È un ragazzo di origine latinoamericana, nonostante la giornata calda e afosa veste una giacca scura, come la camicia. È teso ma sorridente e dopo essersi presentato alla commissione e al presidente prende alcune calamite e della limatura di ferro: mostra la distribuzione del campo magnetico e inizia così a illustrare la propria tesina.
Ha affrontato qualche giorno prima la prova “centralizzata” di italiano, matematica e inglese e poi la “prova professionale” dove gli è stato chiesto di realizzare un impianto elettrico. Due giorni di tempo per passare dalla progettazione alla realizzazione con allegata descrizione scritta del processo, dei materiali e dei metodi utilizzati e poi la verifica finale: l’impianto deve funzionare, e funziona, davanti a una commissione esaminatrice soddisfatta e positivamente sorpresa.
Questo esame non avrà la risonanza mediatica degli esami di maturità, questi sono “solo” esami di qualifica professionale dei corsi triennali regionali. Prove che vedono il coinvolgimento di migliaia di ragazzi (sono 241mila gli iscritti ai percorsi triennali con una richiesta sempre in aumento, fonti Isfol). Giovani di 17 anni chiamati a elaborare, a seconda dell’indirizzo del percorso svolto, manufatti meccanici, impianti elettrici o elettronici; disegni tecnici al computer; oppure operare in simulazioni di uffici contabili e amministrativi; o ancora preparare veri e propri pranzi di gala con annesso servizio al tavolo (particolarmente fortunata qui la commissione esaminatrice), servire cocktail; sfornare panini e focacce con ingredienti particolari o dalle forme artistiche e originali; c’è chi ha creato, grazie alle modelle volontarie (sono state coinvolte amiche e parenti) acconciature di alta moda o realizzato sistemi di domotica. L’elenco potrebbe proseguire e abbraccia praticamente tutto l’arco delle professioni artigiane e di servizi presenti sul nostro territorio.
Questi ragazzi sono tra i pochi giovani che avranno nell’immediato una possibilità di un lavoro, eppure ancora oggi questo è un settore sconosciuto ai più o che altrimenti gode di una fama da “serie B”. Soprattutto sono quelle scuole che hanno letteralmente salvato migliaia di ragazzi di fatto esclusi dal circuito scolastico tradizionale insegnandoli un mestiere e spesso anche riavvicinandoli alla passione per lo studio.
Da qualche anno è così possibile realizzare il V anno, dopo il IV anno di tecnico professionale, per la preparazione alla maturità: un modo, per quanto ancora imperfetto, per cercare di realizzare quell’equipollenza tra percorsi ancora lontana nell’immaginario collettivo.
Il ragazzo sta terminando il suo orale, ormai si è sciolto e racconta della sua seconda passione dopo quella di voler fare l’elettricista: l’arte orafa. Nel corso dell’anno alcuni suoi docenti l’avevano infatti invitato alla fiera dell’artigianato e qui, stupendosi non poco, hanno visto un talento e una passione non comuni. Ora ha proprio finito e avrà la sua meritata qualifica di Operatore Elettrico e magari inseguirà, probabilmente attraverso un contratto di apprendistato, la seconda qualifica di “Operatore delle lavorazioni artistiche”.
Leggevo in seconda pagina del Corriere della Sera del 15 giugno l’articolo “E il modello tedesco scuola-lavoro sforna supermanager” (Giuliana Ferraino). L’articolista descrive di come in Germania le scuole professionali non sono “un altro mondo”, ma di come anzi i loro studenti possano tranquillamente arrivare a frequentare anche università e master; da noi invece si ventilano di nuovo anni difficili con riduzioni di risorse e quindi di classi attivabili; speriamo solo che non si attuino tagli orizzontali, ma, se proprio necessari, con criteri di merito e qualità dei sistemi (regionali) e delle scuole in base ai risultati ottenuti.
Due nota bene a riguardo: quando la scuola verrà trattata come tale e cioè un investimento sul futuro e non un costo? I corsi professionali, gratuiti, rappresentano un notevole risparmio rispetto all’istruzione superiore e sono richiesti dalle famiglie in misura sempre crescente: forse il segno di una iniziale cambiamento culturale nel nostro paese? Varrebbe la pena disinvestire proprio ora?
Se oggi ai nostri ragazzi della Formazione Professionale meritevoli e interessati (la maggior parte è invece giustamente felice di iniziare subito a lavorare) l’università appare una strada ancora irta di ostacoli l’avere a 17 anni una o più professionalità, con l’aria che tira, non è certo poco.