Il programma di governo del neo ministro Maria Chiara Carrozza? È presto detto: più soldi alla scuola e più insegnanti, nel quadro di un sistema pubblico integrato. Stiamo forse sognando? Pare di no, a quanto risulta dai ripetuti messaggi lanciati dalla fresca titolare di Viale Trastevere che, tramite twitter o il suo profilo Facebook, più che nella forma del classico discorso programmatico, sta tracciando le coordinate della sua azione politica.
Sì, è vero, la scuola in alcuni interventi tenuti nelle zone d’emergenza è intesa anzitutto come edificio, per cui l’edilizia scolastica è definita una priorità irrinunciabile. Lo spiega il ministro ad Agrigento, dopo l’ennesimo crollo del tetto di un istituto sulla testa di alunni rimasti fortunatamente illesi: “Non possiamo permettere che alunni, insegnanti e personale della scuola vivano in ambienti insicuri e poco funzionali”. Il ministro è inoltre attento al tema della legalità e per questo ha accompagnato la nave piena di studenti che, partiti da Civitavecchia, hanno celebrato a Palermo i giudici Falcone e Borsellino vittime della mafia.
Ma oltre a questi atti dovuti e a qualche dose di “politicamente corretto”, il clima sembra cambiato e, nell’ottica delle larghe intese e del realismo maturato sull’onda del referendum bolognese sul finanziamento alle scuole paritarie, il ministro Carrozza ha dichiarato che “le scuole paritarie coprono una parte degli studenti italiani e offrono un servizio pubblico. Se togliessimo questi soldi metteremmo in grave difficoltà questi istituti e molti bambini non avrebbero accesso alla scuola. Sarebbe davvero un disastro”.
Su Facebook precisa che “dare risposte a tutti i bambini è l’esigenza pubblica per eccellenza, in cui i beni comuni sono tutte le realtà educative che, in un sistema integrato, sanno mettersi al servizio della formazione dei nostri figli nel rispetto dell’interesse collettivo. Infatti, secondo la legge 62 del 2000, nota come legge Berlinguer, il sistema d’istruzione nazionale integrato è costituito da scuole comunali, scuole nazionali e scuole paritarie, che svolgono tutte un servizio pubblico”. Pertanto, aggiunge, “la sacrosanta battaglia per una scuola pubblica più forte non si può vincere mettendosi contro chi cerca di dare un posto a tutti i bambini. Peraltro, come ricordato da studiosi tra cui Giulio Sapelli e Stefano Zamagni, la stessa teoria dei beni comuni prevede che forme educative non statali adempiano a fini pubblici”. Infine, fissa il suo ragionamento in questo modo: “Pur nel rispetto di tutte le posizioni, come ministro dell’Istruzione punto a un buon governo pubblico del sistema attuale. Inoltre, non ritengo che la vicenda bolognese debba essere trasformata in una bandiera nazionale”.
In questo senso, probabilmente, è da cogliere l’appello recente: “O ci sono margini per un reinvestimento nella scuola pubblica oppure devo smettere di fare il ministro dell’Istruzione”. Dove trovarli questi soldi? Prima delle elezioni politiche dello scorso febbraio, l’allora rettore Carrozza, ebbe a dichiarare, intervistata insieme a Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd, che “l’obiettivo nazionale è riportare gradualmente l’investimento almeno al livello medio dei Paesi Ocse (6% del Pil)”. Nel programma del Pd c’era l’allentamento del patto di stabilità e il taglio di altri capitoli di spesa dello Stato. Vedremo.
Altro capitolo è quello dei docenti, a proposito del quale il ministro auspica l’ingresso di “un esercito di nuovi insegnanti” (dichiarazione resa durante il dibattito nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo). Su questo punto bisognerà intendersi bene per non deludere determinate aspettative e non ricadere nelle pieghe dell’assistenzialismo. D’accordo sul fatto che le Gae (Graduatorie ad esaurimento) debbano essere svuotate. Ma con quale criterio? Nomine in ruolo e concorsi? Solo le prime? Concorsi solo per le graduatorie esaurite, come l’ex rettore di S. Anna aveva anticipato?
Senza contare che grava sulla materia la questione del Tfa (Tirocinio formativo attivo), vera cartina di tornasole. Infatti per “nuovi insegnanti” si possono intendere anche i nuovi abilitati, che hanno un titolo di idoneità non immediatamente coincidente con il posto fisso. Nell’ottica di un sistema sussidiario, come quello auspicato dal neo ministro dell’Istruzione, è allora pensabile che il giovane che si prepara attraverso gli studi universitari alla professione docente sia titolare anzitutto del diritto di poter conseguire un’abilitazione all’insegnamento, spendibile nelle forme diverse che un sistema integrato può consentire. In questo senso, il numero degli abilitati è da commisurare alle necessità del sistema nel suo complesso e non al fabbisogno determinato dall’avvicendamento interno all’organico dello Stato. È questa la logica che presiede il documento di modifica del decreto 249/2010 (istitutivo del Tfa) ora giacente presso la Corte dei Conti per la registrazione e la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ed è auspicabile che da questo assetto finale non si retroceda. Ne andrebbe a discapito il futuro del Tfa, comunque lo si voglia pensare.