Anche se la quota degli adulti tra 25-64 anni che partecipa a iniziative di istruzione e formazione diminuisce (5,7% nel 2012), relegandoci agli ultimi posti nell’Ue, con l’approvazione di alcuni recenti provvedimenti (art. 4 legge 92/2012, Dlgs 13/2013, Accordo Conferenza Stato-Regioni, Accordo Confindustria, Cgil, Cisl e Uil), sembra avviata una possibile inversione di tendenza.
Da questo nuovo quadro emerge un paradigma di ispirazione europeo, che tende a indurre gli attori istituzionali, educativi, economici e sociali a perseguire un obiettivo fondamentale: “L’individuazione e il riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e lavoratori nella loro storia personale e professionale, attraverso la costituzione di un sistema nazionale dell’apprendimento permanente, che sia in grado di determinare e aggiornare sia la certificazione delle competenze dei cittadini, che di offrire servizi per la loro acquisizione”.
In questa direzione, un ruolo importante è stato svolto finora da alcune Regioni virtuose e dai Fondi interprofessionali innovativi, mentre il sistema universitario, salvo i casi di alcune iniziative svolte nei 22 atenei dove è stato costituito un Centro per l’Apprendimento Permanente, non ha sempre fornito un’offerta formativa adeguata, ma ha teso a “riproporre” percorsi di laurea spesso non elaborati attraverso un reale confronto con gli stakeholder interessati. Per queste ragioni, si apre una nuova e interessate sfida, poiché, come è stato messo in evidenza in un recente convegno della Ruiap (Rete Universitaria Italiana per l’Apprendimento Permanente), svolto presso l’Università di Ferrara, si tratta di costruire un sistema universitario capace di dialogare in maniera sinergica e in una logica progettuale con il territorio.
Occorre passare da una università intesa come una struttura chiusa, isolata, burocratica e autoreferenziale a un sistema universitario aperto che, come accade nei Paesi Ocse best performer, partecipa attivamente alla vita della comunità locale e dialoga con tutti gli stakeholder, allo scopo di perseguire più efficacemente la sua alta funzione sociale e civile a favore di uno sviluppo equo e duraturo. Per affrontare tale sfida, l’università, attraverso un proprio specifico contributo da portare ai “tavoli di lavoro” attivati, dovrebbe impegnarsi a perseguire i seguenti quattro obiettivi:
A) partecipare alla definizione di norme e procedure finalizzate a determinare: standard di certificazione di competenze e dei relativi servizi; criteri per la determinazione e l’aggiornamento dei titoli ogni tre anni; modalità di registrazione (libretto formativo e anagrafe del cittadino);
B) promuovere l’istituzione di reti territoriali (con soggetti pubblici e privati), in grado di offrire servizi integrati (istruzione, formazione e lavoro), coerenti con le certificazioni (non formali e informali), finalizzate a: supportare le persone in percorsi formativi (lingue e informatica) per il lavoro; favorire il riconoscimento di crediti formativi e percorsi di apprendimento; accompagnare il processo di orientamento durante tutto il corso della vita;
C) affrontare la questione del miglioramento della qualità dell’offerta formativa, che potrebbe trovare un’adeguata corrispondenza nelle sperimentazioni promosse da alcune Regioni e dai Fondi paritetici interprofessionali innovativi, finalizzata a far interagire più efficacemente: sviluppo di linee di business innovative e di nuovi modelli organizzativi, in una logica di bridging e networking; sostegno all’implementazione di innovazioni di processo, di prodotto e di mercato; ampliamento delle competenze delle figure chiave nei processi di sviluppo delle imprese;
D) estendere le competenze relazionali complesse, necessarie per costruire un clima organizzativo e lavorativo più motivante e fiducioso, di conseguenza più efficace ed efficiente.