E così, esauriti tutti i ritardi cumulabili e i “traccheggiamenti” possibili, finalmente il provvedimento sul Tfa speciale – ora ribattezzato Pas, “Percorsi abilitanti speciali” – è finito nella Gazzetta Ufficiale del 4 luglio come decreto n. 81/2013; entrerà effettivamente in vigore il 19 luglio prossimo, giusto in tempo per scavalcare un altro anno scolastico.
Quel che fa scattare più di un moto di rabbia è il fatto che il decreto pubblicato ora è perfettamente identico a quello firmato il 25 marzo scorso dall’allora ministro Profumo, non una virgola di più o di meno. Una firma, peraltro, già piuttosto tardiva visto che la prima versione del provvedimento risale al giugno 2012 e l’iter dei pareri di rito era iniziato con quello del Consiglio nazionale della Pubblica istruzione (Cnpi), reso il 4 luglio 2102 (giusto un anno fa…), per concludersi con quelli delle VII Commissioni di Senato e Camera, rispettivamente il 29 gennaio e il 6 febbraio di quest’anno. E, soprattutto, considerato che si tratta di un provvedimento piuttosto limitato nel contenuto legislativo: solo una modifica regolamentare al DM n. 249/2010.
Purtroppo, sono tanti gli interessi contrapposti e i veti incrociati che stanno dietro questo provvedimento, ma a farne le spese sono sempre gli stessi. Il fatto è che in gioco c’è il futuro lavorativo di 70-80mila non abilitati, che ogni anno vengono chiamati a supplire le inadempienze di un ministero che ancora non riesce (o non vuole?) elaborare una seria programmazione delle assunzioni e dare regole certe e stabili per il reclutamento. Fino a che punto, però, si potrà continuare a giocare con la vita delle persone?
A onor del vero, non si può addossare al Miur tutta la responsabilità di rallentamenti e ritardi, avendo fatto la loro parte anche i ministeri dell’Economia e della Funzione pubblica, gli organi consultivi a vario livello, il Consiglio di Stato e tutti gli altri organismi implicati nell’ipertrofico iter burocratico. Sta di fatto che quel provvedimento in un altro qualsiasi Paese dell’Unione probabilmente sarebbe stato approvato in non più di tre o quattro mesi.
Ormai, però, sembra che l’ingorgo sia stato superato e quanti possono vantare almeno tre anni di servizio pieno (un minimo di 180 giorni per ciascun anno) tra il 1999/2000 e il 2011/2012 potranno accedere ai Pas senza dover sostenere alcuna prova preselettiva. Sembra infatti che sia stato ritirato il precedente decreto attuativo di Profumo che introduceva la prova nazionale volta a stabilire l’ordine di priorità per l’accesso ai corsi, il cui punteggio diventava in modo surrettizio parte integrante e determinante di quello di abilitazione.
Ora occorre attendere i decreti attuativi. Il primo, da emanare a stretto giro, è il bando per l’avvio dei corsi, contenente requisiti di accesso, modalità e termini per l’inoltro delle domande. Subito dopo il Miur dovrà produrre un DM con le assegnazioni dei corsi alle università, le relative modalità didattiche e le prove finali per conseguire l’abilitazione.
Da fonte sindacale si apprende che i corsi saranno istituiti per tutti i posti e tutte le classi di concorso e, dato l’elevato numero di aspiranti attesi, è prevista, almeno per le classi più affollate, la ripartizione dei corsisti nel biennio 2013-2015, utilizzando presumibilmente l’anzianità di servizio come criterio di graduazione. Il Miur avrebbe anche ipotizzato un successivo intervento legislativo per includere nel computo dei tre anni anche il 2012/13; ciò potrebbe richiedere, in alcuni casi, l’introduzione di un terzo anno di Pas per rispondere all’aumento di aspiranti all’abilitazione.
Sempre le stesse fonti ben informate riferiscono che il Miur starebbe predisponendo una pagina dedicata al Pas nel sistema IstanzeOnLine per la procedura di inoltro automatizzato delle domande. Poiché il Regolamento entrerà in vigore il 19 luglio, da quella data decorreranno i 30 giorni per la presentazione delle domande; l’intera procedura dovrebbe perciò concludersi dopo Ferragosto. Se poi tutto va liscio, in autunno (a novembre, per la precisione) dovrebbero iniziare i corsi; solo percorsi universitari per un totale di 36 Cfu, distribuiti su tre attività formative: didattica generale e speciale (15 Cfu), didattica disciplinare relativa alla classe di concorso (18 Cfu) e laboratori di tecnologie didattiche (3 Cfu); altri 5 Cfu saranno attribuiti alla tesi finale del corso. Si può già ora ipotizzare la conclusione dei primi Pas per la fine della primavera 2014.
Molte le questioni ancora da chiarire. I decreti attuativi dovranno, ad esempio, specificare meglio i requisiti di accesso; al momento ci sono sul sito del Miur alcune Faq, che sarebbe opportuno fossero integrate e trasferite nei decreti attuativi. Bisognerà chiarire se sarà possibile scegliere l’ateneo dove iscriversi e le modalità di graduazione degli accessi ai corsi più richiesti; quale percentuale massima di assenze ai corsi sarà consentita e le eventuali attività da svolgere on line; la garanzia di accesso a tutte le tipologie di permessi per diritto allo studio, anche in deroga alle disposizioni vigenti, per coloro che avranno incarichi d’insegnamento; ecc.. Speriamo di avere a breve queste risposte e che veramente agli annunci più o meno ufficiali seguano rapidamente i fatti: subito i decreti attuativi e l’avvio dei corsi, senza ulteriori ritardi o spiacevoli “incidenti di percorso” come quelli che hanno funestato il primo TFA ordinario.
Ci sono però altre questioni in sospeso (anche da troppo tempo…) alle quali i decreti attuativi non potranno rispondere. I Pas sono una risposta tardiva e solo una delle possibili risposte-tampone a ritardi e inadempienze di anni, durante i quali la questione delle abilitazioni e del reclutamento ha visto l’accavallarsi di procedure diverse, soluzioni pasticciate e colpevoli dimenticanze che hanno penalizzato – e lo stanno ancora facendo – intere generazioni di giovani docenti e di studenti.
Se nei fatti i Pas non sono che un atto dovuto (e già pagato a caro prezzo) nei confronti di chi, soprattutto dopo il 2008, non ha potuto abilitarsi, in fondo non sono che una soluzione di passaggio: abilitazione all’insegnamento, non certo la garanzia del ruolo. La graduatorie ad esaurimento sono infatti giustamente e definitivamente chiuse (lo ribadisce lo stesso Regolamento al comma 27-bis introdotto all’art. 4), quindi i neo-abilitati con i Pas – così come quelli del Tfa ordinario – potranno solo iscriversi nella II fascia (abilitati) delle graduatorie d’istituto per le supplenze (niente di nuovo, se non una precedenza sulla III fascia dei non abilitati) e partecipare ai concorsi a cattedra, se e quando saranno banditi. Ma di concorsi già non si parla più, visto che anche quello ora in dirittura d’arrivo fornirà più vincitori dei posti effettivamente disponibili: quest’anno da concorso avremo solo 6mila assunzioni in ruolo (50% del totale richiesto al Mef), contro le 7.351 cattedre previste dal bando. Uno scotto che si paga per una riforma delle pensioni che ha penalizzato pesantemente la scuola andando a sommare i suoi effetti negativi con quelli dei pesantissimi tagli degli ultimi anni; ma non solo. Non basta favorire l’accesso all’abilitazione ma, come si diceva sopra, è tutto il sistema del reclutamento che va rivisto e per farlo occorre cambiare ottica.
Di proposte sul tappeto ce ne sono molte: dal piccolo recupero di 3mila posti dei cosiddetti “quota 96” bloccati dalla Fornero ai grandi numeri ipotizzati con la formula del “semipensionamento”, un part-time tra pensione e insegnamento che libererebbe circa 100mila posti a tempo parziale; dal superamento effettivo della distinzione tra organico di diritto e organico di fatto, e quindi all’assunzione in ruolo dei 50-60mila docenti che vengono assunti con incarichi annuali su posti di fatto consolidati, all’organico pluriennale di istituto e di rete.
Sono tutte soluzioni che hanno la loro consistenza, ragioni adeguate, sono discutibili e perfezionabili, e vanno inserite nel più ampio contesto dell’intero sistema educativo del Paese. Ma affinché possano diventare soluzioni praticabili ed efficaci richiedono una decisione che è prima di tutto culturale: occorre rimettere veramente al centro delle scelte politiche di questo Paese l’educazione e la formazione delle giovani generazioni, fattore trainante dello sviluppo della persona e della società. E questa non è una decisione “tecnica”, ma della coscienza.