Era il luglio 2012 quando Paolo Sestito, commissario straordinario dell’Invalsi, si sbilanciava prefigurando un uso dei dati Invalsi all’interno di un più ampio processo di valutazione interno alle scuole. Così scriveva nella prefazione al Rapporto nazionale: “I dati così restituiti alle scuole – assieme alle informazioni di natura più amministrativa inserite dal Ministero nel circuito di ‘Scuola in chiaro’ – potranno loro consentire di attivare processi interni di autovalutazione basati tanto sulla comparazione e sul confronto col resto del sistema, quanto sulla disponibilità di informazioni dettagliate sui propri punti di forza e di debolezza, per come individuate nei diversi sottoambiti delle prove di cui questo rapporto presenta un primo quadro generale a livello di sistema. L’Invalsi supporterà tali processi di autovalutazione, con una guida alla lettura dei risultati della rilevazione sugli apprendimenti – che verrà resa disponibile a beneficio delle diverse componenti della vita scolastica – e con la predisposizione di ulteriori strumenti di rilevazione del proprio clima interno che le scuole potranno adoperare”.
Dopo una lunga gestazione della “cultura della valutazione”, una parola d’ordine i cui confini stentavano a delinearsi e producevano esperienze difformi; dopo le evidenze internazionali che hanno spinto un ministro dell’economia, Padoa-Schioppa, a firmare insieme al collega dell’Istruzione Fioroni un Quaderno bianco dell’istruzione (2007) in cui l’istruzione era presentata come priorità strategica per il paese; dopo che Olli Rehn ha posto la questione addirittura in termini di vincolo, arriva in uno scorcio di legislatura l’approvazione del Regolamento relativo al Sistema nazionale della valutazione, un “sistema” a tre gambe presieduto da Invalsi con la collaborazione di Indire e del corpo ispettivo, che dovrebbe contribuire a fare uscire il nostro sistema di istruzione da una situazione di inferiorità (rispetto a paesi emergenti come per esempio la Corea) in materia di formazione del capitale umano. Amareggia il fatto che un atto di tanto peso si collochi in un momento di debolezza delle nostre istituzioni, invece che essere al centro di una preoccupazione bipartisan ampiamente condivisa; ma forse così deve essere, in un’Italia in cui le cose importanti passano spesso in secondo, terzo, o ultimo piano.
Non che un Regolamento possa fare miracoli o sostituirsi alla intrapresa umana, alla buona volontà, allo spirito di iniziativa, alla positività nel guardare al futuro. Per questo non ci sono politiche che tengano. La crisi si vince con un’idea concreta di bene pubblico e con la presenza di soggetti che si impegnano per realizzarlo (e purtroppo se ne vedono pochi).
Tuttavia è un segnale per tutti l’idea che un “miglioramento” sia necessario, che senza dati oggettivi navighiamo a vista, che qualcuno possa cominciare a muoversi sulla base dei dati, che i nessi di causa-effetto valgono anche nelle società liquide come la nostra (per esempio che a cattiva qualità della formazione corrisponda cattiva qualità delle risorse umane, poniamo, o che se non si studia si prende 4, o che chi ruba paga, o che chi non ha niente da proporre sta zitto). Si sa che la stessa esistenza di sistemi di valutazione ha effetti positivi (per questo esistono i sistemi di controllo). La presenza di un sistema in cui le scuole si confrontano fra loro e con un benchmark esterno, che si interrogano su quali azioni possono intraprendere da subito (senza aspettare cambiamenti epocali) è una iniezione di realtà.
Del Regolamento, che è stato in gestazione per diversi mesi, abbiamo già parlato altre volte su queste colonne. Nel frattempo ha preso il via il progetto Vales, un prototipo dell’applicazione del sistema tripartito a un gruppo sperimentale di 300 scuole, finanziate e appoggiate da personale esterno. È interessante il fatto che altre 300 scuole volontarie, delle 1000 partecipanti al bando, che non erano state selezionate per la sperimentazione, per non rimanere fuori dall’esperienza si sono autocandidate a provare il modello Vales a loro spese. Il modello prevede un sistema di indicatori e di strumenti di rilevazione che le scuole possono utilizzare per avviare processi “virtuosi”. Inoltre, anche gli 850 dirigenti scolastici di nuova nomina utilizzeranno gli stessi strumenti e consegneranno entro la fine di questo anno scolastico il primo “rapporto di autovalutazione” sulla propria scuola.
Stante la positività generale del processo avviato, l’importante ora è non perdersi nei dettagli (i protocolli, i moduli, gli indicatori, i “chi-fa-cosa” di ogni progetto, i numeri del Fascicolo Scuola in chiaro, le tabelle e i grafici dell’Invalsi) e non perdere di vista lo scopo: migliorare le “risorse umane” che la scuola produce al fine di dare all’Italia un segnale anche se parziale di ripresa. Se le scuole si lasceranno guidare dalle evidenze rispecchiate dal confronto esterno e metteranno mano a quel che può essere cambiato nella direzione dell’efficacia, la scuola ne guadagnerà, e l’Italia ne guadagnerà. Le consorterie in difesa dello status quo oggi sono particolarmente irresponsabili: è una opzione richiesta dai fatti lavorare per togliere la ruggine ai meccanismi inceppati.