Che utilità può avere oggi che dei docenti si riuniscano di nuovo a parlare di Clil, avendo raccolto la sfida proposta con il Primo seminario di studio “Formazione linguistica e Clil: una priorità nella scuola secondaria di II grado”, tenutosi il 23 novembre a Seregno, nella non più così prospera Brianza, con un titolo, per il secondo seminario previsto per il 13 aprile, “Showcase Clil: la buona scuola all’opera”, che sembrerebbe promettere una cosa quasi impossibile? La scuola c’è, ed è all’opera? Il Clil non è più solo una priorità, dettata dalla legge, ma ha iniziato ad essere una realtà? Ma quanto, e come è cresciuta?
“Inseguono lo studio delle lingue, le conoscenze informatiche e scientifiche” – questa la frase di apertura del comunicato stampa del Miur relativo ai dati delle iscrizioni alle prime classi degli istituti superiori. Nell’ambito dei licei su base nazionale è in calo non vistoso il classico (-0,5%), lo scientifico “tradizionale” perde il 1,6%, mentre rimangono quasi invariati i saldi delle liceo scienze umane, fra corso “tradizionale” e opzione economico sociale, e del liceo musicale ed artistico. Crescono lo scientifico opzione scienze applicate (+2,2%), quindi con un saldo positivo totale dello scientifico (+0,6%), ed il linguistico (+1,2%). Insomma la partita ai licei se la giocano le lingue e le conoscenze scientifiche.
Per quanto riguarda il linguistico, la riforma della scuola superiore ha dato ordine ad un quadro di sperimentazioni molto confuso e fatto da levatrice al nuovo nato, non più appannaggio delle scuole private, per lo più, ma corso liceale della scuola italiana tutta. L’impatto sulle famiglie è stato positivo, e questo nonostante il fatto che la stessa riforma preveda un monte ore dedicato alle L2 inferiore a quanto non accadesse, a vario titolo, prima del riordino dei cicli. La spinta verso la internazionalizzazione dei percorsi formativi, sia a livello di scuola superiore che a livello universitario, la situazione di crisi attuale, l’incertezza grave relativa alle possibilità di futura occupazione per un liceale in entrata oggi nel percorso scolastico sicuramente spingono le famiglie e gli studenti ad “inseguire” le lingue. E non più solo una, l’inglese; si inseguono “le lingue”. Nel panorama attuale dei cicli il linguistico ha l’appannaggio quasi totale del plurilinguismo; è l’unico corso dove lo studio di inglese ed un’altra lingua comunitaria presente nella scuola secondaria di I grado non diventi una parentesi quasi priva di significato, e in più offre la terza lingua, e non necessariamente comunitaria, in certi casi.
Interessante scelta del redattore del comunicato, “inseguire”, certo fatta per indicare in modo evocativo una tendenza. Ma si insegue chi fugge, o sfugge, oppure un sogno, o anche un miraggio. Cosa è realmente presente oggi nel linguistico, e nei licei, come offerta formativa in ambito di L2? Il nodo cruciale rimangono le indicazioni nazionali con il relativo quadro orario dove, in estrema sintesi, si sottolineano tre cose.
La prima è l’indicazione di un livello minimo di competenza, B2 nel Common European Framework, cioè uno studente che con la lingua fa, abbastanza bene, quasi tutto quel che gli necessita di fare, in tutti gli ambiti di utilizzo ordinari, lavorativi ed accademici. La seconda è l’apertura a qualsiasi “testo” ed area, sotto la generica etichetta di “cultura”; sulla superficie una grande possibilità per la professionalità del docente, ma che evidenzia, come direbbe Oscar Wilde per coloro che “go beyond the surface”, la scelta per le L2 di voler azzerare, a livello legislativo, un dato di tradizione di insegnamento, fatto di contenuti significativi, quasi del tutto legati alla tradizione letteraria, e del loro radicarsi nella narrazione cronologica, dove un uomo del presente apprende da quello del passato, e così facendo lo “modifica”, cioè lo rende vivo e presente oggi. D’altra parte l’apertura alla molteplicità dei testi e dei contesti costituisce una indubbia sollecitazione a fare quanto ogni docente, non solo, ma soprattutto quello delle L2, ed in particolare della lingua inglese, dovrebbe fare sempre: cambiare, innovarsi, perché il contenuto della sua disciplina cambia, per la decadenza dell’inutile, per la ricomparsa di quanto andato perduto per errore o dimenticanza, per comparsa di nuove dinamiche ed aree di pertinenza, ed in altri infiniti modi, che non appaiono tutti sempre e simultaneamente, ma emergono storicamente e contestualmente. Non si tratta di inseguire mode, ma di accettare che lo statuto della disciplina sia dettato dalle “cose”, parola semplice ma non banale. “No ideas but in things” non è solo il motto dell’Imagismo. Esistono le “cose”, ed un lavoro di conoscenza delle stesse che è ricerca, studio, docenza, meta-riflessione, e poi di nuovo ricerca, studio, ed ancora docenza, nella verifica continua di una ipotesi interpretativa ambiziosa, per la sua pretesa di disegnare la mappa non di una terra, ma del cielo stesso. Perché tali sono le “cose”.
La terza indicazione, dopo quella del livello di competenza e l’apertura delle L2 a “testi” (dietro cui si cela, assai poco in trasparenza, la sollecitazione ad allargare l’esposizione alla lingua viva e reale oltre l’area letteraria, ormai evidentemente ritenuta non sufficiente, cosa che mi trova concorde) riguarda il Clil, Content and language integrated learning, previsto per l’inglese per tutti nella classe terminale dei licei, e per il linguistico in due lingue, una a partire dal terzo anno e l’altra dal quarto. Anche senza voler ricostruire la complessa articolazione dei passaggi che dalla Comunità europea hanno portato il Clil nella scuola italiana, è evidente che chi lo ha voluto, e fortissimamente voluto, ambisce in qualche modo a porre fine a quel ritardo nella preparazione linguistica che è il mea culpa storico dell’italiano medio.
L’atto legislativo dell’introduzione del Clil ha le sue pecche, in sé; ad esempio ignora la presenza fra i docenti Dnl e L2, tutti madrelingua L1, cioè italiani, di madrelingua di L2 magari in possesso di una laurea conseguita all’estero, ma non spendibile come docente Clil. Inoltre prevede l’introduzione del Clil con la sola eccezione del linguistico, nella sola classe terminale, senza un percorso precedente, pur auspicato a gran voce? Sorvoliamo sul fatto che l’atto legislativo ha mandato tutti i docenti dei linguistici in classe a settembre 2012 senza l’abilitazione Clil richiesta dalla norma, salvo poi essere ora all’opera per fornirla attraverso i corsi di 20 CFU gestiti dalle università, ma ancora in cantiere o, nella migliore delle ipotesi, di imminente inizio, ad un mese e mezzo circa dalla chiusura dell’anno scolastico.
Ma cosa sta effettivamente succedendo al mondo della scuola oggi per quanto riguarda le L2? Qualcuna delle questioni buttate sul piatto è stata raccolta? Una sicuramente sì, non fosse altro che per la complessità nel processo di formazione professionale che ha messo in campo, dovendo formare come docenti Clil almeno i 16mila docenti Dnl (cioè di discipline non linguistiche, anche se il termine inglese, “Content teacher”, mi sembra decisamente più preciso) dei linguistici che oggi, e molti da settembre 2012, rispettosi dell’obbligo di legge, vanno in classe e fanno Clil in arte, fisica, matematica, filosofia, scienze naturali, musica, ed anche scienze motorie (per magari dover poi vivere la frustrazione di capire, per meccanismi calati dall’altro, che non possono continuare il lavoro intrapreso o, a volte, solo immaginato). Non sempre si sentono pronti, spesso provano su piccole parti, chiedono la collaborazione del docente L2, qualche volta la ottengono, qualche volta si arrangiano da soli, cercano materiali, ed indicazioni, sulle tante domande che emergono lavorando. Non sono, per chi è all’opera, solo domande e richieste esplicite od implicite di aiuto, cioè di formazione, sulla propria competenza linguistica, ma anche sui contenuti: quali, quanti, come, e come valutare? Perché valutare vuol dire farsi una domanda ardita, non “Gli studenti hanno studiato?” ma “Gli studenti hanno imparato”?
Più si procede, più le domande diventano stringenti, ed occorrerebbe un confronto ampio, con un collega di L2, certo, ma anche con un altro collega Dnl impegnato nella stessa fatica: tuttavia questo è raro, semplicemente perché il docente di fisica magari è l’unico nel proprio istituto a fare fisica. La collega di Clil fa arte, e magari non in inglese, ma in francese. Lo statuto epistemologico della disciplina, grazie al cielo, si impone da sé; non si fa fisica come si fa arte, e se poi cambia pure la lingua, beh, filosofia in tedesco, cioè con il “testo” (orale o scritto che sia), per i più arditi, non è filosofia in inglese. Non è solo una questione terminologica ma di sintassi del testo stesso nella sua globalità. Diventa quindi importante vedere un altro all’opera e ascoltare la sua riflessione, magari con qualche “ spunto” per una meta-riflessione che sia sostenibile perché dettagliata ed articolata.
Il secondo seminario dedicato al Clil “Showcase Clil: la buona scuola all’opera”, nella mattinata del 13 aprile, a Seregno, in presenza, e per chi si volesse, fuori regione, collegare in web conference, si propone come luogo iniziale di questa dinamica, attraverso esperienze “buone”, non perché ineccepibili, ed anche accogliendo le esperienze di chi, lavorando in una scuola secondaria di I grado, per non parlare della primaria, o in un istituto che non sia un liceo linguistico, certo non è mosso dall’obbligo di legge nel fare Clil.
E poi, si spera, si proseguirà nel lavoro comune, con un docente che riflette con altri su un lavoro da content teachers, magari attraverso una webconference, come accadrà anche al seminario stesso. Digital revolution permettendo. E cercando, in questo tentativo, un dialogo costruttivo sia con le istituzioni del mondo accademico.