Come docente di Lettere nell’attuale scuola secondaria di I grado, ho letto con interesse l’intervento di Rossi Doria comparso sul quotidiano La Stampa lo scorso 21 aprile. Sarebbe davvero imperdonabile trascurare l’anniversario dei 50 anni dall’approvazione della legge 1859 che istituì in Italia la scuola media unificata!
“Una conquista storica in termini di uguaglianza”, la definisce nel suo articolo Rossi Doria; gli fa eco, dalle pagine del Corriere, Pierluigi Battista che riprende lui pure il tema, ponendo l’accento sull’impulso che la politica diede in quel momento al paese consentendo “la rottura di una barriera di classe”. Ma si è davvero “smarrito”, come recita il titolo dell’articolo di Battista, il ricordo di quella riforma scolastica?
Il tema è, in verità, di portata vastissima ed esigerebbe uno studio approfondito suffragato da dati analitici e puntuali. Mi limiterò – come peraltro mi è stato chiesto – a mettere in campo la mia personale esperienza e proprio da essa intendo muovere.
C’ero anch’io – in quel lontano ottobre del ’63 – a varcare la soglia della nuova scuola media per intraprendere un percorso che, se aveva la prerogativa di essere comune a tutti gli studenti perché applicato su scala nazionale azzerando così ogni discriminazione sociale, non poteva però dirsi unitario nella proposta delle conoscenze e dei saperi. Questa connotazione, mi sento di affermare, è ancora presente; anzi appartiene in toto alla realtà dell’attuale secondaria di I grado che di questo limite più che mai soffre.
Se infatti negli ultimi anni è stato innalzato ulteriormente l’obbligo di frequenza, si rileva però un pesante abbassamento dei livelli di apprendimento nell’intera popolazione scolastica; non mi dilungo al riguardo; mi limito invece a suggerire una “visita” al sito dell’Invalsi che riporta i dati di tutte le rilevazioni dettagliate per territorio e tipologia di utenza.
Appiattimento dunque, livellamento al basso, complessivo impoverimento della lingua, spesso si parla – e forse a ragione – di vero e proprio imbarbarimento…
Se, come è vero, la riforma del ’62 mise in funzione la mobilità sociale dando nuovo impulso anche all’economia italiana che proprio in quegli anni stava vivendo il suo miracolo, che cosa allora non ha funzionato, che cosa si è ingrippato nell’ingranaggio della politica scolastica fino alla débâcle di cui siamo oggi spettatori spesso impotenti?
Giulio Ferroni in un libro del ’97 dal titolo Scuola sospesa. Istruzione, cultura e illusioni della riforma fa un interessante riferimento a Pasolini e, citandone un pezzo comparso sul Corriere proprio alla vigilia della sua tragica morte, così commenta: “[Pasolini] si rivolgeva contro una scuola che non gli sembrava in nessun modo realizzare un universo civile e condiviso, ma diffondere un’uniformità cinica e degradata; occorre riconoscere – prosegue Ferroni – che Pasolini aveva avvertito molto precocemente la deriva della scuola italiana, la sua debolezza nel contrastare i modelli culturali imposti e diffusi dai media. La scuola insomma aveva, e io aggiungo, ha rinunciato a se stessa, al suo compito di riscatto dell’Italia più umile e autentica e di trasmissione di quel bene e di quella bellezza che, con tutte e sue contraddizioni e i suoi errori, il passato aveva comunque saputo trarre alla luce”.
Introduco a questo punto il secondo e ritengo non meno importante aspetto che necessita di una riflessione: mi riferisco al progressivo e sembra inesorabile distacco della scuola dal mondo del lavoro. Nessun tentativo di riforma realizzato anche in anni più recenti è stato in grado di invertire la tendenza. Proprio l’innalzamento dell’obbligo scolastico ha paradossalmente acuito tale distacco limitandosi a spostare solo di qualche anno più avanti l’impatto, oggi più che mai sofferto, con l’universo lavorativo. Occorreva infatti che a tale innalzamento si accompagnasse parallelamente una radicale rivoluzione nel metodo e nell’impostazione della trasmissione del sapere. Questo mancato intervento, oltre che aggravare la piaga dell’autoreferenzialità di cui la scuola soffre, ha impoverito di dignità non solo il sapere, ma anche il lavoro, non consentendo così alla scuola di preparare i ragazzi ad affrontarlo.
La globalizzazione culturale ed economica degli ultimi decenni, anziché rivelarsi un’occasione di evoluzione positiva, ha esasperato questi limiti.
La strada da intraprendere per superare l’impasse non afferisce certamente all’area delle tecniche e degli strumenti, quanto invece alla necessità di riprendere in mano il concetto di educazione, come introduzione alla realtà totale secondo il metodo dell’esperienza: da qui si può ripartire per una vera riforma scolastica a tutti i livelli e per un reale avviamento al lavoro, valorizzando le diversità culturali e cavalcando anche l’evoluzione tecnologica, attraverso la formazione di personalità consapevoli e capaci di entrare in rapporto con la realtà tutta.