Mi ero già espressa su queste pagine a proposito della modalità di punizione educativa che si addice maggiormente alla scuola. Ora – invece – mentre leggo la notizia relativa alla denuncia della Ong britannica Approach affinché il Consiglio d’Europa vieti ai genitori italiani di impartire qualsivoglia punizione corporale ai figli, altrimenti nota nel nostro Belpaese come “sculacciata”, che violerebbe le norme sulla tutela dei minori largamente condivise dalla maggior parte degli altri Paesi membri, mi sorge il dubbio che la questione sia mal posta anche se politicamente corretta. La denuncia trae spunto dall’indagine Ipsos del 2012 secondo la quale solo il 25 percento dei genitori intervistati dichiarerebbe di non essere mai ricorso all’uso (e/o all’abuso?!) delle mani. 



Posto che le interferenze comunicative tra scuola e famiglia, sia nel caso che la prima giudichi la seconda sia nel caso contrario, sono motivo di perenne conflitto e rivendicazioni varie, sorge in me un’ulteriore domanda. Ma i “ricercatori” Ipsos cosa cercavano veramente? Il dubbio nasce spontaneo dalla lettura dell’esito del sondaggio proposto proprio lì accanto all’agenzia Ansa Europa 2014 del 14 febbraio scorso, “Vietare tutte le punizioni corporali ai bambini?, che segnala la netta propensione dei lettori alla risposta affermativa. Bastano le buone intenzioni a garantire la gestione efficace del difficile compito educativo? Siamo certi che solo con l’emanazione di leggi ad hoc, seppur largamente condivise e assolutamente necessarie per i casi di punizioni oltre misura, si otterrà l’obiettivo della tutela dell’infanzia? 



Secondo l’articolo in Italia la legislazione è arretrata e dunque da aggiornare perché lo “jus corrigenda”, il diritto a correggere, è ancora in vigore. Personalmente lo considero un dovere, purché esercitato attraverso modalità adeguate all’età e rispettose della crescita di persone sane, mentalmente e fisicamente.

Semmai l’approccio è un altro e proviene dall’esperienza scolastica dove la “correzione” appartiene alla sfera del ripensamento, proprio come un compito mal riuscito e poco curato.

Comunicare ai bambini attraverso linguaggi extraverbali eccessivi con sgridate e “bacchettate” davanti a tutti è pericolosamente controproducente. Se ciò dovesse accadere, meglio provvedere a chiedere venia per il gesto sfuggito al self control. Appurato che la violenza educa alla violenza, è notorio che le parole possono ferire molto più di gesti eventualmente sfuggiti.



Credo proprio che ogni bambino desideri essere educato a capire cosa è giusto, bello e buono a partire dalla relazione di fiducia nell’adulto al quale viene affidato. Probabilmente non ha ancora affinato la capacità di scegliere e a volte gli mancano gli strumenti per decidere. Pare navighi a vista, mentre crescere comporta correzioni di rotta continui per giungere in porto nonostante le procelle interiori e quelle che provengono dal mondo degli adulti, a volte imprevedibili.

Ci basta osservare i nativi digitali iperconnessi e solo apparentemente indipendenti. È evidente il loro desiderio di essere presi in considerazione da esseri umani in carne e ossa, capaci di interloquire dal vivo anche per essere ri-presi, magari per mano, non con le mani, se e quando ne avessero bisogno…