Caro direttore,
il severo discorso del Presidente della Repubblica all’atto del Suo giuramento per la rielezione merita – da parte di chi ne ha condiviso lo spirito e la finalità – un’adesione fattiva. Ciascun cittadino e cittadina, a seconda della propria esperienza professionale, di lavoro e di cittadinanza attiva, non può non sentire il dovere di dare il proprio contributo, fatto non di generiche chiacchiere, perché francamente se ne sentono già troppe, ma di riflessione ed esperienza vissuta. Ciò d’altronde può risultare tanto più utile nel momento in cui si insedia un nuovo Governo che ha anche compiti costituenti. Nel caso della scuola si tratta in sostanza di un veloce bilancio su quanto è stato fatto in passato e di verifica di ciò che la Costituzione solennemente afferma, soprattutto per chiarire ciò che è stato poco attuato e ciò che va recuperato e attualizzato.  



Per quanto mi riguarda, posso affermare che la storia della mia vita è stata convintamente dedita alla scuola pubblica, compresa quella paritaria da quando è stata regolamentata, ed alla realizzazione degli ideali di consapevolezza e partecipazione civile che è doveroso proporre delle giovani generazioni, nel clima di libertà, responsabilità ed efficacia in cui la scuola deve muoversi.



Proprio l’esperienza mi ha fatto ritenere fondamentali la cura quotidiana del sistema scolastico ed aggiornamenti tempestivi, secondo una linea logica di sviluppo che sia in grado di promuovere la mobilità sociale e di interpretare puntualmente i bisogni d’istruzione e di preparazione alla vita attiva di tutti i soggetti in formazione, attraverso la valorizzazione della nostra complessa identità di popolo, dell’eccezionale patrimonio culturale ed artistico di cui siamo eredi, ed anche con oculata proiezione verso le conquiste della scienza, della tecnica, e della conseguente evoluzione dell’apparato economico e produttivo, non sempre e non da tutti ritenuti altrettanto “nobili” .



Tutto questo è già scritto nella Costituzione. Eppure la storia della scuola italiana, dall’avvento della Repubblica ad oggi, non testimonia davvero la costanza e lungimiranza d’impegno, da parte del governo, centrale e periferico, che sarebbero state necessarie per realizzare gli scopi voluti, e non certo perché siano mancate le risorse pubbliche, onestamente imponenti, soprattutto a fronte di riscontri di produttività sempre più inesistenti, dagli anni Settanta in poi.

Quando poi le risorse finanziarie hanno cominciato a ridursi per effetto della crisi, si è cominciato anche a riflettere sulla necessità di “verifiche” oggettive dei risultati che giustificassero la spesa, apparentemente improduttiva, per collocarla finalmente in una prospettiva di autentico “investimento”. Ed è questo il terreno su cui le forze politiche e la scuola si stanno confrontando, faticosamente.

Con l’avvento della cosiddetta “seconda repubblica” (troppo somigliante alla prima per la riluttanza rispetto a verifiche di produttività ed efficacia) un ridisegno complessivo degli ordinamenti è stato effettuato ed è tuttora in fase di messa a regime. Non ricomincerei da capo, con ulteriori revisioni di ordinamenti e riscrittura di Indicazioni nazionali ma suggerirei di andare con decisione al cuore del problema, che sta tutto nella autonomia scolastica e nella sua autentica interpretazione, in termini di assunzione di responsabilità didattica ed organizzativa da parte delle scuole, cioè degli insegnanti.

Ciò  comporta in primo luogo un diverso rapporto con l’amministrazione in genere e con il Miur e quindi la messa a punto di organi di governo scolastico ripensati in rapporto ai compiti di programmazione, organizzazione e verifica dell’attività didattica che l’autonomia attribuisce non ad una “Scuola” astrattamente intesa, nel rigido contesto degli ordinamenti nazionali, ma a ciascuna “istituzione scolastica” che deve poter interpretare correttamente le situazioni reali in cui è chiamata ad agire, in vista dei risultati richiesti. Da ciò consegue l’urgenza di una coerente ridefinizione giuridica di doveri, diritti, competenze, obblighi di servizio, responsabilità degli insegnanti, che nella scuola dell’autonomia non può più essere quella della scuola tradizionale, dall’Unità d’Italia alla Prima ed anche alla Seconda repubblica. 

Infine, un nuovo profilo professionale e funzionale dei docenti, che apra la strada a remunerazioni premianti ed a sviluppi di carriere, anche perché sembra davvero illogico che una così grande conquista come l’autonomia scolastica non abbia avuto a tutt’oggi nessuna autentica ricaduta sulle condizioni di lavoro di chi la scuola la fa, giorno dopo giorno ed ha bisogno di poter programmare davvero l’attività didattica, per un più efficace e meglio personalizzato dialogo educativo e per apprendimenti più solidi.

La stessa rivoluzione digitale, con le sue molte problematiche sul versante formativo, fisico e psicologico dei discenti, oltre che di pratica concreta, a scuola e nello studio domestico, non potrà dare frutto solo in virtù di decreti ministeriali, per altro resi rigidi, necessari ed indispensabili per il semplice fatto che non si è ancora messo a posto un moderno sistema di decisione, di responsabilità e di verifica da parte dei docenti e delle scuole. 

Su questo terreno il Parlamento aveva già intrapreso nelle ultime legislature un percorso da riprendere urgentemente, con molta attenzione a ciò che può davvero cambiare la qualità dell’istruzione, proponendo tra l’altro ai giovani modelli professionali un po’ meno tristi, depressi, sovente rancorosi, quali sono spesso quelli costituiti dai docenti, massificati di fatto da una condizione, giuridica, sociale ed economica che solo apparentemente riconosce a tutti pari dignità (e trattamento) semplicemente perché non ne riconosce alcuna a nessuno.

Leggi anche

SCUOLA/ Ben venga lo "svarione" delle 36 ore (se serve a cambiare tutto)SCUOLA/ Se il nuovo piano di Renzi dimentica le riforme a costo zeroSCUOLA/ I quattro pilastri che aspettano le riforme di Renzi