Caro direttore, scrivo queste righe rompendo la promessa fatta a me stesso di non trattare più l’argomento Tfa.

Ne sto frequentando uno e sto sopportando da mesi le difficoltà causate da una evidente anarchia organizzativa. Mi sono rivolto invano alle università e al ministero per chiedere informazioni ed evidenziare criticità, nella speranza di rendere efficace l’impegno – anche economico – richiesto. Le mie telefonate e le mie lettere si sono risolte in palleggiamenti di responsabilità, rassicurazioni vaghe e improbabili, o peggio non hanno ricevuto risposta. Alla fine ho pensato che la cosa migliore fosse smettere di prendersela troppo, per evitare, almeno, di farsi venire la gastrite. Purtroppo, a furia di mandar giù bocconi guasti col naso tappato, si finisce per averla lo stesso!



E siccome ogni tanto uno sfogo ci vuole, quando alcuni giorni fa mi è capitato di leggere le “Schede di lavoro” e il “Questionario alle Università” prodotti dal Miur, ho voluto annotare qualche osservazione. Se poi questi commenti possono diventare uno spunto per andare a fondo di alcune questioni, tanto meglio. Di sicuro la mia condizione di allievo mi garantisce un punto di osservazione privilegiato, anche se mi predispone ad un atteggiamento critico e senz’altro di parte.



La diffusione dei nuovi documenti ministeriali può essere vista come una prova confortante del fatto che il Miur si ricordi ancora di quello che ha assunto ormai i connotati di uno sfortunato esperimento. Tuttavia è sufficiente una veloce lettura degli stessi per dare, a chi è un minimo dentro la questione, la sensazione sgradevole che si sia riusciti ad alzare ancora un po’ – se possibile – l’asticella dell’ipocrisia.

Sulla base della mia esperienza e del confronto con amici e colleghi, posso affermare che l’attuazione delle numerose e complesse attività formative previste originariamente dal Tfa si è svolta in molti contesti in maniera caotica e improvvisata. E, peggio ancora, la combinazione di ritardi attuativi e scadenze temporali fissate a scapito di ogni logica ha indotto un po’ tutti a far passare per semplificazioni una serie di compromessi che di fatto hanno banalizzato e svilito una gran fetta dell’offerta prevista.



Attualmente le lezioni del mio corso sono arrivate ad occupare 5 pomeriggi alla settimana, per un impegno orario che, oltre alle 25 ore di presenza in aula, comprende anche circa 10 ore di spostamento in auto e il tempo per la rielaborazione delle attività, la stesura delle relazioni e la preparazione degli esami. Siccome ministero ed atenei si sono mossi tardi e male, ora, dicendoci di voler garantire una conclusione in tempi adeguati, ci impongono dei ritmi di lavoro assurdi. Insomma, siamo al paradosso che per “tutelarci” ci fanno fare un bel po’ di attività inutili!

Come spesso accade in queste situazioni (dove la mancanza di coordinamento e di controllo suggeriscono le classiche soluzioni furbette, a spese di chi non può far valere le proprie ragioni) si tende a garantire la quantità a scapito della qualità. E questa osservazione mi porta ad esprimere la mia opinione generale circa il limite intrinseco di questionari come quello che ho visionato. Si tratta di raccolte dati che in larga parte finiscono per descrivere la forma piuttosto che la sostanza e dalle quali non può che derivare una valutazione sommaria e poco utile ad individuare le modifiche opportune da apportare. Ma questo è talmente evidente che non può essere sfuggito a chi li ha redatti e mi chiedo se in fondo non ci sia l’effettiva volontà di svolgere solo una verifica formale.

Cerco di chiarire con un esempio: prendiamo la domanda 10, sui tutor. Il punto non è se sono stati individuati i tutor accoglienti nelle scuole: è facile cavarsela con un “sì”, che salva la forma, ma non significa niente. Il punto è che bisognerebbe mettere in evidenza come, quando, perché, da chi sono stati individuati questi tutor, e soprattutto se questi tutor avessero la minima idea di quello che sarebbero andati a fare.

Altro esempio? I laboratori, domanda 14. Diciamo che sono stati fatti e tutti sono contenti. Poi se per farli sono stati pagati professori che hanno raccontato due storielle e hanno chiuso le lezioni con un paio d’ore di anticipo, che importa verificarlo? La forma è rispettata e gli allievi sono contenti di aver finito prima. Però hanno pagato per non avere niente!

D’altro canto c’è da aggiungere che la perplessità di fondo rispetto a questa iniziativa di “raccolta dati” riguarda la contraddizione che emerge nella volontà stessa di valutare dei processi che sono stati attivati – a quanto ne so – senza una programmazione adeguata e in uno stato di equilibrio precario, tra le enormi lacune lasciate dalla mancanza di puntuali decreti attuativi. Ma cosa pretendiamo? L’idea è quella di compilare una statistica o veramente si vuol fare una verifica senza aver sviluppato un programma?

Se volessimo sul serio evidenziare la superficialità con cui hanno agito alcuni atenei, potrei facilmente prendere spunto dagli inconvenienti che mi sono occorsi per suggerire domande più significative. Si potrebbe ad esempio chiedere quali criteri sono stati adottati per fissare le date degli esami di ammissione (scritti e orali), se e come si è cercato di evitare le sovrapposizioni con gli esami delle altre classi di insegnamento, le date di pubblicazione delle graduatorie finali, le scadenze imposte per la formalizzazione dell’iscrizione e per il contestuale versamento della prima rata della tassa, le date di pubblicazione dei calendari delle attività da svolgere, se e come si è andati incontro alle esigenze dei lavoratori, se e in che misura è stato adottato lo strumento dell’e-learning… e soprattutto quali sono state le risposte alle osservazioni e ai problemi sollevati dagli utenti!

È stato chiesto agli allievi un giudizio sui corsi di formazione proposti? Si tratta di tutta gente laureata e capace: chi meglio di loro potrebbe esprimere un parere di qualità?

Sono domande difficili da porre, me ne rendo conto. Ma resta soprattutto il problema di fondo: a cosa serve chiedere? Gli atenei hanno avuto carta bianca ed è ovvio che l’hanno sfruttata. Il ministero non ha agito quando avrebbe dovuto ed ora qualsiasi azione correttiva suona abbastanza ridicola.

Per quanto riguarda invece il documento ministeriale contenente le schede di lavoro, voglio premettere che io non credo di essere in grado di commentare in maniera serena l’introduzione e la premessa. La mia esperienza personale mi ha portato a maturare un giudizio talmente negativo circa l’organizzazione e la gestione del Tfa, da farmi trovare il tono di quei paragrafi quasi irridente.

Io e i miei compagni di corso ci sentiamo delle cavie, sappiamo che buona parte dell’offerta formativa ci è stata preclusa, pur avendo pagato per intero il prezzo del biglietto (e non solo in maniera metaforica). Ed è chiaro che il ministero ci considera delle cavie.

Mi rendo conto che, non conoscendo le difficoltà che evidentemente limitano il funzionamento del sistema, i miei commenti potranno risultare quanto meno sommari, se non a volte perfino irrispettosi dell’operato di qualcuno, quindi li prenda per quel sono: un parere estremamente di parte.

Nel documento si parla della volontà di fissare “livelli essenziali delle prestazioni per quanto attiene in particolare lo svolgimento del tirocinio” e dell’“obiettivo più generale … di garantire agli aspiranti la possibilità effettiva di seguire i corsi e di ottenere … il titolo di abilitazione in tempo utile”. Ma veramente qualcuno crede che somministrare ora delle “schede di lavoro” possa contribuire in qualche modo a raddrizzare un progetto che è stato palesemente abbandonato a se stesso? 

Si parla inoltre di “sfasature temporali”, “difficoltà di applicazione delle procedure previste”, “risposte diversificate da parte degli Usr e degli atenei”, “ricorso non sempre sistematico alla conferenza regionale di coordinamento … che resta comunque la via maestra”, “situazioni estremamente variegate”, … e qui siamo alla sagra degli eufemismi! Semplicemente non c’è stato coordinamento da parte del ministero e gli atenei hanno fatto tutti di testa loro, con la sicurezza di non dover rendere conto a nessuno (come se non fosse ovvio si ribadisce che “La presente nota non intende mettere in discussione quanto già realizzato”). E ora si organizza un gruppo di lavoro per “registrare criticità e possibili soluzioni”, per garantire una ordinata conclusione di questo ciclo e predisporre le modifiche per il prossimo? Che tempismo!

Ora, capisco che il contesto richieda qualche bella parola di circostanza, ma non posso fare a meno di provare fastidio.

Sulle schede di lavoro in realtà non c’è molto da commentare. La mia impressione generale è che ogni chiarimento ormai giunge con un ritardo tale da renderlo se non inapplicabile a livello formale, sicuramente inefficace nel concreto.

Aggiungo solo due considerazioni.

1. Attività di tirocinio. Io ritengo che il tirocinio sia un’attività formativa per la quale non ha senso riservare allo studio individuale “una parte preponderante” delle 25 ore corrispondenti ad un Cfu. Tutti siamo stati a scuola e conosciamo la differenza tra un insegnante che “sa la materia” ed uno che “sa insegnare la materia”. Alcune aspetti dell’insegnamento, in particolare tutto quello che concerne il relazionarsi con le persone discenti, purtroppo o per fortuna, si imparano solo sul campo. Il Tfa deve formare insegnanti e il tirocinio diretto a contatto con gli alunni – a mio avviso – deve essere preponderante rispetto al cosiddetto studio individuale, soprattutto in virtù del fatto che sono previsti appositi ed ulteriori Cfu da dedicare alla didattica, alla pedagogia e all’educazione. Questa interpretazione sull’impiego dei Cfu del tirocinio di fatto crea una inutile ridondanza rispetto alle attività proposte nelle lezioni di area comune e della didattica della disciplina. Ben più utile sarebbe stato provvedere ad una formazione dei tutor, i quali si sono trovati spesso impreparati circa le attività da proporre ai tirocinanti.

2. Tutor coordinatori. Personalmente mi sono trovato ad incontrare per la prima volta il tutor coordinatore il 7 maggio, per stilare il calendario delle attività. Servono commenti?

Caro direttore, sarei bugiardo se negassi che il Tfa mi ha offerto alcuni spunti interessanti, momenti di confronto costruttivo e di crescita culturale, ma è capitato in maniera direi quasi casuale, legata alle proposte di qualche docente volenteroso. Quest’anno, lo ribadisco, si è svolto un esperimento, in cui quelli come me sono state le cavie. Quando penso al “mio” Tfa la sensazione prevalente non è quella di un’occasione di crescita da sfruttare, ma di una perdita di tempo da concludere il prima possibile. E se tanto mi dà tanto, ho pure paura che la fatica fatta non sarà nemmeno garanzia di qualcosa di buono in futuro. Che fine fanno le cavie da laboratorio?

Lettera firmata

Leggi anche

SCUOLA/ Tfa, perché il Miur obbedisce alle università telematiche?SCUOLA/ Tfa, caos in arrivo: ecco chi ha sbagliatoSCUOLA/ Immissioni in ruolo, evviva il concorso-beffa (e i sindacati stanno zitti)