Che cosa può attendersi la scuola dal nuovo governo? La domanda ancora una volta potrebbe essere: la scuola nel nostro Paese a che cosa e a chi serve, visti gli alti tassi di abbandono che anche il documento dei saggi ha evidenziato?

Occorrerebbe un colpo d’ala, un salto di intelligenza che porti finalmente una classe politica obbligata in qualche modo a convergere su obiettivi comuni a puntare anzitutto sulle condizioni che rendono possibile la sintesi tra la qualità dell’offerta di insegnamento e la soddisfazione di chi apprende. 



La scuola è infatti l’ambito in cui il fenomeno della conoscenza della realtà, la cui scintilla può accendersi nella persona per motivi del tutto indipendenti dalla frequentazione delle aule di studio, trova occasioni per maturare ed approfondirsi. È infatti nell’esercizio del criterio di giudizio, cioè nella critica, giustamente intesa, che la persona cresce nella proprie convinzioni e il criterio stesso si rafforza come motore di novità, mostrando tutta la sua validità. Abbiamo oggi troppo spesso percorsi scolastici dove c’è un po’ di tutto, tranne che la proposta chiara del metodo per cui si impara ad apprendere. Il paragone talvolta impietoso e non sempre giustificato con i parametri di rendimento europei spinge sempre di più la scuola italiana verso i lidi della funzionalità dei contenuti del sapere. Circolano dalla primaria alla superiore saperi ridotti in pillole, moduli staccati dalla loro origine, informazioni il cui assembramento nelle menti degli alunni assomiglia al mare della Rete, dove c’è di tutto, ma non la ragione per cui c’è. 



In questo modo la curiosità conoscitiva degli alunni, all’inizio fresca e motivata, lentamente si spegne, fino a trasformarsi nel migliore dei casi in stanca routine, se non avviene nella scuola qualcosa che frantumi la ripetitività e permetta ai desideri degli alunni di spalancarsi a proposte finalmente significative. Non c’è dubbio che i materiali d’uso nella scuola, la stessa sua organizzazione (gli spazi, i tempi, gli strumenti della didattica), siano importanti per costruire una scuola che guarda al futuro (che è sempre una rielaborazione intelligente della tradizione). 

Ma non c’è altrettanto dubbio che una funzione importante nella trasmissione delle conoscenze dipenda dagli adulti che vivono nella scuola, anzitutto da coloro che sono più a contatto con le giovani generazioni: gli insegnanti. È necessario e addirittura improcrastinabile un recupero della loro identità, spesso avvilita e piegata a mansioni poco più che impiegatizie. Gli ultimi governi non sono stati propriamente “amici” degli insegnanti, da una parte illusi con promesse di introduzione di valorizzazione dei meriti conquistati sul campo, dall’altra delusi da misure di carattere economico, a volte accennate, altre attuate, di carattere sbrigativo e massificatorio che hanno umiliato la generosità dei migliori. 



Un governo che ridia fiato e spazio ai docenti non deve appiattirsi sull’assistenzialismo sindacale, né deve trattarli come individui indistinti da selezionare e premiare secondo standard asettici decisi in qualche cabina di regia che con la scuola ha ben poco a che fare. Un governo cui stia a cuore la scuola come risorsa fondamentale per il Paese può fare molto, senza lanciarsi in operazioni avveniristiche che finiscono per stravolgere il ruolo della scuola equiparandola magari ad un supermarket della conoscenza. Può semplicemente creare le condizioni affinché all’insegnante sia riconosciuto il valore che gli spetta, di professionista che ha scelto il mestiere del docente perché nella comunicazione di ciò che insegna intende verificare il legame con l’ideale cui appartiene totalmente. 

Dare spazio e maggiore libertà ad insegnanti che si immedesimano in un ideale educativo, riconoscendo la bellezza dei brani di realtà che consegnano alle coscienze degli allievi anzitutto come sfida per la propria vita: questo dovrebbe fare un governo di servizio. Non somministrare gli ideali, magari in confezioni usa e getta, ma ampliare gli spazi di autonomia e di libertà perché chi nella scuola è soggetto professionale possa esercitare la propria responsabilità. Non è difficile e non costa nemmeno tanto, perché si tratta di ripensare e valorizzare l’esistente, anzitutto. È a partire dalla ricostruzione di fiducia del soggetto che sarà poi possibile, magari senza attendere troppo, ridisegnare una carriera del docente, rivedere senza abolirlo il Tfa, rimettere in moto l’organico dell’autonomia, allacciare legami organici tra scuola e università senza sterili contrapposizioni.

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