Oggi riprendono le operazioni di ricostruzione dei plichi contenenti le prove scritte di chi ha effettuato il concorso presidi in Lombardia. Parliamo, giova ricordarlo anche se ormai tutti lo sanno, di un concorso che si trascina dall’ormai lontano 2011. In mezzo ci sono una sentenza del Tar Lombardia che lo ha annullato, un ricorso del Miur contro il Tar, una sentenza del Consiglio di Stato (n. 03747 dell’11 luglio 2013) che ha dato ragione al tribunale amministrativo regionale: l’obbligo dell’anomimato è da ritersi violato perché le buste contenenti le prove scritte avrebbero, in linea di principio, consentito di vedere in trasparenza il nome del concorrente. Quindi: nomina di una nuova commissione concorsuale e prove da sbustare, reimbustare e ricorreggere.
All’Usr Lombardia arriva Carmela Palumbo, dirigente del Miur, in qualità di pubblico ufficiale incaricato di effettuare l’operazione, che viene compiuta in diretta streaming e sotto gli occhi di dieci spettatori individuati tra i concorrenti. Di questa brutta pagina di mala amministrazione scolastica ilsussidiario.net ha parlato con Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp).
Si attende di sapere se la commissione che dovrà ricorreggere le prove del concorso presidi in Lombardia sarà di nomina ministeriale oppure lombarda.
Se le nomine fossero ministeriali saremmo in presenza di una sorta di trasferimento di competenze dalla direzione regionale della Lombardia al ministero dell’Istruzione. Di fatto, una ricentralizzazione. Ciò detto, c’è poco da commentare: quel che resta da fare è eseguire la sentenza del giudice.
Il “caso Lombardia” si è sviluppato intorno a una querelle molto specifica: la questione attinente alla trasparenza delle buste. Si è parlato di sentenza “innovativa”. Perché?
L’aspetto “innovativo” della sentenza – del Tar prima e del Consiglio di Stato dopo – sta nel fatto che si è andati a valutare una questione di carattere potenziale o “astratto”, come dice il Consiglio di Stato nella sua sentenza, e non un fatto effettivamente verificato o accertato. La commissione avrebbe potuto, a certe condizioni, leggere attraverso la busta chiusa il nome del candidato. Una possibilità è stata la causa dell’annullamento, senza poter accertare da parte dei giudici che la commissione si sia effettivamente avvalsa di questa possibilità.
Le sentenze hanno fatto strame dei concorsi in molte regioni. Eppure i concorsi nella scuola ci sono sempre stati, così i ricorsi. Che cosa allora non sta funzionando?
Le obietto che non è così. Non è vero che i concorsi nella scuola si sono sempre fatti: tanto è vero che abbiamo un passato, più o meno recente, in cui le assunzioni in ruolo a tempo determinato dei docenti avvenivano per scorrimento di graduatoria. Ci sono due o tre motivazioni concrete. Gli ultimi concorsi presentavano un numero enorme di partecipanti, più di 40mila, che solo attraverso le prove preselettive si è potuto ricondurre ad una cifra più contenuta. Anticipo la sua domanda: perché c’è un numero così elevato? Per due motivi.
Quali?
Il primo è che i concorsi a dirigente non si fanno con regolarità. Di conseguenza i candidati ritengono che quella che hanno sottomano sia non una delle tante possibilità, ma l’occasione della vita, un treno da prendere una volta per tutte. C’è poi un secondo fattore, più di sistema, ed è più grave del primo: nell’ambito della professione docente è sempre mancata qualsiasi forma di stimolo e di riconoscimento.
Ragion per cui un docente dice: l’unica forma di progressione è diventare preside…
Esatto. È un errore madornale. I docenti ritengono a buon diritto e a ragione che l’unico modo per avere una progressione di carriera sia quella di fare il preside. Basterebbe invece introdurre forme di progressione di carriera non solo “riconoscibili” ma anche riconosciute sul piano retributivo. Sono convinto che se così fosse, moltissimi docenti che non hanno la predisposizione a dirigere scuole non penserebbero neppure lontanamente di affrontare il concorso a preside.
Come mai la selezione è finita in mano alla giustizia amministrativa?
Bisognerebbe che la verifica venisse fatta da commissioni competenti in ordine alla materia sulla quale sono state chiamate a valutare e decidere, cioè la capacità di dirigere scuole, e non all’astratta verifica di un esercizio corretto nella procedura.
La conoscenza delle procedure non è importante?
Lo è, ma non è esattamente ciò che diventerà il banco di prova nell’esercizio della funzione dirigenziale.
E adesso?
Adesso in Lombardia abbiamo più di 400 posti vacanti, un cosa che grida vendetta agli occhi del mondo. Vuol dire che otto o novecento scuole hanno un preside a mezzo servizio, con la titolarità di un istituto e la reggenza di un altro. Occorre un intervento provvisorio che risolva il deficit di funzionamento degli istituti.
Come vede l’esonero dall’insegnamento per i docenti che fanno il vicario nelle scuole date in reggenza?
Sul tappeto ci sono sostanzialmente due ipotesi. Una è quella che dice lei. L’altra ipotesi sarebbe quella di un incarico di presidenza, di durata annuale, attribuito a coloro che erano stati dichiarati idonei alla conclusione delle fasi concorsuali. Potrebbero ricoprire l’incarico in un’unica scuola fino all’espletamento della correzione delle prove concorsuali come previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato.
Questo modello concorsuale secondo lei va ancora bene?
No, non regge più. Andrebbe ripensato. Innanzitutto partendo dall’analisi delle criticità che hanno dato luogo ai principali problemi incontrati.
È ipotizzabile pensare ad un’assunzione da parte delle scuole?
Distinguerei tra docenti e dirigenti. Per i primi, una assunzione per concorso bandito da scuole o reti di scuole, sgombrando quindi il campo dagli equivoci legati alla cosiddetta “chiamata diretta”, che in Italia viene puntualmente associata a clientelismo e malaffare, certamente è possibile. Per i presidi il discorso diviene più complicato.
Perché?
Perché il ds è un garante dell’amministrazione. Bisogna quindi vedere chi ne sarà titolare nel quadro di un sistema autonomistico che ancora non è stato attuato. Se titolare dell’autonomia fosse la singola scuola, questo potrebbe preludere non ad una “chiamata diretta” del ds, ma ad un’assunzione da parte dell’autorità locale o della singola scuola, come avviene appunto nel mondo anglosassone.
Torniamo all’Italia. La sua ricetta?
Il numero dei candidati: per ridurlo ci vogliono concorsi al massimo ogni due anni. Poi l’accesso: bisognerebbe aver ricoperto, per almeno tre anni, incarichi di sistema nella propria scuola, cioè di collaborazione con il ds o di funzione strumentale. E ancora: c’è bisogno di una valutazione psicologica non astratta, fatta per esempio da uno psicologo del lavoro. Infine, andrebbe istituito un albo nazionale dei commissari, di personale cioè appositamente formato e selezionato allo scopo. Si eviterebbero tanti errori e con essi l’abnorme moltiplicazione di contenziosi che ci ha ridotto in questo stato.
(Federico Ferraù)