Prima di affrontare il Tototema di quest’anno vorrei fare due premesse. Non credo alle previsioni che vengono offerte di tracce dell’esame di Stato sulla base di presunte fughe di notizie, perché non si sono mai avverate. In secondo luogo, non ritengo che la preparazione dell’ultimo minuto su un ipotetico autore prescelto per la tipologia A possa permettere di affrontare bene l’analisi di testo. 



Mi spiegherò meglio. In tutti questi anni chi ha redatto le prove ha sempre fornito una brevissima presentazione dello scrittore (poche righe), corredata da domande che richiedevano una comprensione del testo e una capacità di analisi a prescindere da una precedente conoscenza della poesia o del passo in prosa. Le stesse domande di approfondimento e di inquadramento dell’autore hanno spesso offerto la doppia opzione di approfondire poetica o testi dello scrittore oppure di argomentare una tematica attraverso un percorso di autori che l’abbiano affrontata. Quindi, è davvero importante la conoscenza di un autore per sostenere la prova così come viene preparata dal ministero? 



Le tradizionali norme di retorica direbbero di sì. Chi non ricorda il detto che risale a Catone il Censore  Rem tene verba sequentur ovvero «possiedi gli argomenti, le parole verranno di conseguenza»? Se un ragazzo o un adulto dovessero scrivere un articolo di giornale o un tema su un poeta dovrebbero senza dubbio conoscere bene l’autore. Qui, però, si tratta di rispondere ad alcune domande su un testo che è fornito. Quando nel 2010 è stata proposta la «Prefazione» di La ricerca delle radici. Antologia personale, gli studenti, nel migliore dei casi, conoscevano dell’autore soltanto l’opera Se questo è un uomo. Eppure avevano tutte le possibilità di affrontare bene la prova. L’approfondimento era relativo alla ricostruzione da parte dello studente di una biblioteca personale costituita da quelle opere che erano state fondamentali nella formazione e nella crescita. 



Ora, fatte queste premesse, arriviamo alla notizia Ansa dell’altro giorno (11 giugno, ndr) sul Tototema. Recita così: «Ungaretti in pole position, insieme a Svevo, Pirandello e Quasimodo per l’analisi del testo. Per il tema o saggio/articolo, ci sono la crisi e lo sviluppo sostenibile, visto che il 2013 è l’anno Europeo contro lo spreco, internet (30 anni dalla nascita), la condizione femminile e il cammino dell’integrazione europea. Ad una settimana dall’esame di maturità, escono le prime previsioni: ma mai i temi sono stati diffusi prima della mattina degli esami, quando si apre il plico telematico».

Per quanto riguarda l’analisi di testo in quindici anni la selezione degli autori prescelti è stata davvero ridotta, indice di poca fantasia e di una sottovalutazione del patrimonio letterario del Novecento italiano. Ecco i numeri. Sono stati proposti: tre volte Ungaretti, tre volte Montale, due volte il Paradiso, una volta Saba, Pavese, Quasimodo, Pirandello, Primo Levi, Svevo. 

Anche per i non addetti ai lavori emergono alcune considerazioni: la selezione è soltanto sul Novecento (escluso il secondo Ottocento che viene studiato in tutte le scuole in quinta; chi insegna sa, in realtà, che quasi tutti i docenti partono nell’ultimo anno ancora da Leopardi o Manzoni, raramente da Verga), vi sono dei grandi esclusi del secolo (Pascoli e D’Annunzio su tutti) e la letteratura italiana del Novecento appare ridotta, povera e scarna. Perché non ricordare agli studenti che abbiamo tanti scrittori importanti, solo per annoverare qualcuno: Guido Gozzano, Ada Negri, Dino Buzzati, Federico Tozzi, Angelo Gatti, Giuseppe Tomasi de Lampedusa, Giovannino Guareschi, Pier Paolo Pasolini, Clemente Rebora, Carlo Emilio Gadda, Carlo Betocchi, Giovanni Testori, Mario Luzi, Alda Merini, Andrea Zanzotto e Grazia Deledda (quest’anno ricorre il centenario della pubblicazione di Canne al vento).   

L’anno scorso è stato proposto per l’ennesima volta Eugenio Montale, forse il più grande poeta italiano del Novecento, ma mi è sembrato eccessivo proporlo per ben tre volte: «La casa sul mare» nel 2004, «Ripenso il tuo sorriso» nel 2008, il brano «Ammazzare il tempo» da Auto da fè nel 2012. Penso che quest’anno sia impossibile che venga proposto per l’ennesima volta. Ciò nonostante come esercitazione sarebbe interessante la poesia «Piove», una parodia de «La pioggia nel pineto» di D’Annunzio.

Anche Giuseppe Ungaretti è stato scelto per ben tre volte: nel 1999 la poesia «I fiumi», nel 2006 «L’isola», nel 2011 «Lucca». Anche in questo caso mi sorprenderebbe la riproposta del poeta (come scrive l’Ansa), sarebbe la quarta volta in quindici anni. Nonostante lo consideri un grande poeta, sarebbe un segno negativo l’insistenza sempre sui soliti della triade, come se nel Novecento italiano non ci fossero altri meritevoli scrittori (tra l’altro gli studenti si sono cimentati con Ungaretti solo due anni fa). 

Veniamo invece ai nomi plausibili secondo il criterio di chi sceglie le tracce. Solo una volta, invece, e per di più nel lontano 2000, è stata scelta una poesia di Saba, «La ritirata in piazza Aldrovandi a Bologna». Considerati la tendenza a ripetere i grandi della triade «Ungaretti, Saba, Montale» (tre volte Ungaretti e tre volte Montale) e il fatto che Saba sia stato proposto una sola volta, potrebbe essere ripresentato dopo tanti anni un componimento dell’autore triestino. Una bella esercitazione di quello che è il cantore dell’ordinario (parla anche del portiere di una squadra di calcio, della balia, della sua città, della figlia Linuccia, …) sarebbe la lettura della poesia «A mia moglie», in dissonanza con tutta la tradizione cortese occidentale che ha esaltato i rapporti adulterini extra coniugali o le relazioni irraggiungibili. 

Ungaretti, Montale, Saba, Primo Levi, Quasimodo, Pavese e altri sono stati proposti per l’analisi di testo, d’Annunzio mai. Perché Saba sì, d’Annunzio no? Non certo ragioni artistiche possono motivare questa illustre esclusione, casomai motivazioni moralistiche o ideologiche. Per caso, il peso di Saba nella nostra storia letteraria e della cultura può essere paragonato a quello di d’Annunzio? 

Si celebrano quest’anno i centocinquanta anni dalla nascita di Gabriele d’Annunzio (1863-1938), un autore che è emblema del suo tempo e della Belle Époque e, nel contempo, corifeo di quell’esasperata ricerca edonistica che è propria dell’uomo contemporaneo. Forse per questo oggi non piace, perché è uno specchio in cui l’uomo di oggi rischia di riconoscersi. Forse per lo stesso motivo oggi è trascurato nelle scuole. Oppure perché non viene proposto Pascoli, uno dei più grandi poeti della contemporaneità?

Altro nome che è stato ventilato dall’Ansa è Italo Svevo, un autore un po’ anomalo nel panorama letterario, definito come un vero e proprio «caso letterario» per la fortuna letteraria che lo bacia solo pochi anni prima della morte in seguito alla pubblicazione de La coscienza di Zeno (1923). Eppure, per certi versi, per la sua formazione da autodidatta e lontana dall’iter classico umanistico, per la sua attività lavorativa distante per tanti anni dal mondo delle lettere, Svevo è emblema di molti intellettuali del Novecento. Nel 2009 è stato sottoposto ai maturandi un passo tratto da quello che è considerato il suo capolavoro. Potrebbe essere interessante esercitarsi su un altro grande romanzo di Svevo, Senilità. Ritengo possibile, in base ai criteri di scelta di questi anni, il ritorno di Svevo nell’analisi. Altro autore che sarebbe interessante rivedere all’esame è Pirandello. Non è mai stata proposta una novella o un brano di un romanzo di Pirandello. Nel 2003 gli studenti si sono cimentati con una scena teatrale tratta da Il piacere dell’onestà

Non mi sorprenderebbe neppure il ritorno di Quasimodo («Uomo del mio tempo» era la poesia proposta nel 2002), considerato un grande e consacrato dal conferimento del Premio Nobel. Oppure dopo alcuni anni gli studenti potrebbero ritrovare il Paradiso. Sarebbe la terza volta, ma non nuocerebbe visto che a scuola la Commedia è sempre più trascurata. Quando nel 2005 e nel 2007 sono state assegnate per la prima prova dell’esame di Stato nelle scuole secondarie superiori terzine tratte dalla Commedia (rispettivamente dal canto XVII e dal canto XI), l’esito non è stato dei più confortanti: una percentuale davvero irrisoria di maturandi (attorno al 4-5 per cento) si è cimentata con il monumentale capolavoro. E pensare che il ministero aveva provveduto addirittura ad accompagnare i versi danteschi con alcune postille (peraltro a volte erronee) in funzione di commento e di parafrasi. Il dato non era che l’ennesima riprova dell’attenzione sempre minore che nelle scuole superiori veniva riservata allo studio delle tre cantiche.

 Ora concludo con poche considerazioni sulle previsioni relative alle altre tipologie. La questione dell’Europa e Internet sono già comparse in diversi modi e forme in questi anni. Personalmente, spero che i ragazzi possano incontrare sollecitazioni nuove e più interessanti. 

Spero che possano riflettere non solo su tematiche sociali, ma esistenziali, vicine alla loro vita, alle loro domande, alle loro aspirazioni e ai loro sogni. Chi stende le tracce si ricordi che esiste il singolo uomo (l’io e il suo cuore), non l’umanità astratta (oggi ridotta alla società dove la persona si annulla e scompare). Forse per questo gli studenti che si cimentano nei temi di attualità all’esame cadono nei luoghi comuni (come dicono i commissari). Forse, la colpa non è solo loro, ma anche delle tracce che non invitano a partire dalla propria esperienza e dalla propria vita.

Lancio, invece, una provocazione. Se gli studenti non sanno scrivere o non sanno cosa scrivere, non si risolve la questione offrendo loro i documenti fingendo di farli diventare giornalisti. Avete mai visto un giornalista a cui viene offerta la documentazione e gli si dice di rielaborarla? Che senso avrebbe? Se vogliamo che i nostri studenti imparino a scrivere, facciamo scrivere loro due volte a settimana un diario o Zibaldone personale. In un anno inizieremo a vedere i risultati. Cambiamo la prima prova: ritorniamo al tema, che è espressione di una cultura, di una capacità di giudizio e di rielaborazione. Torniamo a scommettere sulle capacità dei ragazzi. Certo questo comporterà un lavoro più oneroso per noi docenti. Ma ne varrà la pena.

 

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