Vorrei riprendere la riflessione sugli esami di Stato soffermandomi su uno dei problemi che emergono in maniera più evidente tra gli studenti nel percorso scolastico dell’obbligo: la scrittura. Quindici anni fa il ministero ha tentato di trovare una panacea alla situazione di disamore alla lettura e di scadente abilità linguistica riformando l’esame di Stato. Tra le prove che hanno subito una variazione più considerevole quella di italiano. Al tradizionale tema è stato aggiunto un insieme di tipologie testuali, tra cui l’analisi di testo, l’articolo di giornale, il saggio breve. Come spesso accade, per cambiare il percorso si è modificato il punto di arrivo. Per risolvere il problema della preparazione linguistica non si è messo a tema l’insegnamento della letteratura e dell’italiano, ma si è modificata la prova conclusiva, semplificandola e rendendola meno inerente al tradizionale percorso.
In questo modo durante il triennio gli studenti si dovranno preparare sempre più ad affrontare le tipologie degli esami di Stato, tralasciando il tema. Se teniamo conto che nelle scuole secondarie di primo grado i temi stanno scomparendo (sempre più spesso i ragazzi raccontano di aver svolto al massimo uno o due temi all’anno, sostituiti da prove di comprensione) e che al biennio i ragazzi si cimentano già sulle analisi di testo, comprendiamo che la maggior parte degli studenti esce dalle superiori senza essere in grado di stendere un elaborato organicamente compiuto su un argomento di cui non venga messo a disposizione il materiale, quello che tradizionalmente è chiamato tema.
In questi anni, poi, tutti i manuali scolastici sono stati concepiti nella prospettiva del nuovo esame di Stato. Spesso, nelle antologie i testi sono stati deprivati del loro valore per diventare strumenti e materiale per esercizi di critica letteraria o di valutazione delle competenze dei ragazzi. A scuola, sempre più raramente si leggono integralmente le opere e i capolavori della letteratura.
Quest’anno per la prima prova dell’esame di Stato di tutti gli ordini, come è accaduto spesso anche negli anni passati, le tracce sono state concepite non per diciottenni e diciannovenni che frequentino licei o istituti tecnici o professionali, ma per esperti di un determinato settore. Ecco solo alcuni esempi. Per quanto riguarda la tipologia B (saggio o articolo di giornale) nell’ambito socio-economico i documenti forniti riguardavano «Stato, mercato e democrazia». Nell’ambito storico-politico l’argomento era «Gli omicidi politici», con documenti sull’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, di Matteotti, di Kennedy fino ad arrivare ad Aldo Moro. Ecco i misteri d’Italia e internazionali in parte ancora irrisolti, sottoposti ai ragazzi: forse ci aspettiamo che essi assumano il ruolo di giovani Sherlock Holmes?
Nell’ambito tecnico-scientifico l’argomento era «La ricerca scommette sul cervello» con documenti relativi alla mappatura del cervello e agli investimenti del presidente Obama su questo progetto. Qualcuno mi dovrebbe spiegare quali siano le aspettative su un ragazzo che sostiene l’Esame di Stato. O, forse, chi ha proposto queste tracce non si aspetta che lo studente si faccia portavoce di una voce sua, come fa il giornalista, ma semplicemente che rielabori i documenti.
Evidentemente, la nostra società, che è diventata una società di esperti, vuole proporre questo ideale anche ai ragazzi. Chi ha scelto le tracce vuole vedere come se la possa cavare un maturando con questioni specialistiche, precise, di cui magari ha soltanto sentito parlare. Ricordate che la prima norma retorica è «Rem tene, verba sequentur», ovvero «possiedi gli argomenti, le parole seguiranno». Come può uno studente scrivere bene, con cura, in maniera argomentata e dimostrando capacità di rielaborazione personale se si trova ad affrontare ambiti che non conosce?
E ancora: chi ha scritto le tracce ha dei figli, li conosce, li ha guardati davvero? Oppure insegna e si confronta sul serio con i suoi studenti? È doveroso far riflettere il ministero sulla realtà scolastica, sulla realtà dei giovani, sulla distanza tra la vita reale (intendo qui anche e soprattutto la dimensione esistenziale, il vissuto, l’esperienza) e le proposte della tracce. Perché i ragazzi non possono una volta tanto riflettere davvero sulla vita, sull’esperienza, sull’uomo? O, ancora, perché non si può dare ai candidati un’effettiva possibilità di scelta tra più prove, proponendo argomenti che effettivamente un ragazzo dovrebbe aver studiato, rielaborato, su cui dovrebbe aver riflettuto in modo da possedere un’idea sua?
Forse è questa la scuola delle competenze, in cui non importa che uno studente abbia studiato tutti i principali autori del Novecento con uno sforzo non indifferente perché tanto poi gli viene proposto un testo del 2005? Sempre più importante è che un ragazzo sappia capire qualsiasi testo, mentre è sempre meno significativo che uno studente abbia studiato, abbia una memoria letteraria, si ricordi? Tanto il ministero fornisce i testi, i documenti. Mi risponda il ministero: è questa la scuola che vuole, la scuola della scarsa cultura, dell’abolizione della poesia, dell’estirpazione della bellezza e dell’acquisizione della competenza linguistica (quale poi?)? Che delusione per quei ragazzi che magari per tutti i cinque anni hanno apprezzato opere poetiche e narrative sapere che dovevano cimentarsi su una prefazione di un saggio, tra l’altro di un autore ai più di loro sconosciuto, Claudio Magris. Come può emergere la sensibilità letteraria e artistica di uno studente sulla prefazione di un libro?
I problemi vanno guardati in faccia, affrontati, non elusi. Il termine «problema» indica, a livello etimologico, «ciò che ci viene messo davanti», rappresenta quindi un aspetto della realtà in cui ci imbattiamo. Scantonare il problema non significa risolverlo, come possono ben comprendere tutti, non solo quanti lavorano nel campo educativo. Se gli studenti non sanno scrivere o non sanno cosa scrivere, non si risolve la questione offrendo loro i documenti fingendo di farli diventare giornalisti.
Avete mai visto un giornalista a cui venga offerta la documentazione e gli si dica di rielaborarla? Che senso avrebbe? Il giornalista ricerca la verità, scrive articoli a partire dalle sue indagini, dalle sue passioni, dagli avvenimenti che accadono realmente. Che senso ha che un docente insegni ad un ragazzo ad inventare l’«occasione spinta» per l’articolo, fornisca già a lui i documenti che naturalmente indirizzano verso una certa prospettiva e visione? Il compito dell’insegnante non dovrebbe essere quello di far acquisire al ragazzo le capacità retoriche e argomentative cosicché possa esporre le sue tesi? Chi lavora nel campo della scuola da anni sa bene quali erano i problemi degli studenti di cui il corpo docenti si lamentava: la mancanza di idee e la scarsa competenza ad esprimerle in una forma linguistica corretta e appropriata.
Bene, se questi sono i problemi, bisogna affrontarli. Ritorniamo al tema che è espressione di una cultura, di una capacità di giudizio e di rielaborazione. Torniamo a scommettere sulle capacità dei ragazzi. Certo questo comporterà un lavoro più oneroso per noi docenti. Ma ne varrà la pena.
Letteratura, bellezza, arte riguardano l’ambito di tutto l’umano. Riguardano l’avventura affascinante di inoltrarsi nella realtà, di conoscerla meglio, di conoscere meglio l’uomo e il suo cuore, immutabile nel corso della storia. Oggi si sono perduti il fascino e la magia dell’incontro e del racconto. Leggere è incontrare qualcuno con le sue domande. Il mondo adulto che vuole innovare la scuola, che si lamenta dello scarso interesse del mondo giovanile, spesso non crede più nel fatto che la grandezza dell’arte oggettivamente ha in sé un fascino e una potenzialità educativa straordinarie. La letteratura ha in sé stessa le potenzialità per catturare l’attenzione, la passione, l’entusiasmo dei ragazzi. Il racconto, che da sempre ha affascinato e affascina l’uomo fin da quando è bambino, è capace sempre di conquistare e avvincere. Sei insegnante di una disciplina che hai incontrato, che ti ha colpito, conquistato e che, nel tempo, hai scoperto e continui a scoprire. Non dobbiamo dimenticarci di questo. A scuola parlo di qualcosa che vale davvero, io come insegnante devo averlo ben chiaro, e devo domandare di conservare l’amore e il fascino per quanto insegno come se fosse il primo giorno (uno studente è sempre la prima volta che incontra Ariosto o Virgilio o Leopardi o Dante).
L’insegnamento della letteratura non ha a che fare solo con impartire nozioni e dati. Certo ci vogliono un contesto, l’autore, la sua poetica, le sue opere, ma l’invasione di mode pedagogiche e letterarie, come lo strutturalismo o il formalismo o la critica stilistica, ha messo in primo piano il particolare, l’analisi, la vivisezione dell’opera rispetto alla dimensione del duplice incontro con l’autore (a cui porre domanda, da cui attingere risposte, …) e con l’opera (la cui bellezza ha in sé un Mistero più grande di qualsiasi analisi).
Nella scuola troppo spesso la letteratura sembra morta. Ma la letteratura è viva e parla, ma ad una condizione, che siamo noi vivi, che le si pongano delle domande, le giuste domande, quelle che fanno del patrimonio letterario un universo sempre contemporaneo e in dialogo nei secoli sul destino contingente e ultimo dell’uomo. Perché un ragazzo, uno studente possa riscoprire il piacere della lettura e della letteratura occorre che riscopra prima il piacere di coltivare la propria arrière boutique (il proprio «retrobottega», cioè lo spazio della propria interiorità, mi piace chiamarlo con il nome di «anima»).
Al riguardo una modalità che ritengo molto efficace è la stesura (due volte a settimana?) di un diario (sarebbe più corretto chiamarlo Zibaldone), uno spazio personale in cui raccontarsi, in cui fermarsi a riflettere e chiedersi che cosa capiti nella vita (incontri, discussioni, sogni e aspirazioni, letture e film, ecc). In un anno inizieremo a vedere i risultati. La scrittura diventa, così, familiare e lo studente studia la letteratura provvisto di una maggiore dimestichezza con lo strumento della lingua.
Un altro strumento efficace è quello di studiare e incontrare la letteratura stando all’interno di quel mondo. Il ragazzo può cimentarsi con la scrittura letteraria, non perché siamo tutti poeti, ma perché poesia e letteratura nascono da esperienze, accadimenti e il lettore verifica come avrebbe detto lui quell’emozione e quel fatto e vede la specificità del fatto letterario, della parola poetica utilizzata da uno scrittore, inizia a comprendere che esiste una poetica personale. Dopo aver affrontato autori che hanno parlato d’amore, ho chiesto agli studenti del terzo anno di cimentarsi nella scrittura di poesie d’amore. Ho assistito ad un sacro silenzio da parte di tutti i ragazzi nell’ascoltare le poesie scritte dai compagni.
Indispensabile è, poi, ritornare al fascino della lettura delle opere nella loro interezza, non solo in modo antologico come accade a scuola. Chi di noi si limiterebbe a vedere i trailers di un film senza assistere alla visione integrale? Bene, è come se a scuola gli studenti vedessero solo qualche immagine di un film, quelle selezionate dall’antologia o dal docente. L’insegnante non deve solo assegnare letture, ma deve accompagnare il ragazzo nel fascino della lettura. Studierà, quindi, le modalità più adeguate. Ad esempio, si può presentare all’inizio solo un aspetto del romanzo assegnato, lasciare poi ai ragazzi la lettura a casa e concludere con un caffè letterario (dopo uno o due mesi): una discussione sul libro guidata dal docente, che si può concludere con un momento conviviale. I ragazzi sono sempre molto colpiti dal fatto che si possa discutere e lavorare su un’opera a prescindere da un voto. Spetterà al docente studiare le modalità di controllo adeguato per verificare che il libro assegnato sia stato effettivamente letto (potrebbe essere una verifica successiva).
Da ultimo, è necessario recuperare la dimensione della memoria letteraria che si assapora nel fascino della conoscenza a memoria di alcuni testi importanti della tradizione. Le opere letterarie sono sempre nate in rapporto alle altre opere che le hanno precedute. L’arte non nasce mai ex nihilo. L’esperienza sorprende. Ho incontrato davvero molti studenti contenti di studiare a memoria i versi della Commedia. I versi dei grandi poeti illuminano realtà e momenti di vita, come quando mi capita di guardare la Luna e di chiedermi con Leopardi: «Che fai tu, luna, in ciel?/ Dimmi, che fai,/Silenziosa luna?». O come quando ti ricordi i versi di Dante «Quando li piedi suoi lasciar la fretta,/ che l’onestade ad ogn’atto dismaga» e così ti rammenti di far bene anche la più piccola cosa, perché la fretta rende meno belle le azioni che compiamo.