Caro direttore,
il ministro Carrozza, intervenendo alla presentazione del rapporto Invalsi 2013, ha tra l’altro detto: «Non si comprende la valutazione se non la si lega alla conoscenza: alla consapevolezza di limiti, di potenzialità, di opportunità. E alla conoscenza come punto di riferimento degli interventi e delle politiche. È alla luce di questa “filosofia della valutazione”, legata alla necessità di conoscere quello che facciamo e come lo facciamo, che dovremmo vedere le prove Invalsi, cercando di uscire da una logica di “guerre di religione” sulla valutazione ed essendo ben consapevoli del fatto che non si tratta del “giudizio di Dio”».
Le osservazioni del ministro Carrozza sono quanto mai giuste, valutare è un atto che porta ad una maggior consapevolezza di sé ed è decisivo per correggere e migliorare la propria capacità di conoscere se stessi e la realtà. Ed è altrettanto evidente che la valutazione non è un giudizio di Dio, intendendosi con tale affermazione un giudizio esauriente e definitivo sulle prestazioni di cui le scuole sono capaci. La valutazione è solo uno strumento, dettato da condizioni precise e caratterizzato da una certa impostazione didattica, per cui di fatto dipende da quello che si intende valutare. Bisogna dirlo a chiare lettere, che la valutazione è un atto relativo a chi la pone, per questo fondamentale è la dichiarazione delle condizioni e degli obiettivi che stanno alla base di ogni valutazione. Questo non è né relativismo né soggettivismo, ma semplicemente la consapevolezza che si valuta sempre e solo ciò che si dichiara di voler valutare.
Ogni valutazione, se da una parte è valutazione di determinati fattori di conoscenza, è anche carente di altri fattori! Per questo chi non dichiara che cosa vuol valutare è scorretto e di fatto vuole dare una esaustività al suo processo valutativo che non può avere. E’ in questo senso che, apprezzando il lavoro dell’Invalsi, bisogna però chiarire almeno due fattori.
Il primo è che la valutazione che dà l’Invalsi è solo un valore di media e vale come media, tanto che questo se da una parte è un processo con una sua validità, dall’altra ha un limite, perché ogni valutazione è ad personam. Il secondo fattore riguarda il processo stesso. La valutazione dell’Invalsi è valutazione degli apprendimenti e non della capacità di conoscere. Questo è il limite delle prove Invalsi, che colgono quanto uno studente abbia appreso, come lo sappia ripetere e non se sia capace di rielaborarlo criticamente. Qui sta il limite grave dei test Invalsi, che non sanno cogliere se ciò che è stato appreso è diventato conquista personale, verificano solo se gli studenti lo sanno ripetere. E’ per questo che i risultati dell’Invalsi sono relativi all’apprendimento, ma non possono diventare punto di riferimento per un giudizio sulla maturità raggiunta dagli studenti. Ed è per questo che sarebbe un errore gravissimo introdurre le prove Invalsi tra le prove degli esami di Stato.