In questa campagna referendaria sul finanziamento alle scuole paritarie private, nessuno sta ascoltando la voce delle famiglie che le frequentano; ci proviamo in queste righe dando spazio in particolare a chi ha più difficoltà. “Più scuole per tutti”, afferma il Comitato che si batte per la risposta B al referendum di Bologna del prossimo 26 maggio. Più scuole per tutti, quindi anche per gli alunni disabili.



Se dovessero vincere i promotori del referendum, contrari alla convenzione tra il Comune e le scuole paritarie, a rimetterci sarebbero, tra gli altri, proprio i bambini disabili e le loro famiglie.

Per rendersene conto basta parlare con qualche genitore che vive questo problema. “Già adesso – spiega Davide De Santis, presidente dell’Associazione La Mongolfiera – i bambini disabili hanno notevoli difficoltà a entrare nelle scuole paritarie. Questo perché lo Stato attualmente eroga un contributo di soli 3mila euro all’anno per alunno. È evidente che con questa cifra si copre solo una minima parte del costo di un insegnante di sostegno. E, infatti, scuole e famiglie sono costrette a ingegnarsi in mille modi per trovare i fondi che permettano l’accoglienza dei bimbi disabili. Se a queste difficoltà si va ad aggiungere un altro ostacolo determinato dal venir meno dei contributi comunali, l’ingresso degli alunni disabili nelle scuole paritarie diventerebbe praticamente impossibile. Potrebbe permetterselo solo chi paga il costo e, quindi, verrebbe meno la libertà di scelta educativa delle famiglie. Questo è profondamente ingiusto. Noi chiediamo la libertà di poter scegliere a parità di condizioni”.



Ecco uno dei paradossi di questo referendum: in nome della scuola pubblica, cioè per tutti, si finisce per ostacolare l’accesso ai più deboli. De Santis, in quanto presidente della Mongolfiera, sa bene quanto sia difficile garantire ad un bimbo disabile l’accesso a scuola o ad altri servizi educativi (per esempio logopedista, corsi di psicomotricità).

L’Associazione è sorta proprio per raccogliere fondi che, attraverso un bando, sono assegnati alle famiglie che ne hanno bisogno per poter scegliere liberamente la scuola più adeguata per l’educazione dei propri figli. Spesso questi fondi sono appunto utilizzati per sostenere il costo di un insegnante di sostegno nella scuola paritaria.



Non a caso molti volontari della Mongolfiera sono in queste settimane impegnati a sostenere la risposta B al referendum del 26 maggio. Un altro genitore, questa volta una mamma, pone l’accento sull’eguaglianza promossa dalla Costituzione. “Siamo sicuri – dice Silvia De Miglio – che eliminando la possibilità di scegliere vie alternative all’educazione di nostro figlio o dei figli degli altri non stiamo violando i principi fondamentali della Costituzione?”. La signora De Miglio osserva che la Costituzione impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pieno sviluppo della persona umana.

“La scuola paritaria ha dato a mio figlio disabile la possibilità di crescere nella diversità ed è, nonostante tutto, un bambino felice, felicità che io vivo come prova della correttezza del nostro agire educativo. Ora c’è un referendum che mette in dubbio la possibilità di avere in futuro un aiuto concreto al percorso che come famiglia in tutta libertà abbiamo scelto per lui. Eppure, la scelta è stata fatta per garantirgli nulla di più di quell’uguaglianza sostanziale su cui tanto insiste la nostra Costituzione”.

Ma i promotori del referendum insistono sulle regioni economiche: in tempi di crisi perché dare soldi alle scuole “private”, meglio sostenere la scuola pubblica, che per loro, in barba alla legge n. 62 del 2000, è solo la statale o la comunale. “In realtà – osserva De Santis – chi vuole aiutare il Comune a risparmiare deve votare B, cioè per le convenzioni. Con il contributo che eroga alle paritarie, il Comune non riuscirebbe da solo a garantire gli stessi posti-alunno. Per dare la scuola a tutti, dovrebbe spendere molto di più”.

Anche alcune famiglie straniere, con grandi sacrifici, scelgono le scuole paritarie private. Maria Pruteanu è una signora moldava che da nove anni vive a Bologna. Quando è arrivata nel capoluogo emiliano, è andata a bussare alle porte delle suore del Sacro Cuore in via San Savino.

Non conosceva nessuno, non sapeva a chi rivolgersi e le religiose le hanno garantito per un po’ di tempo vitto e alloggio e poi le hanno anche trovato un lavoro. È stato naturale, quando ha avuto il piccolo Cristian in età di scuola dell’infanzia, portarlo nella scuola gestita dalle suore con le quali era diventata amica.

“È un’esperienza bellissima – racconta –. Mio figlio impara tante cose, quando viene a casa scopro che frequentando quella scuola cresce benissimo. Impara a stare con gli altri, a essere anche più buono”. La signora Maria sa che il 26 maggio a Bologna si tiene il referendum. “Spero proprio che tutto resti com’è – dice Maria –. Anche se a noi questa scuola costa cento euro al mese, non so proprio come potremmo fare senza. Io sono operaia con contratto a termine. Mio marito non lavora sempre, dobbiamo pagare affitto e bollette. Se tolgono il contributo, le suore sarebbero costrette ad aumentare la retta e noi più di cento euro al mese non riusciremmo a pagare”.

L’esperienza di Maria e del piccolo Cristian contraddice tanti luoghi comuni sulle scuole paritarie, smentisce chi sostiene che queste non sarebbero scuole pubbliche, pronte ad accogliere tutti. “Le suore non hanno fatto alcuna difficoltà ad accogliere mio figlio anche se straniero. E nella scuola ci sono altri bimbi stranieri. Ed anche le loro mamme sono contrarie a questo referendum perché per loro la scuola è una cosa bella e buona. Per tutti, anche per gli italiani, sarebbe più difficile se le suore fossero costrette ad aumentare il costo. Tutti facciamo fatica a pagare affitto e bollette”.

La scuola Sacro Cuore di San Savino è cattolica ma una famiglia ortodossa come quella di Maria è contenta di farla frequentare al proprio figlio perché è un ambiente che lo aiuta a crescere bene. Due volte la settimana il piccolo Cristian, terminata la scuola, frequenta la palestra annessa, dove svolge numerose altre attività. “Con un piccolo costo in più – spiega Maria – abbiamo anche questo servizio che a mio figlio piace tanto. Speriamo proprio che questa ‘legge’ non sia approvata”.

 

(testimonianze raccolte a cura di Fism – Federazione Italiana Scuole Materne ed AGeSC – Associazione Genitori Scuole Cattoliche)

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