Premessa – Pochi argomenti hanno potuto vantare nella storia recente la fortuna letteraria che sta avendo la crisi economica. Complice il nefasto (e inaspettato) perdurare di questa inedita, per estensione geografica e temporale, condizione recessiva, le riflessioni giornalistiche, le analisi scientifiche, i dibattiti politici sulle cause e i possibili provvedimenti di contrasto sono ormai innumerevoli in tutto il mondo. In buona parte si tratta di considerazioni simili e ripetute; l’enorme quantità di opinioni rende difficile discernere ciò che è più scientifico e fondato. È però necessario comprendere le ragioni profonde di questa situazione, perché le soluzioni non siano teoriche e i tanti dati raccolti diventino informazioni utili per il futuro.
Cortocircuito tra regole e mercato – Paul Krugman, Raghuram J. Rajan e Luigi Zingales sono economisti globalmente letti e stimati. Le loro tesi sulle origini della crisi e sulle politiche correttive da approvare per uscirne sono state attentamente studiate in questi anni. Rajan è uno degli studiosi che è riuscito a prevedere questa disastrosa fase economica; il premio Nobel Krugman è commentatore molto ascoltato dai politici e dai governi del mondo occidentale.
Una delle tesi di fondo prevalenti nel dibattito scientifico è quella che individua nella crisi economica un cortocircuito tra le regole e il mercato, osservando come questo secondo si sia evoluto, negli anni duemila, a ritmi troppo veloci e con tecniche troppo complesse per essere controllato dai lenti meccanismi democratico/parlamentari degli Stati o gli ancor più macchinosi accordi regolatori internazionali. Sostiene questa tesi Rajan quando scrive che «il problema centrale del capitalismo (…) è sempre stato quello di riuscire a bilanciare il ruolo del governo e quello del mercato». Per questo «una buona economia non può essere separata da una buona politica». Se, quindi, è la politica la prima arma contro la degenerazione del “breve termine” che ha afflitto la finanza nel nuovo millenio, è comprensibile, come racconta Zingales, che gli americani scarichino contemporaneamente la propria rabbia e le proprie aspettative sulla legge, nel Paese, gli Stati Uniti appunto (culla delle «leggi antitrust» in difesa del sacro principio della concorrenza, nota l’autore), dove la «tradizione populista [è] volta a difendere gli interessi dei più deboli nei confronti del potere opprimente delle grandi imprese». La crisi, quindi, è causata dalla «rottura di un compromesso storico tra capitalismo e democrazia» (parole di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini citate da Mario Pirani su Repubblica del 1° dicembre 2012).
La posizione illustrata è in questo momento la più diffusa diagnosi sull’origine del critico quinquennio che stiamo vivendo. Ne derivano, ovunque nel mondo, politiche conseguenti: ammodernamento delle regole, maggiori controlli degli organi nazionali e internazionali, leggi restrittive dell’azione finanziaria, elezione di politici “nuovi”. La storia giudicherà il successo di queste azioni, che hanno comunque il merito di provare a conoscere (e quindi regolare) un mondo estremamente autoreferenziale e globalizzato quale è quello del “capitalismo spinto”, ovvero della finanza, mai stata così lontana dall’economia “reale” (quella della produzione di beni e servizi) come nel periodo pre-crisi.
La centralità della persona – Una riflessione non contrapposta, ma ben più profonda, è emersa in seguito a un testo particolarmente importante della modernità quale è l’enciclica Caritas in Veritate scritta nel 2009 da Papa Benedetto XVI. Questi, lungi dal sottovalutare l’importanza della politica e delle leggi nella promozione di una società migliore, ha ricordato come si sia «riposta un’eccessiva fiducia in tali istituzioni, quasi che esse potessero conseguire l’obiettivo desiderato in maniera automatica. In realtà, le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione e, quindi, comporta una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti» (par. 11). Conseguentemente, se si vuole affrontare compiutamente la crisi economica, è necessaria «una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige, in realtà, lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo» (par. 32). La novità di questa posizione, che ha permesso all’intero dibattito sulla crisi economica di compiere un importante passo in avanti qualitativo, è la centralità dell’etica. La recessione non è dovuta innanzitutto a una disfunzione di strutture e regole, ma alla «crisi culturale e morale dell’uomo». È chiara la differenza rispetto all’economicistica tesi presentata in precedenza: è inutile intervenire sullo Stato, sulle procedure della democrazia o sulle regole del mercato se non si mette al centro la persona.
Conclusione – La genialità interpretativa di questa lettura è testimoniata dalla reazione di molti economisti e “addetti ai lavori” che l’hanno prontamente fatta loro, trovando nelle parole del Papa il passaggio che mancava ai ragionamenti fino ad allora svolti. Non a caso l’attuale Presidente della Banca Centrale Europea scrisse nel luglio 2009: «Uno sviluppo di lungo periodo non è possibile senza l’etica».
È questa l’unica strada perché Stato, mercato e democrazia siano al servizio dell’uomo e perché la persona sia al centro delle dinamiche economiche e non il contrario, come è accaduto negli anni che hanno preceduto la crisi mondiale.