Perché un Sistema Nazionale di Valutazione? – Sarebbe impossibile per me fare qualsiasi tipo di ragionamento sul tema della valutazione senza aver fatto l’esperienza dell’insegnamento, senza aver capito che cosa accade in classe quotidianamente. La scuola è un luogo dove tutti i giorni avviene quel miracolo che è il passaggio di consegne da una generazione all’altra, il miracolo della crescita umana, culturale e professionale dei bambini e dei ragazzi che ci vengono affidati. La scuola è anche il luogo della nostra crescita come insegnanti e come dirigenti. È impossibile, infatti, che attraverso di noi possa maturare qualcuno se contemporaneamente non cambiamo anche noi.
Per questo il tema della valutazione è molto delicato. La scuola è una realtà incredibilmente ampia, varia e complessa, non riducibile a nessuna dimensione univoca e misurabile. Stando a questa premessa, sembrerebbe contraddittorio pensare che per migliorare la scuola sia necessario un Sistema Nazionale di Valutazione, che richiede necessariamente di individuare indicatori, e di operare semplificazioni.
La valutazione non è uno scopo, è uno strumento che serve a raggiungere uno scopo: migliorare e mettere a frutto il potenziale di ogni singola scuola.
Per un verso la scuola italiana è una fucina di idee, di creatività, di energia. Nel corso di tanti anni ho incontrato realtà straordinarie che potrebbero invidiarci nel resto del mondo. Non parlo solo di licei che si collocano ai vertici delle classifiche internazionali, ma anche di scuole tecniche e professionali capaci di raggiungere delle eccellenze nella preparazione dei ragazzi. Per un altro verso la scuola italiana presenta tante aree di sofferenza che si traducono in una scarsa equità del sistema. Fin dalla indagine Pisa sui quindicenni, nel 2000, emerse che c’erano grandi differenze tra le macro-aree dell’Italia, con alcune aree del sud in forte difficoltà, come pure fra i risultati dei ragazzi che frequentavano il liceo, l’istituto tecnico e il professionale.
Con le rilevazioni degli apprendimenti effettuate dall’Invalsi a partire dall’anno scolastico 2008-2009, queste differenze cominciarono ad evidenziarsi già nel primo ciclo di istruzione, in un livello di scuola in cui è presente lo stesso curriculum, la medesima modalità di reclutamento dei docenti, le stesse risorse e dove non c’è canalizzazione di studenti come nelle superiori.
Da subito fu evidente che non esistono soltanto differenze significative di risultati tra nord e sud, ma anche tra scuola e scuola, e persino tra una sezione e l’altra della stessa scuola. E qui i dati quantitativi servono a farsi un’idea precisa: in alcune regioni si può arrivare fino ad una differenza di risultati del 50% tra scuole primarie della stessa zona e lo scarto di risultati fra nord e sud aumenta passando da un livello scolastico all’altro. Solo per fare un esempio, in seconda e quinta primaria la situazione, specie in matematica, nel nord è pari alla media nazionale, mentre il sud ha mediamente +2,5 punti. Già nella prima classe della scuola secondaria di primo grado la situazione si capovolge e mentre il nord supera di oltre 6 punti percentuali la media, nel sud si va sotto la media, per arrivare fino a oltre -15 punti nella classe terza del sud-isole.
I grafici analitici che rappresentano il territorio italiano, presentati dal rapporto Invalsi sia nel 2011 sia nel 2012, sono molto efficaci e non lasciano dubbi in proposito (1). Questo significa che un bambino che parte come gli altri il primo anno della primaria, se ha la “sfortuna” di entrare nella scuola sbagliata e nella classe sbagliata, è penalizzato per tutta la vita perché avrà un ritardo difficilmente colmabile. Questo significa che la scuola non garantisce pari opportunità a tutti, che il livello socioculturale di partenza continua ad essere il fattore preponderante per i risultati e che quindi la scuola perpetua le differenze, anzi le accentua e smette di essere un ascensore sociale. Il numero di ragazzi che non studiano, non lavorano e non cercano un’occupazione chiedono urgentemente di cambiare rotta.
Perché a parità di condizioni alcune scuole fanno meglio di altre? Perché alcune regioni hanno un tasso di dispersione maggiore rispetto ad altre, non essendoci un problema di fondi e di caratteristiche della popolazione? Occorre partire da quello che accade in ogni singola scuola. Per questo è necessario un Sistema Nazionale di Valutazione. Occorre mettere le singole scuole e le strutture formative nelle condizioni di capire i propri punti di forza e di debolezza per poter mettere a frutto tutto il proprio potenziale. Lo scopo è che ogni famiglia italiana, ovunque abiti, di qualunque estrazione sociale sia, possa avere una scuola e una formazione di qualità per i propri figli. A chi manda il proprio figlio in una scuola non interessa che vada bene la scuola italiana in generale, interessa innanzitutto che vada bene “quella” scuola .
Gli amici e i nemici della valutazione − Davanti a questi dati si può decidere di non vedere e di rimanere nello status quo. I nemici della valutazione (e quindi del miglioramento) sono sostanzialmente due.
Il primo è la presunzione. Raramente impariamo ciò che crediamo già di sapere. La presunzione del singolo docente bravo – come lui non c’è nessuno –, la presunzione del singolo dirigente qualificato – come me non c’è nessuno –, la presunzione di una scuola efficiente che dice “come me non lavora nessuno”, la presunzione di chi governa a livello centrale e periferico senza partire dai dati, senza rispettare la realtà. Anche di fronte ai primi esiti delle prove Pisa successe così: si disse che erano quiz per studenti abituati ad una scuola di tipo anglosassone, prove non adatte ai nostri ragazzi abituati ad altre modalità di verifica con un altro spessore culturale, capaci di mettere alla prova le capacità critiche; salvo poi scoprire che alle domande più meccaniche i nostri studenti rispondevano bene, mentre alle domande aperte in cui dovevano argomentare e dare pareri motivati, non rispondevano nemmeno.
Il secondo nemico della valutazione è la parzialità, quell’abitudine che porta a non cercare in modo costante di tener conto di tutti i fattori della realtà. Non c’è solo la “tua” scuola, il “tuo” alunno, la “tua” classe con i “suoi” “livelli medi”: esiste il mondo.
Anche gli amici della valutazione e del desiderio di migliorare sono sostanzialmente due. Il primo è il desiderio di farsi mettere in discussione, di rendersi conto, di tenere gli occhi aperti, di paragonarsi, di capire se c’è qualcuno da cui imparare. Il secondo è non smettere mai di usare la categoria della possibilità, non dire mai “non c’è più niente da fare”.
Questa apertura è essenziale per la scuola. Dopo 10, 15, 25 anni insieme, si può annidare, anche tra insegnanti che condividono uno stesso orizzonte educativo e che hanno sempre lavorato insieme, il virus dello scetticismo, quel tarlo per cui si smette di sperare che possa accadere qualcosa di nuovo e di significativo. Gli insegnanti lo sanno bene: quando all’interno di una classe con gli studenti viene meno questa apertura, questo credito dato all’altro a priori, ogni ora diventa pesante. È quello che accade in una classe o in una scuola, può accadere in un intero Paese.
Avere un Sistema Nazionale di Valutazione è fondamentale per capire come si sta lavorando, come stanno operando gli altri, che cosa si può fare per cambiare. Penso che molte resistenze alla costruzione di questa infrastruttura fondamentale del Paese nascano da una mancanza di consapevolezza dell’utilità che può avere la valutazione. Diceva Seneca “nessun vento è favorevole alla vela della barca di chi non sa dove andare”, ma per sapere dove andare occorre anche sapere anche dove si è, e aver chiaro quale è la meta che vale la pena raggiungere.
Importanza di un punto di riferimento esterno per conoscere − Tre anni fa con la mia scuola abbiamo costruito un bilancio di missione per rendere conto delle nostre scelte e dei nostri risultati alle famiglie, alla città, alle istituzioni. Fin dall’inizio ci siamo scontrati con il problema di definire un quadro di riferimento in base al quale fosse possibile raccontare il lavoro svolto negli anni ed il valore aggiunto offerto agli studenti in termini di crescita umana, culturale e professionale, avendo un benchmark di riferimento esterno. Faccio un esempio: nella mia scuola tutti i ragazzi iscritti al quarto anno sostengono l’esame di certificazione esterna delle competenze linguistiche, il First Cambridge e il 70% lo supera. Era però impossibile far capire ai genitori e agli studenti quanto questo risultato fosse buono, perché non esisteva un dato di riferimento esterno che esplicitasse in modo chiaro che questi risultati erano migliori rispetto, ad esempio, ad altri studenti della stessa Regione.
Non si può migliorare senza sapere che cosa va e che cosa non va. Non bastano le impressioni, le voci di corridoio. È lo stesso principio di quando si correggono i compiti degli studenti: il giudizio che compare in certi elaborati “non sai scrivere”, non ha senso. È un disastro quando i docenti non usano la valutazione di un compito per far capire in modo preciso ai ragazzi i loro punti di forza e di debolezza e qual è la strada da intraprendere per cambiare. Quello che è vero per i ragazzi è vero anche per noi adulti! Ma non basta nemmeno sapere che c’è un problema, se non si può quantificarlo. Il tasso di assenteismo in una certa scuola è “alto”: ma quanto? Perché se è il doppio della media nazionale allora ha profili inquietanti e bisogna assolutamente intervenire.
Occorre conoscere per dare un giudizio e valutare. Ma la conoscenza è sempre qualcosa che scardina quello che si sa già, altrimenti non è conoscenza. Per questo è impossibile fare una valutazione del proprio lavoro senza avere fin dall’inizio un punto di paragone esterno. L’Italia non ha mai avuto una tradizione di studi quantitativi per quanto riguarda la scuola: abbiamo una tradizione di indagini qualitative, che guardano più all’offerta e ai processi che agli esiti. Abbiamo investito di più nel dare strumenti che nel monitorare e ottimizzare il loro uso (penso alle dotazioni multimediali di certe scuole, utilizzate spesso al di sotto delle loro potenzialità). Anche l’idea che l’Invalsi sia una “fabbrica di dati” ci inquieta, tanto che la funzione dell’Invalsi è stata letta spesso in chiave negativa, come un pericolo per la libertà dell’insegnamento, per l’ampiezza della proposta culturale e per la personalizzazione del percorso educativo.
I dati Invalsi sugli apprendimenti non sono solo “numeri” (percentuali, pesi, tassi di difficoltà, coefficienti di validità ecc.) che riducono la reale portata educativa della scuola. Anzi proprio perché i risultati sono tratti da prove concrete, gli esiti di queste prove finiscono con l’aiutare i singoli insegnanti, i consigli di classe, i dipartimenti, i collegi docenti, a fare una diagnosi anche a livello didattico.
Quando nel 2008, con Piero Cipollone, allora presidente dell’Invalsi, abbiamo realizzato il primo piano di informazione sulle indagini internazionali nelle quattro regioni dell’Obiettivo convergenza (Sicilia, Campania, Calabria, Puglia ) ed esponevamo i risultati, le reazioni all’inizio erano molto negative. Quando, però, mostravamo dove erano crollati i loro studenti, che cosa non erano riusciti a risolvere, quali erano i quesiti che avevano omesso, quelle reazioni di rifiuto preconcetto scomparivano perché era evidente che i loro studenti si erano bloccati di fronte a domande semplicissime in cui era già presente la risposta e si erano trovati disarmati davanti alla richiesta di esprimere un giudizio scrivendo tre frasi.
La conseguenza di questa riflessione sulla scuola non è stata quella di provocare l’effetto negativo di allenarsi ai test, ma ha fatto vedere come sia importante lavorare anche su testi come quelli espositivi esplicativi (come sono poi i manuali scolastici), tipologie poco familiari ai nostri studenti; oppure sulle domande aperte, che richiedono ragionamento, o su aspetti importanti della matematica poco praticati a scuola.
L’avvio delle rilevazioni esterne degli apprendimenti in matematica e italiano, iniziata nell’anno scolastico 2008-2009, ha permesso di acquisire queste ed altre informazioni anche su altri livelli, ha consentito di restituire a tutte le scuole i propri risultati, item per item, classe per classe, e di dare informazioni sulla collocazione di ogni scuola rispetto alla media nazionale, alla macro-area e alla regione, e permette alle scuole di paragonarsi con scuole che hanno lo stesso background socio-culturale (quello che incide maggiormente sui risultati).
La possibilità di avere dei dati capillari è fondamentale. È importante, infatti, che il paragone avvenga proprio nel livello in cui ogni mattina si fa scuola.
Il Regolamento SNV − In questi ultimi anni, come Paese, sono stati fatti dei passi in avanti importanti per la costruzione di un Sistema Nazionale di Valutazione delle scuole. Il Regolamento giunto alla sua ultima versione durante il governo Monti segna il punto di arrivo di un percorso cominciato da più di dodici anni. L’articolo 6 sintetizza il percorso che verrà chiesto a tutte le scuole italiane. Ogni istituzione scolastica dovrà costruire un proprio rapporto di autovalutazione sulla base di un quadro di riferimento comune, i cui indicatori non siano solo i risultati di apprendimento di italiano e di matematica dell’Invalsi, ma anche gli esiti degli scrutini, il numero degli studenti diplomati con la votazione conseguita all’esame, gli studenti che hanno abbandonato, che si sono trasferiti, i risultati conseguiti negli ordini di scuola successivi, le esperienze lavorative, gli stage, il proseguimento degli studi con la frequenza all’università, il tasso di assenze di docenti e studenti, il tasso di turn over; ma anche delle informazioni, che possono essere reperite solo dalle scuole, chiedendo direttamente ai genitori attraverso questionari genitori–studenti–insegnanti.
Il progetto Vales (Valutazione e Sviluppo) sta mettendo a punto le fasi necessarie per dare attuazione al regolamento e per definire al meglio gli strumenti e le modalità di sviluppo del Sistema. Sono state più di 1000 le scuole che hanno chiesto di partecipare, 300 sono state selezionate per partecipare a tutte le fasi del progetto, e altre 200 hanno chiesto di utilizzare gli strumenti messi a disposizione. Anche gli 850 dirigenti scolastici di nuova nomina hanno utilizzato, nel loro piano di formazione, gli strumenti del progetto Vales, per realizzare il rapporto di autovalutazione sulla propria scuola. In definitiva, oltre 1300 scuole stanno di fatto anticipando e sperimentando le fasi interne al Regolamento del Snv, dimostrando che esiste un grande interesse nei confronti di questo tema, di cui si sente la necessità.
La scuola al centro − Al centro del Regolamento c’è la scuola nella sua autonomia. La scuola con la sua capacità di conoscersi, di autovalutarsi e di pensare un proprio percorso di miglioramento, per sviluppare tutto il proprio potenziale. All’interno del Regolamento la scuola è guardata come un sistema complesso in cui è fondamentale interrogarsi su quel che fa, confrontandosi con le altre scuole per capire come migliorare. Sarebbe sbagliato valutare la scuola solamente a partire dagli esiti delle rilevazioni esterne degli apprendimenti Invalsi. Infatti la scuola è un sistema troppo complesso per essere ricondotto ai soli risultati di alcune prove in italiano e matematica.
Ad esempio, una rilevazione esterna degli apprendimenti in italiano non potrà mai misurare la capacità di argomentare oralmente o di saper scrivere un testo; un test non potrà mai rilevare se in un istituto professionale alberghiero i ragazzi hanno imparato a fare bene i pasticcini. È solo allargando il set di indicatori presi in considerazione e coinvolgendo la scuola stessa che si può avere un quadro non ridotto in modo forzato e arbitrario ad alcuni dati centrali.
L’Invalsi e gli altri soggetti coinvolti − Il coordinamento del processo descritto nel Regolamento è affidato all’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema Scolastico (Invalsi). L’Invalsi ha lo scopo di realizzare le rilevazioni esterne degli apprendimenti, di mettere a disposizione delle singole istituzioni scolastiche strumenti relativi al procedimento di valutazione, in base alla direttiva triennale del ministro.
Il Regolamento prevede la presenza di nuclei di valutazione esterna che vadano nelle scuole a constatare de visu la situazione. Il coordinamento dei nuclei di valutazione è affidato innanzitutto a ispettori, ma vede la presenza di altri due esperti di cui uno proveniente direttamente dal mondo della scuola e l’altro con competenze diverse in relazione alle situazioni peculiari che si presentano in ogni istituto. Questo nucleo di tre persone, in base alle caratteristiche delle scuole, può aiutare non solo a fare diagnosi, ma anche a proporre strade percorribili.
Se questa collaborazione fra più “voci” è utile per i nuclei di valutazione, ciò sarà ancora più vero per la messa a punto e per la realizzazione dei piani di miglioramento. Le scuole autonome, infatti, possono decidere da chi farsi aiutare. Nel Regolamento si parla a questo proposito del ruolo fondamentale dell’Indire, ma si elencano anche: università, associazioni disciplinari, professionali, centri di ricerca.
In questo processo, sarà fondamentale anche il coinvolgimento dei genitori e della comunità di appartenenza. Di fatto il primo risultato delle azioni di valutazione della scuola consiste nella pubblicazione di un Rapporto di rendicontazione sociale, che sarà la dovuta informazione sulle azioni intraprese per il miglioramento e sui risultati effettivamente ottenuti. La pubblicazione dei rapporti sarà di fatto un passo fondamentale nella direzione del rendere conto che la stessa autonomia scolastica da sempre richiede.
Rendere conto di quel che si fa aiuta a farlo meglio. La ricerca internazionale dimostra che la sola esistenza di prove centralizzate e di sistemi di accountability ha effetti positivi sul sistema scolastico. Si tratta di una forma di achievement press: quando la qualità viene presidiata e diventa interesse dei soggetti implicati, essi stessi divengono i protagonisti del processo di valutazione e di miglioramento. Così il Regolamento parla esplicitamente della rendicontazione sociale come pubblicazione e diffusione dei risultati raggiunti, in una dimensione di trasparenza e di condivisione con la comunità di appartenenza.
Del resto un Sistema Nazionale di Valutazione serve a tutta la collettività: alla singola scuola per crescere, a chi la gestisce, ai docenti, ai dirigenti, agli studenti, ai genitori. Nello stesso tempo un Sistema Nazionale di Valutazione è uno strumento importante anche per chi governa la scuola, sia a livello centrale che periferico, per prendere decisioni mirate e consapevoli che, riguardano milioni di persone e, in definitiva, i nostri figli e il futuro del nostro Paese.
Parliamo di 9.137 istituzioni scolastiche statali distribuite in 41.524 plessi, di 864.369 dipendenti, di 7.852.866 studenti: complessivamente costituiscono un esercito di 1.200.000 dipendenti. Se aggiungiamo a questo 1.000.000 di studenti che frequentano le scuole paritarie e i centri di formazione professionale, il personale che ci lavora, oltre alle loro famiglie, noi abbiamo davanti tutto il Paese. Penso che sia questo il motivo per cui, quando si parla di valutazione, sia necessario superare i preconcetti e cominciare a confrontarsi con i problemi reali della scuola italiana.
Il Sistema Nazionale di Valutazione disegnato dal regolamento nato dopo un percorso di 12 anni e con il contributo di 5 ministri, non è né di destra né di sinistra, può diventare uno strumento per aiutare ogni singola scuola a migliorare, diventando un’infrastruttura fondamentale per lo sviluppo del Paese.
(1) Per il 2012 v. http://www.invalsi.it/snv2012/documenti/Rapporti/Rapporto_rilevazione_apprendimenti_2012.pdf le pagine 42 ss., soprattutto i grafici che mostrano la distribuzione delle regioni rispetto alla media nazionale nei diversi livelli scolastici; per il 2011 v. http://www.invalsi.it/snv1011/documenti/Rapporto_SNV%202010-11_e_Prova_nazionale_2011.pdf soprattutto le cartine geografiche delle varie zone d’Italia a partire dalla p. 37.