Dal 1994 in poi, se la maturità parla latino, dominano Cicerone e Seneca. La “tirannia” è stata interrotta soltanto nel 2000 (Vitruvio) e nel 2005 (Tacito).
Quintiliano non capita sui banchi dal 1981; tra l’altro, anche allora bisognava tradurre un brano dal decimo libro dell’Institutio Oratoria. Anche a quel tempo fu una sorpresa: Quintiliano lo si ritrova nel 1963 (il libro scelto cinquant’anni fa fu il sesto). Insomma, dopo il tema di italiano, sorprendente, anche per quanto riguarda la versione c’è stata una virata dalle ultime anche troppo prevedibili scelte del Miur. E un sospiro di sollievo al vedere che l’autore non era il temuto Tacito.
Il brano scelto dà inizio, nel X libro dell’Institutio oratoria di Quintiliano, alla carrellata di autori della letteratura antica che il retore sceglie per proporre ai giovani oratori in erba dei modelli di stile che lo possano aiutare nella sua crescita. È interessante che il ministero indichi un testo in cui si trova sottintesa in filigrana la dichiarazione che la lettura dei grandi è imprescindibile per la maturazione del proprio stile indipendente, e notevole il tentativo di proporre un ponte tra i vari anni del corso di studio di letteratura: un autore dell’età imperiale cita Omero, distante da lui quasi nove secoli, come modello per la maturazione di uno stile solido.
Il testo non presenta eccessive difficoltà sintattiche o passi particolarmente intricati sia nella struttura che nel significato, nonostante sia probabile che il periodo che si apre con l’accusativo plurale adfectus sia stato complesso da decifrare per gli studenti a causa dell’ordine delle parole non semplice (qualcuno, nel panico da esame, potrebbe anche avere pensato adfectus come un participio…).
Per questo, anche se nel complesso la scelta è un po’ grigia e spenta, si presta bene ad una prova di maturità che non voglia spaventare troppo gli studenti e possa dare la libertà a quelli più sciolti e preparati di interpretare con soddisfazione e sicurezza le parole del retore antico.
Bisogna inoltre dire che il tema toccato dal brano è, sotto certi aspetti, molto specifico e affronta con termini precisi (copia, brevitas, narrare, proprietas) alcune nozioni di retorica e di stile che non possono essere fraintesi; sicuramente la capacità di riconoscere questi termini e la consapevolezza di sostenere una discussione in merito alla retorica fa parte degli obiettivi che si prefissano per un ultimo anno di liceo classico. Ma una domanda che sorge guardando le scelte del ministero è: come mai scegliere sempre brani per lo più filosofici, generici, certo su grandi temi, tuttavia molto simili gli uni agli altri?
Le narrazioni storiche non vengono mai scelte, come è stata eliminata la poesia (che pure a scuola si studia), che sarebbe interessante riproporre.
Sarebbe bello inoltre che i ragazzi potessero esercitarsi a pensare il latino come una lingua “viva”, proponendo anche autori della tarda latinità o del Medioevo, Dante, Petrarca, i testi rinascimentali, le poesie latine di Pascoli. Se pensiamo al fatto che il gesto storico più eclatante di quest’anno, la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI, è stato comunicato in latino, possiamo pensare a questa lingua come fosse “morta”?
Facciamo dei tentativi, affrontando almeno in classe autori diversi, non i soliti, per quanto magnifici, Cicerone e Seneca.