è la possibilità di ascoltare e di guardare, due verbi che (è lo stesso Verga che ce l’ha insegnato) aiutano a vivere, a comprendere la realtà. E allora, quando poi torni a casa, ti resta negli occhi lo stupore per l’avventura della conoscenza che hai potuto vedere nelle facce degli altri. Ti restano nelle orecchie le parole che hai ascoltato, soprattutto quelle dei ragazzi, col loro entusiasmo, la loro voglia di partecipare e di essere protagonisti di quell’avventura.
Perché a Firenze, per dirlo brevemente, accade questo: che tutti (alcuni per la prima volta) si accorgono che i “classici” sono degli uomini che parlano ad altri uomini, a noi, a ciascuno di noi. E parlano della nostra vita, illuminano la nostra vita. Per cui anche davanti ad una pizza, la sera, ti ritrovi ancora a parlare di ’Ntoni e di suo nonno, di Mazzarò e Mastro Don Gesualdo, di Jeli e di Rosso Malpelo. Perché lo puoi fare, senza sentirti un pazzo? La risposta è nella grinta con cui Elena mi ha detto la sua scoperta: “Quello che è incredibile è che Verga c’entra con la mia vita!”. E quello che ha detto lei, sono sicuro che lo sottoscriverebbero quasi tutti i 1800 ragazzi che hanno partecipato la scorsa settimana ai Colloqui Fiorentini. E lo sottoscriverebbero anche quasi tutti i professori (le eccezioni ci sono sempre), che sfidando tutto e tutti (presidi, consigli di classe, mancanza di fondi, invidie e piccinerie di certi colleghi preoccupati di perdere la propria parrocchietta) si sono coinvolti con entusiasmo.
Ma guarda un po’: la letteratura c’entra con la vita! E chi l’avrebbe mai detto? Le parole dell’autore (Verga, appunto, per l’edizione 2013) risuonano non solo nuove, ma più vere. Ti giudicano, perfino. Per cui non puoi continuare a guardare il tuo compagno di banco, quello antipatico, come facevi prima, prima, intendo, di leggere con attenzione e con immedesimazione Rosso Malpelo. Sono i ragazzi che l’hanno detto.
Per cui puoi anche imparare a piangere sulla sofferenza degli altri, perché impari a confrontarla con la tua sofferenza (mi sembra che una preghiera della tradizione cristiana chiedesse a Dio proprio il “dono delle lacrime”). Per cui puoi cominciare ad interrogarti in modo anche più profondo rispetto alle tue scelte di vita, se solo prendi sul serio la parabola di ’Ntoni (come si è fatto in questi giorni). E si potrebbe continuare.
Quello che impressiona, partecipando ai Colloqui Fiorentini, ogni anno e ogni volta di più, è che rinasce il gusto dello studio, per i ragazzi, e del proprio lavoro, per i docenti. Per noi è un vero e proprio corso di aggiornamento fatto sul campo. Noi, come ha detto qualcuno, in quei giorni diventiamo studenti insieme ai nostri studenti. E questa fusione, è stato anche detto, è la scuola. Noi, noi docenti, finalmente possiamo respirare, fare un’esperienza di libertà, o di colore, rispetto al grigiore in cui ci affondano i programmi e le scadenze della scuola. La libertà, poi, diventa contagiosa, genera libertà, quella che è un bene preziosissimo e che va lasciata ai nostri ragazzi nell’incontro coi testi.
Sì, qualcuno potrà obiettare che questo approccio “ingenuo”, diretto al testo è insufficiente, e che ci vogliono le necessarie contestualizzazioni, le analisi storico-letterarie, l’impianto critico. C’è da chiedersi, però, quanto sia necessario leggere e studiare prima di poter gustare la verità e la bellezza di una novella. Verga ha scritto (e questa era la frase che ha fatto da leit motiv al concorso di Firenze) che “il semplice fatto umano farà pensare sempre”. E non facciamo forse un torto allo scrittore siciliano quando svalutiamo la lettura “ingenua”, ma appassionata, di quel “semplice fatto umano”, quasi che non bastassero “cuore e ragione” per arrivare a coglierne la bellezza?
Ora, tornando a casa da questa esperienza, abbiamo un bel problema: come comunicare agli altri quello che abbiamo percepito e imparato? Come spiegarlo agli studenti che non hanno partecipato, ai docenti che non si sono coinvolti? Come fare perché il dono ricevuto, il gusto e la libertà sperimentati divengano una possibilità anche per gli altri?
“Dobbiamo fare qualcosa”. Già da oggi. Ci siamo lasciati con questa promessa, con questo proposito. L’avventura è appena cominciata.