Cari studenti, so che voi leggete poco i giornali e su Facebook non se n’è parlato molto, ma in questi giorni si è aperto un dibattito sui vostri compiti delle vacanze a partire da un intervento del ministro Carrozza: “Non serve a niente imporre tonnellate di versioni di latino o decine di problemi da risolvere. Vengono smaltiti meccanicamente, senza concentrazione […]. Sarebbe bello che ad ogni ragazzo fosse fornita una lista di libri perché selezioni le sue letture delle vacanze”. Mi ha particolarmente provocato questo intervento e vorrei offrirvi il mio punto di vista. In questi anni di insegnamento ho maturato – anch’io – forti pregiudizi nei confronti dei “tradizionali” compiti delle vacanze (“tonnellate di versioni di latino e decine di problemi da risolvere”) per almeno un paio di motivi:



1) attraverso i compiti tradizionali il ragazzo “dovrebbe consolidare il lavoro fatto in classe” durante l’anno, ma siamo sicuri che questo consolidamento avvenga così? Quando si parla di consolidamento c’è in ballo qualcosa di molto importante e non sono sufficienti esercizi di verifica sul meccanismo o comunque una quantità di esercizi che non metta a fuoco quali sono i nuclei dell’anno appena trascorso, fondamentali per comprendere quanto verrà insegnato nell’anno successivo. Altrimenti – come sottolineava una dirigente scolastica su Il Messaggero – “c’è un appesantimento inutile”: una fatica che porta con sé un peso perché “inutile”, senza scopo… Per questo occorre pensare bene a cosa assegnare per le vacanze: la fatica rimarrà, ma, chiarito lo scopo, sarà una “bellissima fatica”!



2) per i più bravi – quelli promossi a giugno senza corsi di recupero – ci sono tre mesi di vacanze: è impensabile che lo studente riesca a distribuire uniformemente lo studio nell’arco di tutto questo tempo. Più frequentemente, ci si riduce all’ultimo minuto (o a volte anche nei primissimi giorni di vacanza: “così me li tolgo!”), “smaltendo meccanicamente, senza concentrazione” la mole di esercizi/problemi assegnati, ma noi docenti non vogliamo che accada proprio questa combinazione esplosiva di “meccanicamente” e “senza concentrazione”! Non è vero che imparare meccanismi sia sbagliato in assoluto, ma se li ripetiamo senza concentrazione è come se avessimo una certa quantità di chiodi da piantare: ovviamente usiamo sempre il martello, ma poi arriva una vite e – se non stiamo guardando veramente l’azione che compiamo – pianteremo anche la vite con il martello! E non solo la vite non sarà bene avvitata, ma soprattutto non avremo compreso la vera funzione del martello, nonostante decine e decine di chiodi piantati! Non è questione di far fronte alla fuga estiva dei cervelli – “summer brain drain” come la chiamano negli Stati Uniti – organizzando corsi estivi di allenamento per gli studenti, ma capire qual è il cuore della questione.



“Un bravo insegnante è quello che stimola la curiosità e incoraggia la scelta”, dice sempre il ministro nell’intervista, suggerendo come soluzione per i compiti delle vacanze la lettura di libri scelti dallo stesso studente in una ricca selezione offerta dal docente. Secondo quanto riferisce il portale Skuola.net, a preoccupare maggiormente gli studenti alle prese con i compiti per le vacanze sono i temi da svolgere e proprio quei libri che il ministro vorrebbe che leggessero.

Qui, secondo me, è contenuto il cuore della questione per noi docenti e voi studenti: ragazzi, volete imparare a pensare, a ragionare, a osservare la realtà, a giudicare oppure pensate che l’insegnante sia semplicemente un imbuto e voi il vaso da riempire con nozioni, conoscenze, competenze, abilità (chiamatele come vi pare!)? La lettura è certamente uno strumento privilegiato per imparare a pensare, a ragionare, a giudicare; ma non guasta anche un’offerta di compiti “significativi” in questa direzione, ovvero ben vengano le versioni di latino, i problemi di matematica, ecc…, se concorrono a tale scopo!

Allora, cari ragazzi, si tratta di prendere consapevolezza dell’occasione che avete in questi mesi di vacanza e che avrete in tutti gli anni di scuola: prendete in mano i compiti che vi sono stati assegnati e cercate di scoprirne il valore. Non fermatevi, se non lo scoprirete, sarà comunque un’occasione di dialogo con il docente che ve li ha assegnati: perché 50 esercizi uguali su come si sommano due numeri razionali? Perché ci ha fatto leggere questo libro che parla di una vita senza speranza? Perché? Perché? Perché?

Credo che la scuola potrà esprimere in pieno il suo compito se continueranno a esserci studenti e insegnanti impegnati seriamente con questa domanda. E allora si potrà essere grati del tempo trascorso tra i banchi o dietro la cattedra, ma anche del tempo libero, delle vacanze, per “una scuola che – come ha detto l’ex ministro Berlinguer in una recente intervista a Il Messaggero – punti sulla gioia, sulla curiosità perché questo è l’apprendimento che resta”.

Non dimenticherò mai quando in un certo esame della mia carriera universitaria mi venne richiesto in uno scritto “Che cosa pensa del concetto di razionalità nella teoria dei giochi?”: mi ricordo lo sgomento dei miei compagni di corso e allo stesso tempo la mia gioia per una domanda che non chiedeva una definizione (“Mi parli del…”, “Dia la definizione di…”), ma interpellava me, chiedeva un mio giudizio e questo non è scritto in nessun libro, dispensa, sito internet: c’è in ognuno di noi. La scuola è un’occasione affinché questo giudizio emerga e voi impariate a esprimerlo e a difenderlo ragionevolmente.