Ore 8.30 di ieri, lunedì 17 giugno. Mentre gli studenti si svegliavano da un sonno per i più agitato e si lanciavano sui libri di scuola per lo sprint finale, in tutte le scuole d’Italia si sono riunite le commissioni degli esami di Stato e hanno iniziato a studiare le procedure per poter fare del loro meglio in quella che è una rete intricata e spesso dispersiva.



Ciò che dovevano fare le commissioni in questa prima riunione è presto detto: verificare la correttezza della documentazione, prendere atto dei programmi svolti e preparare le griglie per valutare le prove d’esame ed il colloquio. È per lo più procedurale questo primo appuntamento, e di fatto basta collegarsi a “Commissione web”, “l’applicativo realizzato dal Miur per la gestione delle attività connesse agli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di istruzione, messo a disposizione delle Commissioni esaminatrici”. Basta un click, nome utente e password, e si entra in uno spazio virtuale che stabilisce per filo e per segno tutto quello che si deve fare, i lavori della commissione d’esame sono guidati in ogni loro parte e non c’è possibilità di sbagliarsi. Questo si trovano le commissioni, dei verbali già prestabiliti che definiscono il da farsi, per cui c’è solo da eseguire. Una facilitazione, non c’è di che! Ma l’esame non può essere questa applicazione guidata, che ne rappresenta solo uno strumento. Gli studenti arriveranno mercoledì e allora si farà sul serio. Per ora, si predispongono solamente le regole di quel che si dovrà poi fare, così che si possa correre su binari ben fissi sul terreno. 



Se questo è lo spirito della prima riunione, quello di stabilire le procedure, ancor di più la vera questione degli esami di Stato si propone in questo inizio di lavori, che è meccanico, il rischio di ridurre l’esame ad una applicazione di procedure è altissimo, anche perché di fatto chi dirige le operazioni spesso vuol avere la sicurezza delle regole, che nessuno possa trovare un difetto nell’applicazione fino a ricorrere contro l’esito degli esami. 

È vero, l’istituzione fa iniziare dalle procedure, impone agli insegnanti di fissare precisamente le regole, chiede di stabilire dei criteri di correzione cui poi attenersi scrupolosamente, è vero ed in parte è anche giusto, ma l’esame di Stato non è questo, fissate le regole è poterle superare per vedere che cosa vi sia oltre, se vi sia qualcosa capace di sfuggire alla rete che gli insegnanti hanno pur tesa. 



Ecco quindi che due tipi di insegnanti hanno iniziato l’avventura degli esami. Quelli che a priori escludono che sia un’avventura e che andranno ad eseguire le regole che loro stessi hanno stabilito. 

Questo insegnante non si divertirà, non farà altro che mettere in atto delle regole, il suo esame è come uno specchio in cui si riflette il già saputo. 

Ma di fronte a tante e pesanti procedure c’è un’altra strada oppure ci si deve arrendere a questa logica del dovere ripetuto? Sì, un’altra possibilità c’è, e non sta nel rifiuto delle procedure; griglie e grigliette si fanno come si fa il calendario delle prove, come si fanno i calcoli dei crediti e poi quelli delle varie prove, si fanno tutti questi atti, anzi se fatti bene creano ordine nel grande disordine delle procedure. La questione interessante è un’altra, è che ritrovarsi, guardarsi in faccia come insegnanti, andare a vedere i programmi svolti, chiedere le mappe concettuali delle tesine più che per eseguire delle procedure sono i primi passi di chi, dentro queste regole, si aspetta qualcosa, qualcosa che lo colpisca, che lo sorprenda.

Qui sta la differenza: non nelle regole, non nelle procedure, ma nell’attesa che qualcuno parli di sé, qualcuno che documenti come ciò che ha appreso divenga conoscenza. 

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