«È un caso di antipluralismo nell’educazione che trovo clamoroso». Nicolò Zanon, costituzionalista e membro del Csm, commenta con queste parole il referendum consultivo sul finanziamento delle scuole paritarie bolognesi, voluto dal «Comitato art. 33 – Difendiamo la Costituzione» contro la convenzione tra il Comune di Bologna e le scuole materne paritarie. 25 di queste su 27 sono cattoliche.



Come giudica il richiamo simbolico del fronte referendario all’articolo 33 della nostra Carta?
È figlio del clima folle che si è creato intorno ad alcuni totem, uno dei quali è proprio l’articolo 33. Si tratta in realtà di una battaglia ideologica e di retroguardia, falsamente ricondotta alla Costituzione italiana.



Invece?
Io leggo che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Mi pare che a Bologna non si tratti di istituire scuole, ma di far funzionare quelle che già ci sono. Nel caso concreto non solo non ci sono oneri per lo Stato; l’amministrazione comunale, a fronte di un contributo di un milione, ci guadagna molto di più, riuscendo a soddisfare una domanda di servizi alla quale diversamente non riuscirebbe a rispondere.

Ma allora come si spiega secondo lei la campagna referendaria?
Siamo nel solco di una lettura forsennatamente giacobina della nostra Costituzione, già documentata in altre occasioni sia da questa battaglia antiparitaria, sia da alcune note manifestazioni pubbliche. C’è un’area culturale radical-giacobina che crede di interpretare la purezza originaria dei valori della Costituzione, in realtà la tradisce dandone una lettura fuorviante e parziale. E rendendole, sul piano culturale, un pessimo servizio.



Quali sono le implicazioni di questa lettura così radicale?
Quella di veicolare al suo interno una precisa concezione di laicità dello Stato: una laicità di combattimento, non positiva ma negativa, che chiede allo Stato una «neutralità» che non risulta affatto neutra, come invece potrebbe sembrare a prima vista, perché profondamente ostile al pluralismo religioso e al ruolo della religione nella vita pubblica. Sotto questo aspetto accusiamo un ritardo clamoroso.

Si spieghi, professore.
In tutte le grandi democrazie, a parte la Francia che si trova in questo momento in una condizione forse diversa, il dibattito pubblico tiene conto dell’apporto della religione e non nega affatto che la religione possa partecipare al dibattito pubblico e per questo possa avere un ruolo nell’educazione e nella formazione dei giovani. Da noi invece si insiste nel replicare una lettura della laicità come divieto dello Stato di favorire lo sviluppo di un pensiero plurale.

Dopo quel terzo comma dell’articolo 33 ne viene un quarto: «la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Che ne pensa?

È esattamente cià che accade a Bologna con la convenzione tra Comune e scuole paritarie. Il contributo che il Comune dà − scelta non unilaterale perché facente parte di una convenzione stabilita tra le parti − consente alle scuole convenzionate di mantenere delle rette ragionevoli, e quindi di allargare il diritto di scelta dei genitori meno abbienti a favore delle scuole paritarie non statali. Parallelamente il Comune ottiene che il complesso dell’attività scolastica nelle scuole paritarie non statali sia equipollente a quello svolto dalle scuole statali.

Bene il sistema integrato, dunque.
Sì, perché ottiene due risultati: di tutelare il pluralismo culturale delle famiglie e di conformare a precisi standard il servizio scolastico offerto delle scuole paritarie. Mi pare uno di quei pochi esempi virtuosi esistenti nel nostro paese di collaborazione efficace tra le autorità pubbliche e l’iniziativa dei privati. Volerlo abbattere sulla base di un presunto «ritorno alla Costituzione» è fanatismo.

Nel «partito» referendario c’è chi dice che abrogando la convenzione si va incontro ad una carenza di posti nella scuola statale, ma che questa situazione non giustifica comunque il finanziamento pubblico.
È la prova che prevalgono ragioni di natura massimalistico-ideologica. Ovvero: è più importante il fatto politico che lo Stato (o il Comune) si astenga da qualunque intervento che possa consentire a scuole che hanno una impostazione culturale sgradita di andare avanti, piuttosto che mantenere un livello di scolarità così soddisfacente come quello che viene assicurato a convenzione vigente. È agghiacciante, ma è tipico dell’astrattismo radicale che trasforma in questioni ideologiche cose che vanno trattate con la concretezza e il rispetto dovuto alle realtà che ci sono.

Ci sono altri casi riferibili alla nostra Costituzione di questo astrattismo radicale?
Per esempio, la declinazione dissennata del principio di uguaglianza senza distinzioni riferita all’articolo 3; quando, in realtà, tale principio si nutre di ragionevoli distinzioni in base alle condizioni concrete.

A chi o a che cosa si riferisce esattamente?
A chi sostiene l’insensatezza di una particolare immunità legata al capo dello Stato: se tutti i cittadini sono «eguali» davanti alla legge, coerenemente l’istituto di quella particolare immunità non ha senso. Si tratta di una propaganda ideologica che finisce per mascherare anche le scelte più sagge che sono state fatte nel corso del tempo e che la nostra Carta ha fatto proprie.

Non sembra molto popolare, tra i referendari, la legge 62/2000. Perché secondo lei?

Quella legge (che porta la firma dall’allora ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, ndr) dice chiaramente che il sistema nazionale di istruzione è complesso, «costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Un servizio pubblico non è necessariamente in mano allo Stato: un conto è la funzione, un conto la natura giuridica di chi eroga il servizio. Ebbene, la cosa incredibile è che ancora si debba spiegare che pubblico non è sinonimo di statale. È l’idea per cui pluralismo e sussidiarietà sono termini insensati e coprono interessi di parte.

Una sua valutazione politica?
A Bologna si sta consumando uno scontro politico e culturale molto grave. Esso dimostra che a sinistra, anche quando si faccia una scelta lungimirante come quella del Pd di difendere la convenzione, quando si arriva al dunque c’è ancora chi obbedisce al richiamo della foresta di visioni ideologiche astrattamente egualitarie. Non è bene, per l’eredità storica e il futuro politico di questo paese, che esse abbiano la meglio.

(Federico Ferraù)

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