È la serietà che prende alla gola. La serietà loro, degli studenti chini a scrivere in lunga fila. Sarà che sono giovani, sarà che sono semplici ragazzi di provincia, ma sono seri, loro. E poi fa star male anche tutto il sogno che riempie l’atmosfera, che vola qua e là con gli innumerevoli fogli dell’innumerevole burocrazia sospinti dalla corrente d’aria chiamata a temperare l’afa. Insostenibile pressione del sogno che lievita sotto la pelle di ciascuno di loro, denso anche dei sogni che hanno dato slancio al propagarsi della vita, giù giù lungo le generazioni, fino a quelli che hanno dato senso alle fatiche dei loro genitori. Che poi i sogni non siano sempre quelli giusti, che ci si inganni nel sapore di “picciol bene” lo sappiamo; ma resta anche che, tolto questo, da dove si parte? C’è possibile partenza?



Ecco, nel discorso sulla scuola in generale, nel sottogenere del discorso sugli esami nel caso particolare, manca rispetto, vi è  una crudele sistematica mancanza di rispetto. I ragazzi che hanno affrontato ieri la prima prova hanno vissuto tutta la loro carriera scolastica in mezzo a un’incessante svalutazione della scuola così come l’hanno fatta, per definizione inadeguata e da cambiare, da cambiare anche quando è stata appena riformata, anche prima che qualunque riforma vada a regime. 



Studi, ti impegni, i tuoi spendono, si consumano, invecchiano, per qualcosa che per definizione non vale la pena. Anche se sei informato e furbo, se hai genitori aggiornati e à la page, se fai dunque quello che viene celebrato al momento come la chiave del futuro, non l’hai ancora finito di fare che già lo vedi giacere in pezzi, via la stagnola luccicante, ormai evidenti i materiali di risulta di cui era fatto. Via così, anno dopo anno, in una sardana sempre più sfrenata di modelli fantasiosi, di paragoni con inarrivabili perfezioni altrui, mentre non ti occorre leggere Seneca per vedere la maledizione che pesa sul presente, condannato ad essere passato appena concepito.



Finché arrivi a oggi, a un esame che, anche qui per definizione, va cambiato. Va cambiato da sempre, dai tempi dei padri, dai tempi dei nonni. “Oggi l’esame è pensato come conclusione di un percorso scolastico, non come orientamento. Noi invece dobbiamo preparare i ragazzi alla scelta futura, universitaria o professionale. Loro si concentrano solo sulla prova per poi trovarsi il primo agosto a chiedersi: cosa farò?” Così il ministro Carrozza su IO Donna di sabato scorso, sotto il titolo, manco a dirlo “In bocca al lupo ragazzi! Ma la maturità va cambiata”. 

Com’è un esame di “orientamento”, ministro? Nell’università che ha retto fino a poco tempo fa su che cosa vengono esaminati gli studenti? Su ciò che hanno studiato o su ciò che faranno in futuro? Ma poi lei stessa, ministro, come ha fatto a scegliere, dopo aver sostenuto un esame “conclusivo”? “Non sanno nemmeno (gli studenti, ndr) cosa significhi studiare Ingegneria o Economia”. Quindi, parrebbe di capire, bisogna in qualche modo “provare” prima la facoltà universitaria? E quante? O forse bastano Ingegneria ed Economia: Medicina provvede coi test, il resto non conta. 

E per le scuole professionalizzanti, corsi di studio in sé compiuti, perché non dovrebbe avere senso, a priori, un esame conclusivo? Sotto sotto si ha l’impressione che  esistano sempre e solo i licei, sempre al centro dell’attenzione dei ministri. Le cui amorevoli cure li hanno ormai quasi completamente distrutti: quanto meno per questo possiamo sperare che in un futuro prossimo il loro giovesco sguardo dovrà posarsi su qualcos’altro.

Attendiamo dunque l’esame futuro, sul futuro, per il futuro. Tutto va bene, pur di negare valore al presente e, soprattutto, ai presenti, ai ragazzi di oggi, a quelli che oggi hanno studiato e arrivano all’esame come a una cosa seria. “Ladri e profeti di futuro ci hanno portato via parecchio, il giorno è sempre un po’ più oscuro…” cantava Guccini, tanti anni fa, eppure la tremenda, meravigliosa serietà della giovinezza vince, impone la vita e la speranza. Non c’è cinismo degli adulti che possa impedire loro di brillare, anche in un anonimo corridoio scolastico, in questa mattina di giugno. 

Anche di fronte alle tracce della prima prova che confermano, questa volta almeno con il merito di farlo senza infingimenti, la volontà di definitiva liquidazione della cultura umanistica.

Per fortuna, infatti, il futuro è in mano a loro, ai ragazzi che sognano e sperano chini sui banchi, che hanno studiato, interessandosene e apprezzandolo, tutto il passato che è rimasto fuori dalle tracce, che gli adulti hanno espulso da tutte le Mappe del Futuro di cui si fanno araldi, con gran furia iconoclasta. Come tanti Mazzarò: “Roba mia, vientene con me”!

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