Le linee programmatiche su scuola e università presentate dal ministro Carrozza nella recente audizione davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato sono in sintonia con le varie anticipazioni offerte dalla responsabile ultima di Viale Trastevere sui social network. E tuttavia per l’ampiezza e l’organica disposizione, tale agenda di intenti presenta nuovi motivi di riflessione e di valutazione.
Non mancano, occorre riconoscerlo (ci riferiamo specificamente alla parte dedicata alla scuola), numerosi spunti innovativi che fanno tesoro del dibattito sulla politica scolastica degli ultimi governi, in rapporto alle reali necessità della scuola. Uno per tutti è desumibile dalla seguente affermazione inserita nel paragrafo “Istruzione”: “Le scuole ogni giorno rispondono ad una domanda complessa e diffusa di educazione, che arriva dai ragazzi stessi, dalla società, dai genitori…”. Con questo si vuole riconoscere che la scuola è investita da una domanda che comprende l’apprendimento, ma anche il senso di un impegno che apre alla vita.
Questa immagine di scuola come ambiente vitale che risponde ad un bisogno di costruzione di personalità senza essere solo uno strumento di trasmissione di meccanismi sociali, in alcuni casi emerge. Quantomeno in due direzioni.
La prima è una prospettiva di sistema che legittima l’esistenza in Italia di un ordinamento scolastico “pubblico di istruzione, composto dalle scuole statali e dalle scuole paritarie”. Il passaggio in questione fa anche riferimento alla legge 62 del 2000 (legge Berlinguer) e al finanziamento verso le scuole paritarie che ricevono l’1,2% della spesa relativa alle statali, a fronte di una platea di alunni da esse accolte corrispondente al 12% della popolazione scolastica.
La seconda direzione concerne il ruolo dei docenti, il cui lavoro è da valorizzare e riconoscere perché assolve “funzioni educative generali”, espressione bruttina che comunque richiama la responsabilità di tanti insegnanti che abbracciano l’intera condizione dei giovani (talvolta delle famiglie) con i quali sono messi a contatto tra i banchi.
Si tratta di affermazioni non di poco conto, perché nel primo caso (sistema integrato) si mostra la volontà di uscire da decenni di laicismo svigorito e ideologico per schiudersi ad una idea di scuola che nasce dal basso e non è una forma di inquadramento che lo Stato esercita nei confronti dei cittadini. Nel secondo caso (il nesso con gli insegnanti) si vuole probabilmente additare l’opportunità che si diffondano esperienze di docenti che non si limitano a fare il loro dovere di impiegati statali, ma che in quanto persone vive si confrontano con le “fatiche di crescere” delle nuove generazioni con una proposta globalmente interessante.
In pratica, poste le premesse, sono tre le tipologie di azione che il ministro intende utilizzare per risolvere le varie impasse di cui soffre l’organismo elefantiaco che dovrebbe prendersi cura dei giovani, e non lo fa. Non lo fa perché disperde capitale umano (alto tasso degli abbandoni scolastici), perché è poco coeso al livello dei rapporti Stato-Regioni, perché è in alcuni casi discutibile quanto alla preparazione che fornisce (vedi i riferimenti alla qualità degli apprendimenti in Italia, dedotti dalle immancabili statistiche Invalsi e Ocse-Pisa).
Le tre forme di soluzione sono enunciate come: interventi di sistema (comprendenti l’edilizia scolastica e il sostegno all’autonomia delle scuole); interventi per il personale della scuola e per i precari; interventi per gli studenti. È in questi campi che si esprime con maggiore chiarezza la filosofia del ministro, una sorta di “organizzativismo illuminato” che intende innovare e riconoscere, senza sovvertire la macchina dalle fondamenta. Sul tema dell’autonomia delle scuole, il pensiero del ministro è chiaro: il percorso non è ancora sufficientemente sviluppato e per questa ragione occorre procedere a costruire l’organico funzionale (ossia l’organico stabile di istituto) e aumentare il fondo economico di cui le scuole possano dotarsi (da 8 euro per alunno a 20-25) per poi valutarle per come l’hanno speso. Sul versante degli insegnanti sono espresse intenzioni allo stesso modo interessanti: si dovrà procedere a nuove modalità di sviluppo di carriera dei docenti con l’avvio di un sistema di valutazione delle prestazioni professionali collegato ad una progressione di carriera e svincolato dalla mera anzianità di servizio. Alcune posizioni organizzative e figure di sistema che si sono venute a creare tra i docenti, dice il ministro, potrebbero già essere valorizzate tramite punteggi aggiuntivi che possono pesare in qualche modo nelle procedure di selezione dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi.
Sulle nuove forme di reclutamento dei dirigenti e dei docenti (compreso il Tfa) si preannuncia una successiva fase di riflessione, mentre sulla formazione in servizio ci si può avvalere delle iniziative già messe in cantiere dalle scuole, dalle reti o associazioni di scuole (dalle associazioni dei docenti no, ministro?).
In ultima istanza, la politica relativa agli organici del personale dovrebbe portare ad un nuovo piano di assunzioni nel triennio 2014/17 di 44mila unità, mentre sul versante degli studenti si vorrebbe potenziare il tempo pieno e prolungare la scuola al pomeriggio nel primo ciclo (era un obiettivo dei saggi di Napolitano) per “sperimentare metodologie didattiche innovative”.
Nel complesso (molti passaggi dovranno essere approfonditi e verificati in itinere) un piano di attacco che contiene novità, sebbene tutte riconducibili ad un centro che muove per includere e per escludere. Includere il buono che le scuole hanno prodotto in questi anni, nei campo della didattica e dell’autovalutazione; escludere ogni ulteriore devoluzione di funzioni, strutture, di personale e di risorse verso i territori, diversa dall’attuale. Escludere anche un’alleanza virtuosa con quei soggetti, come le associazioni professionali, che già operano perché la scuola e gli insegnanti siano diversi, ma che non rientrano nell’assetto prevalente e quindi non sono citate. Una omissione che non sembra appena una veniale dimenticanza.