Caro direttore,
si stanno concludendo in questi giorni le prove orali del concorso per gli insegnanti (vedi qui cosa succede dopo gli orali), che già quando fu bandito era sembrato una trovata fuori luogo. Ora, potendolo considerare sostanzialmente a posteriori, chi ci ha provato non può che constatare impotente il coronamento della sua assurdità: e cioè l’arbitrio scriteriato diventato istituzione. Basterà segnalare alcuni dati evidenti. Mi limito alla mia classe di concorso, cercando di rimanere il più possibile legato al mio particolare in modo da essere quanto più è possibile universale.
Dopo aver trionfato al quizzettone preliminare, vado a fare il compito scritto di italiano e storia, e che sorpresa trovo? Quattro domande di italiano e di storia che riescono a non chiedere nulla né di un evento storico né di un autore né di un’opera letteraria: che creatività, che geni gli ideatori delle tracce! Magari uno conosce la storia dai mesopotamici a Bin Laden, e sentite che domande si ritrova: «“Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui”. Si commenti questa frase di Bloch a proposito delle fonti e del loro utilizzo in storia». Ecco invece come riconoscere un bravo insegnante di italiano, che magari si è letto mezza letteratura italiana: «Esplicitare le principali differenze fra la lingua scritta e quella parlata in vista di specifici percorsi di sviluppo delle abilità linguistico-comunicative».
Come si fa a correggere prove del genere? Quali sarebbero le risposte esatte (pertinenti e complete) a simili quesiti? La soggettività non risulta elevata all’ennesima potenza? Ingenuamente pensavo che sarebbe bastato scrivere correttamente cose sensate. Anche in considerazione dei quattro criteri della griglia per la valutazione: “pertinenza”, “correttezza linguistica”, “completezza” (in 22 righe!?) e – udite udite! – “originalità”. Che, bisogna ammetterlo, è un criterio davvero originale: una commissione infatti potrebbe giudicare originalissimo il mio compito e un’altra commissione dirà della stessa prova che è delirante, fuori traccia.
Ma i colpi di genio non finiscono qui. Escono i risultati dello scritto e mi ritrovo bocciato. E perché mai? Ho risposto a tutte e quattro le domande, scrivendo bene e sostenendo molte argomentazioni pertinenti.
Intanto mi accorgo di un dato: nella mia regione ci giocavamo 219 posti nelle materie letterarie. Però solo 119 hanno superato lo scritto: 100 persone in meno. Come mai? Il ministero ha forse promesso posti che non esistono e perciò ha indotto determinate commissioni a bocciare alla cieca?
Voglio vederci chiaro, e chiedo di visionare il mio compito, per capire cosa ci sia di sbagliato. E cosa mi trovo davanti? Voti bassissimi (c’erano 10 punti in palio per ogni risposta, e io ho preso addirittura 4). Cosa avrò scritto di tanto disastroso? Guardo la griglia di valutazione, e “cado dalle nubi” quando l’occhio cade sul parametro B1: mi hanno messo 1 in “correttezza linguistica”. Spiegazione: “scarsa correttezza linguistica”, “lessico inadeguato”, “insufficiente organicità”. Eppure non c’è nemmeno l’ombra di un segno di correzione, la lingua del compito è, senza timore di smentite, precisa, forbita, specifica. Ho avuto 1. Sempre dal vangelo secondo la Griglia: D0. A tutte e quattro le domande ho avuto zero in originalità: “risposta assente”. Nella domanda su lingua parlata e lingua scritta ecco un bel C1: “conoscenze insufficienti”. Metterò in rete le foto del compito, in modo che chiunque possa giudicare se si può mai valutarlo 19/40.
Ora, cosa devo pensare delle tre illustri signore che insegnano negli istituti tecnici di qualche paesino sperduto nella Terronia e che quasi sicuramente non sono nemmeno abilitate in Italiano e Latino (ossia hanno meno titoli di me), ma mi hanno impedito di vincere un concorso di Italiano e Latino? Cosa devo pensare di chi non si è neppure preoccupato di rendere un po’ più credibili le singole valutazioni, magari evitando almeno di mettere in discussione la “correttezza linguistica” in un compito scritto bene? Di chi ha sparato voti nelle griglie praticamente identici per centinaia di candidati? Di chi però si è premurato di abbassare i voti non solo al di sotto della soglia dei 28/40, ma anche dei 24/40, ossia la effettiva sufficienza di 6/10 a cui un ricorso avrebbe senz’altro riposizionato l’asticella?
Io suppongo che abbiano corretto molti compiti in poco tempo e abbiano messo voti a casaccio, bocciando e promuovendo con la logica illuminata dell’ambarabaciccicoccò. Magari in 3 minuti, o in mezzo minuto, chissà, è stata decisa la mia sorte per i prossimi 10-15 anni: cioè ancora tanto precariato, almeno 4 mesi all’anno senza stipendio, ancora supplenze, ancora non sapere fino al giorno prima se insegnerò per 15 giorni o per 2 mesi e in quale posto del mondo. Secondo me, diciamocela tutta, il mio compito non l’ha mai guardato nessuno. No, mi assicura la gentile segretaria che mi mostra la prova: hanno corretto scrupolosamente e lentamente.
Allora ipotizzo che la lucidità delle tre commissarie sia stata alterata dall’uso di stupefacenti o di alcool. No no, questo sarebbe offensivo. Non resta che un’ultima ipotesi: le raccomandazioni. Eh sì, com’è possibile che uno che ha scritto dei libri, decine di articoli su riviste letterarie, che insegna da dieci anni, che ha un dottorato e un postdottorato in Italianistica, che revisiona i libri per le case editrici, che scrive articoli di giornale, che ha tenuto centinaia di conferenze in Italia, non passi una prova di italiano per “argomenti inadeguati”, “scarsa correttezza linguistica”, “conoscenze insufficienti” e “risposta assente”?
E com’è possibile che, invece, gente che non ha mai insegnato nemmeno un giorno, che da anni faceva la casalinga o altri mestieri, che non studiava né scriveva da almeno un decennio, abbia letto nelle ultime settimane qualche bigino e abbia superato il concorso? La raccomandazione mi sembra un’interpretazione convincente. Ma no! Anche questa, mi viene detto, non è nemmeno il caso di prenderla in considerazione.
Peccato, a questo punto tutte le attenuanti decadono. Né fretta né droghe né raccomandati. Rimane una sola spiegazione, la più tragicamente ovvia: sono tre deficienti. Un concorso già in sé demenziale è stato dato in mano a delle signore incapaci di riconoscere le più elementari evidenze della propria disciplina. E tutto questo passa come scuola che premia il merito. Ma chi doveva premiarlo, il merito? Le stesse vecchie insegnanti (pochissimo titolate) che magari hanno rovinato la scuola per decenni? E fu così che Valentino Rossi fu sorpassato dal bimbo col triciclo e che Michelangelo fu irriso dall’adolescente che imbrattava i muri con i disegnini sporchi.
Certo, ora ci si potrebbe rivolgere al Tar (leggi il commento di Giovanni Cominelli “resta solo la via dei ricorsi?”), e darsi in pasto agli avvocati: chi ha i soldi, ovviamente, ossia quanti precari? o chi ha il fegato di far cavillare dei giuristi su questioni linguistiche e di originalità (ma la giurisprudenza può mai entrare in questo campo?). Io non ho né questi soldi né questo fegato, né penso che qualcuno possa ottenere da un tribunale che la verità venga ristabilita. Resta bucare le ruote alle tre signore, o lamentarsi, o piegare la testa al fato, come facevano i greci. Che però qui non è impersonale: ha tre nomi ben precisi, delle tre signore che qui chiameremo, per evidenti meriti letterari, Benedetta Croce, Francesca De Sanctis ed Erica Auerbach. Loro tre le andrò a incontrare personalmente con la mia bella prova ottenuta in copia con 1 euro e 30 di marca da bollo, per parlarci un attimo. E dir loro in faccia che sono tre deficienti (e di sicuro non si offenderanno, pietose memori della mia “scarsa correttezza linguistica”. Poi un giorno io, che sono abilitato in latino, spiegherò a loro, che non sono abilitate, anche l’etimologia del suddetto verbo).
Intanto le imperscrutabili ragioni per cui le mie prossime 10-15 estati rimarranno senza stipendio mi pare che non stiano né in cielo né in terra. O meglio: in cielo forse sì, e le potrò chiedere a Dio, ma in terra proprio no, né si sa a chi chiederle (ai tribunali? alla Gabanelli? a Striscia? farsi compatire dal web?). Ma forse una ragione in terra c’è, perché la scuola è un po’ come Amici di Maria de Filippi: può capitare che vinca Moreno, o Marco Carta, mica l’ha mai vinto Giorgio Gaber!
Benvenuta, scuola del merito.
Lettera firmata