L’introduzione dell’insegnamento di discipline non linguistiche (Dnl) secondo la metodologia Clil nei licei linguistici (in Italia sono 607) e negli istituti in cui sia attivato un insegnamento linguistico, a partire dall’anno scolastico in via di chiusura, è una partita sempre aperta, sulla quale vale la pena offrire qualche dato e spendere alcune riflessioni.
Per il personale Dnl in servizio il Miur ha previsto dall’aprile 2012 una serie di azioni secondo la modalità dei corsi di formazione in servizio finalizzati a: 1) acquisizione delle competenze sulla metodologia Clil; 2) acquisizione delle competenze linguistiche fino al raggiungimento del livello C1 nel Qcer, il Quadro Comune di Riferimento Europeo per le Lingue, a sei livelli, di cui C1 rappresenta il penultimo.
Successivamente il Miur ha affidato all’Indire il compito di stabilire accordi con le strutture universitarie per la realizzazione di 30 corsi metodologico-didattici e 50 corsi per l’acquisizione delle competenze linguistico-comunicative.
Secondo i dati ministeriali, altre volte menzionati in queste pagine, nell’anno scolastico 2012-2013 circa 1.000 docenti dei licei linguistici avrebbero dovuto frequentare i corsi metodologico-didattici presso le università e 2.750 i 50 corsi linguistici. Altri 2.500 docenti sarebbero coinvolti nella formazione a partire dal 2013-2014, su un totale di richieste di circa 16.000 docenti.
Ricordiamo anche che nell’anno scolastico 2013-2014 nelle classi quarte dei licei linguistici la didattica si svilupperà con una seconda disciplina insegnata in un’altra lingua straniera. In tutti gli altri licei e negli istituti tecnici, gli insegnamenti Clil saranno attivati nelle classi quinte nell’anno scolastico 2014-2015.
Con decreto dello scorso aprile 2013, la Direzione generale per il Personale scolastico ha comunicato ai direttori generali degli Uffici scolastici regionali le reti regionali dei licei linguistici a supporto della metodologia Clil e dei corsi di formazione didattico-metodologici per i docenti (20 crediti formativi universitari).
La nota è piuttosto articolata: informa anzitutto che la rete dei linguistici è stata formalizzata con un apposito accordo tra il Miur e i dirigenti scolastici delle scuole capofila individuate in ogni regione italiana; ricorda che le attività di perfezionamento organizzate dall’Indire sono rivolte ai docenti delle scuole statali, purché siano almeno 30 per ogni corso; affida agli uffici regionali, “al fine di soddisfare i bisogni di formazione del territorio”, il compito di coinvolgere le università e le istituzioni scolastiche, sia statali che paritarie “per favorire l’organizzazione di ulteriori corsi finanziati con risorse autonome”; invita ancora i medesimi uffici a costituire comitati regionali di coordinamento reti Clil, finalizzati ad organizzare questi corsi “ulteriori” in collaborazione con le strutture universitarie, le associazioni professionali dei docenti, gli enti locali.
In soldoni (è il caso di dirlo), per i corsi dell’Indire è disponibile il finanziamento ministeriale, per gli altri che eventualmente possono aggiungersi a coprire le necessità del territorio, i fondi sono da trovare grazie al contributo di soggetti pubblici o privati interessati.
Tenuto conto del profilo del docente Clil così come si dovrebbe configurare in uscita dai percorsi di perfezionamento (competenza linguistica C1; capacità di integrare lingua e contenuti disciplinari rispetto alla proposta formativa della scuola nella quale insegna; capacità di realizzare sinergie con i colleghi delle altre discipline non linguistiche o linguistiche del medesimo istituto) occorre chiedersi se non valga la pena dare la massima pubblicità e la massima fruibilità ad una sorta di nuova abilitazione dell’insegnante che, pur non essendo codificata, di fatto è istituita nel momento in cui l’insegnamento Clil è reso obbligatorio.
La “conversione” fino al livello C1 del Quadro Europeo di Riferimento per le Lingue delle migliaia di docenti Dnl che non possiedono tale competenza (e nemmeno quelle relative al Clil in quanto metodologia di insegnamento: questione essa stessa da porre sotto i riflettori, perché la metodologia spesso è anche un grande serbatoio di contenuti) richiede sicuramente nuovi investimenti, ma non è solo un problema economico.
Come spesso accade in queste circostanze, la scuola subisce le novità che vengono introdotte e poi gestite dal Miur in accordo con l’Indire e taluni atenei.
Dovrebbe avvenire al più presto una inversione di tendenza che favorisca il più possibile l’attivazione delle migliori energie e professionalità che già sussistono nella scuola e tra reti di scuole, onde evitare l’impressione di una ulteriore operazione verticistica.
È proprio a partire da queste esperienze che l’intera macchina potrebbe/dovrebbe essere ripensata.