Premetto che le domande e gli interrogativi posti dal prof. Mereghetti nella sua lettera meriterebbero una risposta anche dai diretti interessati. Tuttavia, poiché l’Apef ha da sempre partecipato al dibattito sulla necessità di una valutazione esprimendo sempre un parere positivo e incoraggiante sui processi avviati in questi anni, non ci sottraiamo dal dare una risposta alle domande formulate dall’autore.
1. Veniamo alla prima domanda. Che cosa valutano le prove Invalsi? Valutano il livello medio di preparazione degli studenti, oppure vogliono dare un giudizio sul livello di preparazione che offre una scuola, facendo però aleggiare sullo sfondo la rassicurazione che non vi sia nessuna intenzione di valutare gli insegnanti?
Convengo con Mereghetti che “è ridicola questa rassicurazione degli insegnanti, da una parte perchè non è vero che un test simile non li giudichi”. Anche alla questione delle valutazione degli insegnanti andrebbe però applicata la categoria esplicitata nella sua premessa, e cioè che è una posizione pregiudiziale per alcuni e considerata politicamente non corretta da alcune forze sindacali e politiche. È indubbio che le prove (non test) Invalsi intendono valutare gli apprendimenti degli studenti e che questo fornisce uno solo degli elementi della valutazione, che è ancora ben lungi dall’essere a regime. La valutazione, oggi ancora sperimentale, a regime dovrà realizzare un sistema non meramente premiante ma un confronto nazionale, sistemico, tra gli istituti, basato su standard individuati, che sia d’aiuto e supporto alle scuole, per migliorarne l’efficacia. Una valutazione formativa dunque che, dotandosi di un buon sistema informativo, sia in grado di aiutare gli insegnanti a sperimentare nuovi percorsi per migliorare i risultati.
2. Nella seconda domanda ci si chiede: che cosa si può valutare di un percorso scolastico? Si può o no valutare l’insegnamento e quali siano i criteri da mettere in campo?
In premessa la norma dice che l’autonomia “ha l’obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”. La valutazione di sistema su base censuaria combina le informazioni derivanti sia dalle rilevazioni degli apprendimenti degli alunni al termine di ogni ciclo di istruzione, sia dall’osservazione del processo di funzionamento della scuola nella sua globalità, in modo tale che ogni scuola, al momento della restituzione dei risultati, abbia un quadro più fedele della propria situazione che gli consenta di comprendere se le difficoltà derivano dal contesto o dal modus operandi. Perché solo in questo modo ed in questa fase, la singola scuola può far rientrare il controllo dei processi che determinano quegli esiti. È indubbio poi che attraverso la valutazione degli apprendimenti si intenda valutare anche l’efficacia delle singole scuole, prendendo però in considerazione anche dei criteri che nella fattispecie sono il contesto in cui le scuole sono inserite, i processi didattici e organizzativi attuati e i risultati ottenuti.
3. Infine la terza domanda. Qual è lo scopo pratico dei test (prove)? Servono solo per fare delle statistiche? Le scuole prime in classifica possono mettere i risultati sui loro siti? Oppure c’è un effetto di qualità in più?
È noto come il tema della valutazione sia strettamente legato a quello dell’accountability: dal momento che se ne parla contestualmente fin dall’introduzione dell’autonomia scolastica. Oltre un decennio fa Luigi Berlinguer sosteneva che autonomia e valutazione fossero inscindibili perché l’autonomia scolastica senza valutazione diventa autoreferenzialità, deregulation selvaggia. È quindi evidente che la pubblicizzazione dei risultati è uno degli elementi fondanti della valutazione stessa, come abbiamo avuto già modo di esporre su questo giornale (17-02-2011). Ma di tutti i risultati, non solo delle scuole prime in classifica. Questo attiverebbe un sano meccanismo di competizione tra le scuole e le prove sugli apprendimenti degli studenti, unitariamente ad una regolare e condivisa autovalutazione d’istituto, organizzativa e didattica, sarebbe di supporto ai processi di miglioramento dei percorsi didattici da parte dei collegi dei docenti. Non è un caso se in un’indagine Apef dello scorso anno, presentata al nostro convegno nazionale sulla valutazione, alla domanda “se sia utile la restituzione alle scuole partecipanti dei dati rilevati attraverso la valutazione, per migliorare la propria offerta formativa, i processi didattici e organizzativi” ben il 78 per cento degli insegnanti intervistati ha espresso parere favorevole.
Infine, la domanda concernente lo “scopo pratico” che si pone il lettore apre un problema più “complessivo”, e cioè quello di raggiungere l’equità nel nostro sistema istruzione. L’analisi delle Prove Invalsi 2011 ha mostrato, infatti, come non ci sia equità nella distribuzione dell’offerta formativa delle scuole tra il Nord e il Sud e tra scuola e scuola nell’ambito dello stesso Sud (con eccezione della Puglia). Inoltre il risultati Invalsi sono anche perfettamente coerenti con i dati, disaggregati sul territorio, dell’indagine Ocse-Pisa 2009.
Se auspichiamo quindi, giustamente, l’equità, questa si può realizzare solo con una valutazione di sistema che, inoltre, è stata progettata anche per fornire supporto ai docenti per il miglioramento dei percorsi didattici, fuori da ogni logica ”puntiva” che una certa parte conservatrice vuole oggi ancora attribuirle.
Noi riteniamo che i risultati della valutazione, quando sono chiari e ben compresi e condivisi, modifichino la didattica, il funzionamento e l’organizzazione delle scuole e anche le decisioni del legislatore.