Ho terminato, da presidente di commissione per l’Usr del Veneto, la sessione dei colloqui relativi al concorso ordinario della A051, cioè italiano e latino. Un tour de force.

Nonostante le difficoltà, dai più denunciate, su questo concorso, ho creduto corretto portare a termine l’incarico per dare una mano, soprattutto, ai giovani docenti. I più sacrificati dal corporativismo statalista imperante nella scuola italiana, e snobbati, al di là delle solite parole d’ordine, dalle organizzazioni sindacali.



Ricordo che la settimana scorsa, tra la fine degli esami di maturità ed il calendario degli orali della A051, ero stato coinvolto dalla provincia autonoma di Trento, come commissario, nella selezione dei docenti da distaccare con contratto triennale presso l’Iprase, cioè il centro per la ricerca e la formazione scolastica. Una bella occasione di confronto, sapendo della bontà della scuola trentina, da poco premiata anche dall’Invalsi, ma sapendo nello stesso tempo dei buoni riscontri, nonostante le difficoltà, della scuola veneta. Che i trentini abbiano deciso, per una loro selezione, di coinvolgere due veneti (oltre a chi scrive, la collega Fernanda Barile), la dice tutta sulla positiva prassi. Un modello, quello trentino, che dovrebbe diventare modello nazionale, se vogliamo dare un filo di speranza ai giovani d’oggi, ma anche ai docenti e al nostro contesto sociale.



Quando, ieri, mi è capitato di seguire, sul sito di Repubblica, il videoforum con l’intervista al ministro Carrozza curato da Corrado Zunino, mi sono tornati alla mente gli sguardi, gli occhi, gli interrogativi dei docenti che ho incontrato in queste due settimane di colloqui: docenti di ruolo disponibili alla ricerca didattica a Trento, docenti non di ruolo, ma già da anni presenti “da precari” nelle nostre scuole a Padova.

Insomma, ho incontrato, a parte poche eccezioni, docenti in gamba, appassionati, positivi. La novità poi di questi concorsi, con la presentazione nella prima mezz’ora del colloquio di una unità didattica su un quesito scelto il giorno prima, ha portato allo scoperto delle vere eccellenze.



Mi sono chiesto: stiamo riconoscendo e valorizzando queste eccellenze? Perché la scuola, nel concreto, passa attraverso i bravi insegnanti. La gran parte, sul totale. Trattati tutti, ancora oggi, allo stesso modo, stesso stipendio, senza nessuna valutazione, senza nessun riconoscimento di merito.

Ma il pensiero poi non ha resistito: mi riferisco alla situazione delle nostre scuole, ai presidi che stanno costruendo in questi giorni, sulla base dell’organico di fatto, il piano cattedre; alle difficoltà, da tutti conosciute, riguardanti i pochi docenti non in grado di insegnare. Per cui i presidi sanno che devono partire, per le cattedre, dai docenti che “non funzionano”, che provocano le proteste di studenti e famiglie. Per chiedere poi, come un piacere personale, ai docenti bravi di coprire i buchi scoperti lasciati dai docenti meno bravi.

Ma chi conosce, in poche parole, la scuola reale? Chi sa cosa implica il taglio del 40% del Fis, cioe del fondo di istituto? Senza dimenticare tutte le altre criticità, dalle classi-pollaio alla carenza di strutture e risorse, dalle mega-scuole (i veneti nei dimensionamenti sono stati più realisti del re) alla necessità di garantire alle famiglie il diritto allo studio… Per non parlare della “cassa unica”, cioè il venir meno, per le scuole virtuose, di un minimo di elasticità gestionale.

Un suggerimento, per limitarsi ad un solo esempio: perché non prevedere un colloquio preliminare, da parte del preside assieme al capo dipartimento, come in altri Paesi, prima di una nomina o assegnazione di un docente ad una scuola? Per alcuni il rischio degli “amici degli amici” è sempre dietro l’angolo. Basterebbe creare i giusti contrappesi, in termini sindacali e con customer satisfaction. Siamo proprio sicuri che, alla lunga, gli studenti e le famiglie preferiscano i docenti che regalano i voti, che scaldano la sedia, che si limitano al minimo sindacale? Perché abbiamo paura dell’intelligenza delle persone? Perché avere timore del concetto di “reputazione”, già al centro di una recente sperimentazione? Se c’è una cosa che a scuola tutti sanno è proprio chi sono i bravi docenti e chi no. È possibile che ancora oggi i presidi (solo a parole “dirigenti”) non possano fare nulla di fronte alla evidenza di alcune distorsioni? 

In poche parole, l’autonomia delle scuole è una finzione. Perché non si vuole l’etica delle reciproche responsabilità? La scuola attuale, infatti, a parte il povero preside di fronte ad alcuni aspetti amministrativi, è fondata sull’irresponsabilità.

Questo stato di cose è stato confermato dal ministro Carrozza non solo in quest’occasione, ma in primis nella sua relazione alle commissioni parlamentari. Non solo. Anche nelle recenti nomine ministeriali, con la promozione del responsabile del personale a capo dipartimento dell’istruzione, per via della lunga tradizione centralista.

Insomma, tutte queste domande mi sono sorte spontanee sentendo il ministro Carrozza, di provenienza universitaria e quindi lontana dalla scuola reale. Il ministro, accanto ad alcune sottolineature apprezzabili, quasi ovvie, non ha però mostrato di conoscerlo, questo mondo. Se non indirettamente. Non ha mostrato cioè, parlando del personale, di conoscere le esigenze reali delle scuole; nel senso che si è limitata, a proposito sempre di personale, a riprendere un profilo sindacale, non quello richiesto da chi ha responsabilità di governo di un sistema, vista l’autonomia e la personalità giuridica.

Dicendo questo non voglio negare il valore della rappresentanza sindacale, la quale, ovviamente, difende gli interessi della propria parte. Il problema è il punto di vista sistemico, a partire dalla domanda-chiave: qual è la scuola migliore per i nostri ragazzi, per le famiglie, per il nostro sistema Paese? Quale speranza di futuro? 

Con quali risorse, poi, per essere “funzionali” al “servizio pubblico scolastico”, secondo quali standard, verifiche, forme di adattamento? Perché questo è il problema-tabù: il senso del “servizio”, cioè la cultura dei risultati, sapendo comunque della problematicità del nesso processi-prodotti.

Questo è dunque il mondo reale, questo è ciò che già avviene nel mondo del lavoro. Ma la nostra pubblica amministrazione, comprese la scuola e l’università, sembra vivere su un altro pianeta.

Questa riscoperta del senso del “servizio”, secondo modalità sussidiarie, assieme alla piena valorizzazione della passione e competenza dei migliori docenti, è rimasta solo sullo sfondo delle battute del ministro. Tutte ancora pensate e costruite secondo quella logica centralista che è la vera piaga del nostro sistema formativo.

Saprà il ministro Carrozza, diversamente dal suo predecessore, incidere nella scuola reale, andando oltre la moda tutta italiana degli effetti-annuncio?

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