Caro direttore,
l’intervista che lo sconfitto nel referendum di Bologna prof. Zamagni ha rilasciato a ilsussidiario.net va letta dalla fine.
Comincio, perciò, proprio dalla fine: meno male che di Zamagni non si è parlato come di un possibile candidato al Quirinale.
Perchè le tesi assai singolari che è riuscito ad enunciare in una sola intervista sono la riprova che quando si invadono campi non noti e non propri (Rodotà, da costituzionalista, non si è certo cimentato in analisi economiche) si rischia grosso ed il riferimento alla mancata elezione di Rodotà sembra, perciò, decisamente una caduta di stile che si spiega solo con l’esito e la sconfitta propiziata anche dall’intervento autorevole del candidato al Quirinale.
L’economista Zamagni, lo aveva già dimostrato e lo conferma anche con questa intervista, non si trova decisamente a suo agio con i profili giuridici della questione bolognese.
Meno male, perciò, che nessuno abbia pensato a lui per il Quirinale magari al posto di Rodotà perché ad applicare i suoi canoni di seguito politico applicati al referendum, certamente l’economista avrebbe avuto minor consenso rispetto al costituzionalista.
Ritornando all’intervista, si trattasse, infatti, solo di opinioni esse sarebbero, ovviamente, assolutamente rispettabili anche se non condivise. Ma Zamagni vuole (o per lo meno prova a) spacciarle come applicazioni di principi giuridici o politologici tutti da dimostrare.
Comincerei dalla tesi che la bassa percentuale di votanti si tradurrebbe in una implicita posizione a favore della tesi B.
Immagino che Zamagni non creda nella possibilità di divinare attraverso una sfera di cristallo. Cosa lo autorizza, perciò, a pensare che la mancata partecipazione al voto si traduca in un appoggio “silenzioso” alla tesi perdente? Se si trattasse di un referendum abrogativo avrebbe qualche ragione da sostenere. Per quello si richiede un quorum e la strategia per invalidare un referendum scomodo è non partecipare. Quindi si vince anche non andando a votare e facendo fallire il raggiungimento del quorum per la validità del referendum. A Bologna non era richiesto alcun quorum e quindi questa prima tesi di Zamagni è decisamente arbitraria.
La seconda tesi singolare di Zamagni è che il referendum non abbia avuto né vincitori né vinti.
Già l’aritmetica si ribella all’idea che 59 sia uguale a 41 ma anche questa tesi si basa su una inesatta valutazione del risultato. A Bologna, lo ripeto, non si è votato per un referendum abrogativo. Lo fosse stato avrebbe ragione Zamagni. Ma non lo è e quindi il prof. Zamagni fa una affermazione inconsistente sul piano giuridico e risibile sul piano politico.
Perché se proprio si vuole cimentare in una analisi politologica dovrebbe considerare che il dato della scarsa partecipazione a Bologna è in linea con le percentuali elevate di astensione alle amministrative nel resto d’Italia. Non per quello dichiariamo non doversi procedere con i ballottaggi o non proclamiamo eletti i sindaci che raggiungono la maggioranza assoluta dei pochi voti espressi.
Applicassimo, peraltro, il ragionamento di Zamagni gli americani non avrebbero eletto, qualche anno fa, un loro Presidente… Continuassimo ad applicare il ragionamento di Zamagni (se votano pochi il risultato non conta) nei referendum confermativi sarebbe possibile modificare la Costituzione abbastanza facilmente. Invece anche in quel caso il voto conta indipendentemente dal numero dei votanti. Questo a Bologna era chiaro sin da prima che si votasse e quindi Zamagni non può, a posteriori, né rammaricarsene né, tanto meno, provare a rovesciare i risultati.
Se poi l’affermazione che non ci sia uno schieramento vittorioso serve a far pressione sul sindaco Merola perché ignori il risultato di domenica, allora ancor di più è la dimostrazione di quanto Davide abbia inciso su Golia.
Zamagni ha guidato lo schieramento che ha accusato i promotori del referendum di aver messo in piedi non una consultazione popolare ma una manifestazione ideologica per combattere battaglie di retroguardia. Bene, il giorno successivo alla sconfitta Zamagni assume una posizione che i giuristi definirebbero, a buona ragione, “in frode di legge”. Perché propone, da sconfitto che non accetta il verdetto popolare, la soluzione dei voucher.
Saranno pure dieci anni che lo propone ma siccome dal 1948 l’art. 33 non è stato mai modificato la sua proposta sempre “in frode di legge” è, anche se è vecchia di dieci anni. Piuttosto, riproporla oggi è la dimostrazione di quanto si creda poco nelle forme di partecipazione democratica tanto da volerne vanificare l’esito chiaro con un’altra “furbata”. Resta, infatti, un mistero sul perché, in tanto dispiegarsi di fantasia giuridica, non si faccia strada la necessità di operare la revisione costituzionale a proposito dell’art. 33.
Tutti si inventano costituzionalisti, qualcuno si inventa storico, molti ricostruiscono il dibattito alla Costituente ad usum delphini, qualcuno arriva pure a disquisire su “istituire” che si sdoppia in “istituire” e “far funzionare” con scarso rispetto della verità storica e dei lavori preparatori ma mai che ai fautori della parificazione “con oneri per lo Stato” venga in mente di eliminare il famoso inciso finale dell’art. 33. Eppure sarebbe la soluzione più facile e conforme al Diritto ed alla logica. Ma, evidentemente, non sono tempi in cui Diritto e logica anche giuridica hanno molto seguito.
Un grande contributo a questo splendido risultato lo ha dato anche la decisione della Gelmini di eliminare lo studio del Diritto nelle scuole. Sembrava un “taglio” qualsiasi ma l’avevamo scritto che serviva a creare le condizioni perché si potessero rilasciare interviste come quella del prof. Zamagni sperando che l’opinione pubblica non capisse.
Anche per questo sarebbe il caso di ripristinare lo studio del Diritto nelle scuole e speriamo che il ministro Carrozza, pur scontenta per il risultato di Bologna, ci pensi seriamente.
Prima che il prof. Zamagni colpisca ancora…