“Lasciate dormire la Cina, perché al suo risveglio il mondo tremerà”. Questa frase, che sembra scritta ieri per attualità e suggestione, appartiene invece a Napoleone Bonaparte, il generale figlio della Rivoluzione francese e sovrano di buona parte del continente europeo.
Già all’inizio del 1800 quindi potevano essere chiare agli osservatori internazionali più attenti le immense potenzialità inespresse che paesi vastissimi come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (i cosiddetti “Brics”) possedevano in termini economici e di peso geopolitico. Sono le stesse opportunità che ora, dalla seconda metà del XX secolo e in maniera molto più massiccia al volgere del millennio, si stanno sempre più concretizzando e che prendono in contropiede il mondo occidentale.
Inutile nasconderselo: in un mondo ormai globalizzato, il peso di queste nazioni “continentali” sta diventando ormai imprescindibile. La loro forza sta nelle immense possibilità insite nel loro mercato interno (che da solo è il 42% della popolazione mondiale) e nello straordinario progresso economico e tecnologico che stanno vivendo e che sembra apparentemente non subire il peso asfissiante della crisi economica di oggi. Forse anche per questo al recente G8 in Irlanda del Nord, uno degli argomenti all’ordine del giorno è stata la creazione di un’area di libero scambio transatlantica fra Usa e Europa, un “fronte comune” occidentale che potrebbe non essere sufficiente ad arginare il dilagare sui mercati internazionali dei nuovi affaristi brasiliani, asiatici e sudafricani.
Ma le radici di un così straordinario successo non sono solo economiche e finanziarie: come tutti i fenomeni storici destinati a segnare un’epoca, quello dei Brics ha radici lontane, che affondano nella Storia dei rispettivi paesi. In particolare quella della Russia e della Cina può essere considerata in questo senso emblematica: entrambi paesi che provengono dalla tradizione politica e dall’impostazione economica comunista, hanno ormai abbandonato questo seminato con soluzioni molto diverse.
La Russia, paese egemone dell’Unione Sovietica per tutto il XX secolo, esce da questa esperienza in maniera tutt’altro che traumatica. Non si riempiono le piazze a Mosca e a San Pietroburgo quando, la notte del 26 dicembre 1991 la bandiera rossa dell’Unione viene ammainata sopra i tetti del Cremlino. Il processo, è vero, fu sì contraddistinto da un fallito colpo di stato militare che puntava a difendere l’Urss dal suo dissolvimento nei nazionalismi eurasiatici e di cui resta un mirabile racconto in “Crollo del Golpe Rosso” di Giulietto Chiesa, ma va inserito in un processo ventennale di lento disfacimento dell’economia e delle istituzioni politiche sovietiche.
Il programma politico di “Visciglia” Gorbacëv, riassumibile nelle parole chiave perestroika (in italiano “ristrutturazione”) glasnost’ (“trasparenza”), iniziò nel 1985 e fu il tentativo da parte di alcuni dirigenti lungimiranti del PCUS di difendere un progetto politico anacronistico e che mostrava la sua impotenza proprio in quegli anni contro il piccolo Afghanistan (1979-1989).
Ma già dopo la morte di Stalin e il processo di “destalinizzazione” ideologica che colpì tutti i partiti comunisti (sovietici e occidentali), l’Urss non si poteva più dire la stessa: si incamminava lentamente ma inesorabilmente verso la fine. Intendiamoci, non è vero che fosse tutto già scritto e predeterminato: a lungo, fino al 1989 nessuno avrebbe scommesso qualcosa sul crollo di un Impero appunto continentale come i Brics di oggi, ma allo storico contemporaneo che si concentri su quegli anni cruciali non possono sfuggire i dettagli di una prevista crisi.
Se quindi il disfacimento sovietico fu lento, graduale e tutto sommato non “rivoluzionario”, comportando comunque la rinascita economica attuale di un paese, quello russo, che va dal Pacifico ai paesi baltici, il passaggio cinese non fu altrettanto facile. A marcare infatti il passaggio definito fra un regime comunista di impronta maoista ad un paese tutto sommato dai tratti economici capitalistici e occidentali, rimarrà per sempre la strage di Piazza Tienanmen.
La Repubblica Popolare Cinese, nata il primo ottobre del 1949, al termine di due guerre civili fra i nazionalisti filoamericani di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Tse-tung, sceglie inizialmente di seguire lo stesso modello di sviluppo economico e sociale dell’Unione Sovietica. Anche per la Cina la morte di Stalin (1953) rappresenta una svolta: da allora in avanti i dirigenti del PCC si orienteranno piuttosto per un percorso alternativo, più prettamente “cinese”. Il risultato, disastroso per il numero di morti e per l’inefficacia economica, costringerà il paese con più abitanti del mondo ad aprirsi agli investimenti occidentali, riconoscendo il diritto alla proprietà privata (1982).
Incoraggiati dalle riforme economiche, tra il 15 aprile e il 4 giugno del 1989, studenti, intellettuali e operai si ritroveranno assieme in una delle piazze centrali della capitale cinese per gridare il loro dissenso ad un regime oppressivo e violento. La risposta della leadership cinese sarà ferma e crudele: le stime più basse parlano di un migliaio di morti, una strage protrattasi nei giorni seguenti con arresti e deportazioni degli studenti scampati. Forse proprio in virtù del sacrificio di quei giovani manifestanti, la Cina si affermerà in seguito come paese moderno e aperto al mondo occidentale, anche se ancora rigido nelle istituzioni politiche comuniste e arretrato sul piano dei diritti umani.
Quelle della Russia e della Cina sono storie diverse quindi, ma con alcuni denominatori comuni: entrambi paesi ex comunisti (ma in modalità, innanzitutto istituzionali, molto diverse), entrambi con una popolazione di misura continentale e una economia in rapida crescita, entrambi di vocazione egemonica e imperialistica (pur nell’accezione contemporanea del termine).
Solo il tempo potrà dirci se questo tentativo di sviluppare una nuova egemonia a partire da un passato comunista avrà successo e se l’Occidente saprà rispondere con efficacia alle nuove sfide che la Storia gli sta imponendo.
(Lorenzo Roesel)