La scuola è quasi finita, ormai. “Finita” è la parola che dà energia a studenti e docenti nel rush finale, sia a quelli che si portano sulle spalle il lavoro di un anno che a quelli che tanto affaticati non sono, quelli che hanno lavorato poco durante l’anno, o, ad essere onesti, quasi nulla tranne che nel rush finale – per il docente, di interrogazioni e compiti da correggere, e per lo studente, di interrogazioni e compiti da fare.
O almeno questa è la logica di una cattiva scuola, che disgiunge ciò che è nato unito e snatura la valutazione dell’apprendimento: capire quanto ci è accaduto. Questo è il “lavoro” di un anno, come in un’azienda, anche se nella scuola il “prodotto” è sia ponderoso che impalpabile; è una persona, detta sia “docente” che “studente”. A fine anno si tirano le fila. I due soggetti, docente e studente, impegnati in un’avventura di crescita che riguarda entrambi e che ha un suo calendario, le sue tappe e una sua conclusione, fanno un bilancio.
O forse il docente fa il bilancio, mentre lo studente lo subisce. Si fa pesare, misurare, analizzare, paragonare, descrivere in base a precisi indicatori, quantitativi e qualitativi, mai inutili se non disgiunti dal guardare lo studente-studente, quello che si appoggia al muro, guarda ovunque tranne che verso il “prof”, e poi, qualche volta, non sempre rara, si rimette dritto, e non per il compito in classe, o l’interrogazione, ma per lo svelarsi (a fine scuola, a “giochi fatti”!) del come si fa a descrivere un dato, per la collocazione in un ambito “insolito” di un dato, per un accento particolare che si rivela di un dato, o per un qualsiasi altro “accadimento” di una ordinaria ora di lezione.
Che sia per caso lì, il contributo essenziale dello studente alla valutazione di se stesso? Nell’essere docile? Ma non di fronte alle richieste di prestazioni elevate, fra l’altro non sempre possibili in condizioni non proprio ottimali da parte di docenti tesi, a seconda della loro deontologia professionale, a fare quanto Didi e Gogo temono while waiting for Godot a proposito dei due ladri accanto a Cristo sulla croce? Uno saved e l’altro damned? Forse il contributo dello studente sta proprio nell’essere docile di fronte alla possibilità che si possa iniziare a camminare; anche se in un anno non lo si è mai o quasi mai fatto, e quindi il bilancio è purtroppo facile da fare. Si è ancora sulla linea di partenza, e magari occorrerà ripartire proprio da lì. Leggasi “bocciatura”.
Ma nella partita c’è un altro giocatore, che rischia di espellersi dal gioco da sé, se pretende di partecipare mettendosi a fare l’arbitro in una situazione dove anche l’“arbitro”, se è un docente, o non un somministratore di prove anche qualitative, si mette ad ascoltare i giocatori…
Ma nella partita c’è un altro giocatore, che rischia di espellersi dal gioco da sé, se pretende di partecipare mettendosi a fare l’arbitro in una situazione dove anche l’“arbitro”, se è un docente, o non un somministratore di prove anche qualitative, si mette ad ascoltare i giocatori…
Questo giocatore è la mamma, che prende il permesso dal lavoro o affida i figli più piccoli ad un’amica, e “va a parlare con i prof”. Qualche volta lo fa anche il papà, ma più spesso tocca alla mamma. Che “fa il giro”, e, anche lei, “subisce” il bilancio, spesso presentato come una rendicontazione di attivi e passivi. In cui bisogna che in qualche modo i conti tornino a posto con meno danno possibile.
A meno che la mamma non osi, e non faccia una cosa inaudita. La mamma non “difende” suo figlio; sa che egli, con quelle valutazioni, con quell’incostanza sistematica o molto marcata nello studio, con quella debolezza nel percorso complessivo di apprendimento, non è difendibile. Ma quel compito tutto pieno di segni rossi l’ha fatta soffrire. La mamma non difende, attacca. E dice al prof capace, competente, volonteroso, ed anche navigato, che suo figlio, indolente, inerte ed ingenuo, “è una bella sfida per lei”. E lo ripete stringendo la mano al prof, dopo una lunga e vivace chiacchierata, sulla porta.
La mamma in questione non ci ha neanche provato, a fare l’arbitro. La mamma in questione, che è mamma vera, non avrà “salvato” il figlio, a pochi giorni dalla fine della scuola. Ma, di certo, ha salvato il prof.