L’episodio della maestra che picchia e umilia i suoi piccoli alunni nel maggio 2013 mi riporta alla mente la pedagogia nera di Alice Miller, ovvero l’educazione del bambino attraverso la mortificazione di sé.
Perché la scuola si trasforma a volte in un teatro dei burattini o nel paese dei balocchi, dove tanti pinocchi possono diventare asini oppure superare le prove e diventare bambini?
L’impiego consapevole dell’umiliazione che soddisfa certi “educatori” distrugge l’autoconsapevolezza del bambino rendendolo insicuro ed inibito. Ogni bambino ha bisogno di rispetto da parte delle figure di riferimento, di tolleranza per i suoi sentimenti, di sensibilità per i suoi bisogni, di onestà. Il rapporto empatico docente-discente è indispensabile e non si deve risolvere solamente in una dialettica di tipo cognitivo, ma in una relazione empatica affettiva. Non trovo fuori moda parlare di amore educativo, come diceva don Giovanni Bosco; trovo attualissimo reinterpretare l’amore educativo in termini di valorizzazione delle relazioni affettive. Guardini scriveva che il maestro educa per quello che dice, per quello che fa, e per quello che è. È forse utopia nella nostra società un maestro così?
Ma i bambini hanno fiuto a smascherare chi si mette in gioco solo per finta senza autorevolezza né credibilità!
Penso all’angoscia provata da quei piccoli, dai tre ai cinque anni, chiamati “bastardi”, “scemi” e picchiati; penso all’angoscia legata all’ansia di distacco dai genitori, penso alla loro fragilità ed insicurezza. Eppure tante scuole dell’infanzia sono splendidi luoghi di interesse e di accoglienza, in cui la paura può essere accolta e non giudicata, in cui è possibile fare esperienza di crescita e di adattamento, se pur in ambienti non da subito familiari. L’educatore, che sia genitore o docente, deve farsi carico di responsabilità etica; purtroppo nella nostra società liquida, come direbbe Bauman, manca la cultura dell’uomo come divenire integrale, si impoveriscono le coordinate direzionali, i fini educativi e i percorsi etici.
Mi sollecita una riflessione sul ruolo dell’insegnante oggi: inadeguatezza, demotivazione, stress, spaesamento, sindrome di burnout … si costruiscono barricate per difendersi e qualcuno non sa incanalare in modo costruttivo la propria emozionalità e il disagio psicosociale. Non giustifico una docente che picchia e apostrofa bambini di tre anni: dov’è l’umiltà, la passione e la formazione? A che serve la violenza fisica e verbale?
Ogni società poggia su quel soffio della vita creatrice e sulla capacità di trasmetterlo: da questo punto di vista il maestro è essenziale.
Il concetto di maestro, asserirebbe B. Vergely, non viene più rispettato oggi perché non si rispetta più il concetto di eccellenza. Un mondo senza maestri e senza eccellenza è un mondo di individui smarriti, schiavi della loro ignoranza e mediocrità e quindi facilmente manipolabili. Non sono i maestri che assoggettano l’umanità, bensì la loro assenza: ma devono essere bravi maestri, veri educatori.
Proprio oggi su un manifesto all’esterno di una scuola si leggeva: “Dateci educatori veri, vi daremo un mondo migliore”. Niente di più vero, al di là di ogni tempo e di ogni luogo, in ogni società.