L’oggetto del referendum bolognese, che riguarda il modello di organizzazione della scuola di infanzia nel territorio comunale, pone all’attenzione non sono un problema economico, ma anche, e soprattutto, un modello di concezione e di garanzia di quali sono i diritti che la nostra Costituzione ritiene come inviolabili e per i quali, l’intera collettività, deve intervenire (economicamente e culturalmente) affinché questi diritti possano essere affermati.
Può apparire fuori luogo parlare di diritto all’istruzione per una scuola che non è dell’obbligo, ma al contempo sarebbe erroneo non parlare di istruzione quando parliamo di bambini che nella loro età primordiale non possono accedere al livello scolastico per mancanza di scuole, di posti e di fondi. La discussione (quella vista anche a Servizio Pubblico o in altri talk show locali) sta degenerando (spesso) in una battaglia che è ottocentesca: la divisione tra pubblico e privato, laddove al concetto di pubblico è associato quello di statale (di ente pubblico) e al concetto di privato quello di selettivo, di parziale, di privatistico.
È proprio da questa divisione (non solo errata, ma anche anacronistica) che dobbiamo cercare di allontanarci per non rimanere impantanati in discussioni ideologiche che poco hanno contribuito allo sviluppo della coscienza collettiva e nazionale di questo Paese.
È ormai dagli inizi degli anni 90 che l’aggettivo pubblico non può più essere appiattito sul concetto di ente pubblico: appiattire l’aggettivo pubblico sull’ente pubblico (statale o comunale) significa ridurne il valore; come se, in società dove manca un’organizzazione pubblica forte, non ci sia il bisogno e la necessità (del popolo) di affermare i diritti pubblici.
Lo Stato come ente pubblico è nato per affermare questi diritti, per renderli esigibili in ogni angolo del suo territorio (Nord/Sud) e per renderli accessibili a tutte le fasce sociali.
Lo Stato (nelle sue articolazioni anche territoriali), come entità collettiva organizzata tramite il diritto, ha come mission principale quella di garantire libertà ed eguaglianza a tutti coloro che compongono la sua base (la collettività). Nel corso del tempo la funzione di garanzia di cui lo Stato è incaricato è stata fatta coincidere con quella di erogatore dei servizi per i quali lo Stato stesso era garante.
Al diritto all’istruzione (compito dell’ente pubblico) si è associata la scuola pubblica (nel senso di ente), al diritto alla salute si è associato quello di ospedale pubblico (nel senso di ente), e così via. Ma a guardare la storia dei diritti, si vede bene che non è stato lo Stato (passatemi l’involontario gioco di parole) l’ente promotore dei servizi: i servizi venivano offerti da confraternite religiose, da organizzazioni laiche, da comunità familiari o di vicinato, e per i quali lo Stato si è impegnato a diffonderli, a renderli conoscibili ai più.
Quelle prestazioni (scolastiche, sanitarie, di cura) non sono diventate pubbliche mediante l’intervento dello Stato, quelle prestazioni erano già pubbliche: erano pubbliche in quanto avevano un orizzonte diffusivo, un accesso possibile a tutti in quanto cittadini di quel territorio.
Lo Stato, appunto, non è nato per occuparsi dell’erogazione di tutti i servizi, ma è nato per definire i diritti affinché tutti i suoi cittadini possano essere “trattati” in maniera uniforme. In altre parole, l’uguaglianza. Nel caso specifico, compito del Comune di Bologna è quello di garantire a tutti i bambini il diritto alla scuola materna, cioè il diritto all’istruzione materna.
Come garantirlo? Non è compito dello Stato o del Comune (in senso specifico e primario) fare le scuole. Compito dello Stato o del Comune è far sì che nessuno resti escluso dall’accesso ad una scuola. Ad esempio, non è compito dello Stato avere degli infermieri: compito dello Stato è far sì che tutti accedano al diritto alla salute, al diritto alla cura.
Uno stato laico ed egualitario deve dare a tutti la stessa possibilità di scelta: scegliere la propria scuola, scegliere il proprio istituto di cura. La vera uguaglianza sta nel godere degli stessi diritti che sono pubblici e che solo l’ente pubblico può garantire a tutti mettendo ciascuno nelle condizioni di potervi accedere a quei diritti.
Quando un ammalato è in fase difficile, non chiede allo Stato un ospedale pubblico nel senso di statale, ma chiede un ospedale pubblico, cioè un ospedale aperto a tutti, dove curarsi, ovvero un posto in cui gli venga riconosciuto il diritto alla salute.
E’ la divisione pubblico/privato che dobbiamo ridefinire: pubblico non è ciò che fa l’ente pubblico. Pubblico è quel servizio per il quale l’accesso non è negato a qualcuno in ragione di motivazioni che non siano previste dalla nostra Costituzione. Una scuola è pubblica non perché le mura sono dello Stato, bensì è tale quando a tutti (indipendentemente dalla loro religione, razza, colore, credo politico) è garantito lo stesso accesso.
Bologna è “piena” di servizi pubblici che non sono gestiti dallo Stato: le mense per i poveri, gli istituti di cura, i centri di accoglienza per minori; al contempo è “piena” di servizi pubblici gestiti dal Comune. Questa è la grandezza del territorio bolognese. Offrire molte opportunità di servizi pubblici, cioè servizi rivolti a tutti: pubblico nel senso di polis, ovvero la comunità.
Tutti questi servizi sono pubblici perché svolgono una funzione pubblica. Il privato può essere di due modi: personalistico e svolgere una funzione che finisce nell’interesse personale, oppure comunitario e svolgere una funzione che serve all’intera collettività. Le scuole paritarie (come tanti altri soggetti del nostro territorio) appartengono alla seconda categoria: svolgono una funzione pubblica come le scuole statali.
Quello che va difeso, e che è compito principale del Comune e/o dello Stato, cioè dell’ente pubblico, non è “fare le scuole”, bensì è garantire il diritto dei bambini all’istruzione materna. Un diritto pubblico, in scuole con una funzione pubblica. Paritarie o comunali.