Come ogni anno, c’è un tormentone che accompagna gli esami di maturità. Quello di quest’anno riguarda il “bonus”, da 4 a 10 punti, pensato dal governo Prodi, ed introdotto da Profumo lo scorso 24 aprile, per premiare gli studenti più meritevoli.

Il paradosso è che questo sistema, nella forma pensata da Profumo, rischiava di non premiare chi davvero merita. Se ne è accorta anche il ministro Carrozza, nel senso di una correzione di tiro: il bonus della maturità si baserà sul lavoro delle singole commissioniesaminatrici e non più sui risultati dell’istituto nell’anno precedente.



Il rischio, però, non riguardava solo i maturandi che aspirano ad almeno 80/100 alla maturità, ma coinvolgeva anche le università, per possibili ricorsi, col conseguente blocco della selezione attraverso i test dei nuovi iscritti.

L’intenzione, ad essere sinceri, non era negativa: per accedere all’università è giusto conteggiare non solo i test d’ingresso, ma anche la carriera scolastica. Le facoltà a numero chiuso sono medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e professioni sanitarie.



Se il test prevede, dunque, un massimo di 90 punti, vanno in più conteggiati i punti derivanti dal bonus (da 4 a 10) che verranno dati in base all’esito della maturità. Ma era proprio qui il vulnus, il pasticcio architettato dai ministeriali. Perché a valere non era il voto in valore assoluto, ma il voto che derivava dai risultati della propria scuola sugli esiti dell’anno precedente, sempre per i voti oltre 80/100. Insomma, per avere i 10 punti uno studente doveva ottenere più del voto, nel 2011/2012, del 5 per cento dei ragazzi della propria scuola, per gli 8 punti doveva prendere più del voto superato dal 10 per cento. E così via. Sono state chiamate “percentili”. Come si vede, un pasticcio. Anche perché le sappiamo bene le differenze all’interno delle scuole, tra scuole di una stessa città, soprattutto tra scuole di regioni diverse.



Un sistema complicato, dunque, che rischiava di causare ingiustizie, perché, a parità di voto di maturità, uno studente otteneva un bonus più alto se si diplomava in un istituto dove l’anno scorso i voti erano inferiori.

Il fatto che ora il bonus dipenderà dalla valutazione delle singole commissioniesaminatrici porterà ad altre discussioni, ad altre valutazioni di merito. Perché tutti sappiamo, ancora una volta, le differenze tra commissione e commissione, tra scuola e scuola, tra regione e regione.

La questione quindi non è risolta, anzi. In termini di pari dignità, e di pari opportunità.

E se abolissimo il valore legale e ci affidassimo solo ai test d’ingresso, per tutte le facoltà?

Le analisi e le simulazioni, a questo fine, penso siano sempre utili. Perché danno la misura della realtà effettuale. Carlo Barone, ricercatore di statistica dell’Università di Trento, attraverso una simulazione ha provato ad applicare alle scuole vicentine lo schema prima maniera, cioè nella forma prevista da Profumo lo scorso 24 aprile. Il risultato non può che lasciare sconcertati: “le scuole che preparano di più ad affrontare l’università, cioè i licei, vengono paradossalmente penalizzate”.

Vediamo l’esito della simulazione fatta da Barone sui bonus prima specie, cioè quelli targati Profumo. Il bonus di Profumo, in poche parole, “penalizzava i liceali vicentini rispetto a chi ha frequentato un istituto tecnico o professionale. I primi, per ottenere il massimo punteggio, 10 punti, avrebbero dovuto conquistare in media un voto all’esame di stato pari a 96. Per i tecnici invece bastava un 93, per i professionali 90”.

Le norme di Profumo, sintetizza Barone, nei fatti “avrebbero creato una ingiustificata disparità di trattamento tra studenti”. Insomma, i liceali vicentini per avere 10 punti avrebbero dovuto ottenere 96 punti. Questo perché, in media, i liceali ottengono voti più alti alla maturità. Non solo: “Le scuole private erano avvantaggiate rispetto alle pubbliche: agli studenti delle scuole statali “sarebbero serviti mediamente 95/100 per ottenere il bonus massimo, ma a quelli delle scuole paritarie ne sarebbero bastati 88”.

Quindi le regole di Profumo penalizzavano i licei e le scuole statali. Soprattutto i licei, cioè proprio le scuole funzionali all’accesso all’università. “Queste regole – continua Barone – erano state pensate perché nelle scuole di alcune regioni si attribuiscono voti più alti senza che ciò rifletta una migliore preparazione. Per esempio, lo scorso anno l’8,4% degli studenti lombardi ha ottenuto un voto superiore ai 90/100, mentre quelli calabresi il 18,8%. Le ricerche ci dicono però che gli studenti calabresi non sono più preparati di quelli lombardi: anzi è vero il contrario. Questo suggerisce che i primi vengano giudicati più generosamente, ottenendo voti più alti alla maturità. Poiché i dati mostrano che gli studenti vicentini sono allineati alla media nazionale, per loro non sarebbe cambiato nulla rispetto agli studenti delle altre province”.

Sappiamo tutti, a questo punto, la vera questione aperta.

“Il problema nasce dal fatto che non c’è uniformità nella valutazione. I giochetti matematici, come in questo caso, non risolvono. Ci vogliono valutazioni su standard omogenei in tutte le scuole. Cioè le prove Invalsi. È infatti questo che si sperimenterà quest’anno. E se davvero sarà dimostrato che gli studenti con punteggi elevati al test otterranno migliori risultati anche all’università, dal prossimo anno il test potrebbe entrare a regime”.