A Bologna qualcosa si muove. Non è solo un altro capitolo del difficile riconoscimento della cosiddetta parità scolastica, diciamo pure della solita diatriba tra chi pensa che la scuola, per essere pubblica, debba essere statale e coloro che invece pensano che scuola pubblica sia anche quella non statale. Non è nemmeno che, a Bologna, su questa faccenda si farà un referendum tra i partigiani di  A, i contrari alle paritarie dell’infanzia, e quelli di B, i favorevoli. È piuttosto che il Pd bolognese prende nettamente le distanze da quella parte di se stesso che in questi ultimi anni si è alimentata, non tanto di politica, quanto di mistica (producendo tra l’altro danni politici incalcolabili allo stesso Pd). 



Pur chiamandosi in un altro modo, era di certo un Pd che si alimentava di politica quello che nel 1994 stipulava le convenzioni con i privati, nell’intento di consentire a tutte le famiglie bolognesi di mandare i loro figli in una scuola pubblica. In questo modo, l’allora sindaco di Bologna Vitali dimostrava, non soltanto di saper fare i conti con la realtà (la scarsità di “asili” comunali), ma anche di saper ottemperare al preciso dovere costituzionale di “favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di un’attività di interesse generale” (art. 118). Magari faceva questo a malincuore, poiché i privati appartenevano in gran parte a quel mondo cattolico, guardato come un pericoloso concorrente politico-culturale, ma lo faceva per offrire un servizio ai suoi concittadini e perché non si poteva negare il grande valore politico (e democratico) che hanno pluralismo e sussidiarietà. 



Con lo stesso spirito il Pd di Bologna e il sindaco Virginio Merola si schierano oggi in difesa delle suddette convenzioni contro le iniziative dei referendari che vorrebbero abolirle. Ma la loro presa di posizione è ancora più meritoria, se pensiamo alla situazione che si è creata in questi mesi nell’area della sinistra italiana in generale e di quella bolognese in particolare. Sel, Movimento 5 Stelle, Cgil, Cobas, sinistra libertaria, associazioni come lo Uaar (l’unione degli atei e degli agnostici razionalisti), personaggi come Stefano Rodotà e Margherita Hack, tanto per citarne alcuni, tutti sono infatti schierati dalla parte dei referendari. Facile immaginare dunque le reazioni politiche (politiche?) nei confronti di un Pd che sceglie di schierarsi insieme alla Curia, al Pdl e alle associazioni per la scuola libera, semplicemente perché, sono parole del sindaco Merola, “è giusto farlo”. 



Ciò che a Bologna sta emergendo in modo eclatante è il lato mistico di un certa cultura politica italiana, che, come ho già accennato, ha già fatto grossi danni al Pd e che ancora più grandi potrebbe farne (non solo al Pd), se il Pd dovesse rimanervi invischiato. 

Il Comitato articolo 33, così si chiamano i promotori del referendum bolognese (sembra il titolo di un film di fantascienza, ma si riferisce ovviamente all’articolo della nostra Costituzione), si sta rivelando in effetti un singolare concentrato di tutta una serie di pregiudizi che in questi anni siamo venuti alimentando irresponsabilmente nel nostro paese, primo fra tutti quello secondo cui pluralismo e sussidiarietà sarebbero la semplice copertura ideologica di inconfessabili interessi clericali e liberisti. 

Ecco allora che la parità scolastica, come si legge in un articolo pubblicato sul sito web dei referendari, diventa niente meno che un cedimento pericoloso all’ideologia di Milton Friedman, quella che avrebbe “influenzato le politiche di Margaret Thatcher, Ronald Reagan (e anche di Pinochet)”; ecco la parità scolastica equiparata a un attacco alla laicità dello Stato e alla sua Costituzione. Sullo stesso sito web, Stefano Rodotà lo dice espressamente: “è necessario riprendere il filo, spezzato in questi anni, della politica costituzionale e della legalità che essa esprime”. Forse che la sussidiarietà non sia un principio costituzionale? Forse che le paritarie dell’infanzia non rappresentino un indispensabile servizio per i bolognesi, oltre che un notevole risparmio per le casse comunali? No, il punto non è questo. Come dice lo stesso Rodotà, “Non siamo di fronte a una questione contabile. Si tratta della qualità dell’azione pubblica, del modo in cui lo stato adempie i suoi doveri nei confronti dei cittadini”. Fiat iustitia et pereat mundus, verrebbe da dire. 

Ci sono poi le prese di posizione dell’Uaar che, denunciando “il furore clericale mostrato dal sindaco Pd Virginio Merola”, auspicano “una scuola di tutti, anziché una scuola di parte. Una scuola inclusiva, anziché una scuola che esclude disabili e stranieri. Una scuola aperta, anziché un ghetto identitario” e via di seguito con delizie del genere contro le scuole paritarie. Siamo di fronte insomma a un mix di laicismo anticlericale, costituzionalismo giacobino, moralismo e demagogia che sarebbe semplicemente ridicolo, se non fosse che proprio questo mix sta diventando una carta politica vincente nel nostro paese. 

Il successo politico del Movimento 5 Stelle si spiega certo con i governi fallimentari e la crisi economica di questi ultimi anni, ma più ancora con una cultura che, a furia di demonizzare tutto ciò che non rientra nei propri canoni, ha creato le condizioni favorevoli per una politica sempre più “astratta”, ideologica, arrabbiata, che concepisce fanaticamente se stessa come lotta dei “buoni” contro i “cattivi”; una politica che trasforma i propri attori in tanti ascetici ministranti di una religione secolare apparentemente liberale e tollerante, ma spietata nei suoi riti e nelle sue regole esclusive; una politica che si appella alla sacra intangibilità della Costituzione, ma ne mina nel contempo i principi, come nel caso del principio di sussidiarietà o dei meccanismi della rappresentanza democratica. 

È proprio per intendere questa sindrome che poco sopra parlavo di misticismo politico. Il fatto che il Pd di Bologna si schieri contro il Comitato articolo 33 acquista pertanto un valore simbolico importante. Potrebbe significare il ritorno di una politica che vuole fare i conti con i problemi veri, nel rispetto delle libertà di tutti, inclusa la libertà scolastica; una politica che, rifuggendo la demagogia, vuole fare i conti con la realtà, magari anche per cambiarla, ma non per bruciarla. 

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