Da insegnante di italiano mi pongo ogni anno la domanda se e quanto far leggere i miei studenti. In particolare – soprattutto alle medie e al biennio – mi chiedo se sia meglio investire su letture lunghe e possibilmente complete, oppure se privilegiare brevi brani di antologia, secondo un’opzione tanto in voga che recita: “A scuola bisogna far leggere un po’ di tutto”. Posto che ciascun programma didattico deve essere commisurato alla propria sede di insegnamento, io vedo assai di buon occhio un lavoro di tipo narrativo, che metta a tema una lettura estensiva di un testo significativo.



Per parlar chiaro, l’anno prossimo farò leggere ancora I promessi sposi, anche se c’è chi obietta che si tratta di una lettura vecchia, difficile e poco interessante. Al di là del giudizio in merito al romanzo in sé (sul quale ho di recente trovato, tra l’altro, spunti interessanti nella raccolta di saggi Il romanzo senza idillio di Ezio Raimondi, ed. Einaudi), la questione di fondo è quali frutti apporti a uno studente di scuola l’impegno con un testo narrativo, sostenuto nell’arco di un intero anno scolastico, o comunque di più mesi.



Ho trovato una prima risposta nel romanzo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, quando il protagonista cerca aiuto presso il saggio Faber, che gli insegna il valore dei libri, l’oggetto bandito dalla società. Faber pone tre capisaldi: “Numero uno: sapete perché i libri come questo siano tanto importanti? Perché hanno sostanza. Che cosa significa in questo caso “sostanza”? Per me significa struttura, tessuto connettivo. Questo libro ha pori, ha caratteristiche sue proprie, è un libro che si potrebbe osservare al microscopio. Trovereste che c’è della vita sotto il vetrino, una vita che scorre come una fiumana in infinita profusione”. Secondo: i libri esigono “tempo di pensare”, a differenza del televisore, che “è «reale», immediato, ha dimensioni. Vi dice lui quello che dovete pensare, e ve lo dice con voce di tuono. Deve aver ragione, vi dite: sembra talmente che l’abbia!”. Terzo: i libri favoriscono il “diritto di agire in base a ciò che apprendiamo dall’influenza che le prime due [caratteristiche] possono esercitare su di noi”. Un buon libro è uno strumento che permette di addentrarsi nella vita, di conoscerla, pensarla, e provare a viverla: racchiude in sé un potenziale grandioso. Affinché un tale libro possa dischiudere le sue potenzialità occorre poi, in un contesto scolastico, che la lettura sia guidata con sapienza da chi insegna.



Entrando un poco più specificamente in merito alle opere di narrativa, ho trovato altre risposte convincenti dall’esperienza didattica e dal riscontro di alcuni studenti. Un paio di anni fa ho letto con una terza media Il buio oltre la siepe di Harper Lee, e quando a un certo punto del lavoro ho chiesto alla classe di scrivere che cosa vi trovavano di interessante, un ragazzo brillante mi ha scritto pressappoco così: “La storia è avvincente, e io voglio andare avanti a leggerla per scoprire che cosa succede”; e un’altra: “L’autrice sa descrivere i particolari in un modo meraviglioso”. Queste e simili valutazioni sono di grande peso, poiché indicano che il coinvolgimento in una lettura narrativa desta la curiosità di sapere come prosegue la storia, il che significa che chi legge – persino inconsapevolmente – ammette che gli eventi narrati hanno un senso, che portano da qualche parte, che c’è uno svolgimento e una concatenazione logica tra gli eventi. Similmente, apprezzare le pagine descrittive significa voler scoprire come sono fatti gli oggetti, le persone, i pensieri…

A tale scopo la lettura prolungata, anziché un singolo brano antologico, permette agli studenti di acclimatarsi nel testo, di prendere le misure con lo stile dell’autore, con le parole che usa, con la lunghezza d’onda dei suoi pensieri. Similmente, ho ascoltato pochi giorni fa una studentessa di liceo che ricordava un episodio dell’Iliade appreso alla scuola media; mi ha sorpreso constatare quanti nessi logici ha usato nel giro di poche frasi: “Il tale eroe, che è parente di …, fa così perché è successo questo fatto, infatti prima si racconta che … E allora i Troiani …”. In quell’occasione mi sono accorto una volta di più di quanto l’incontro con la grande narrazione (epica, romanzo) plasmi il modo di ragionare, dando forma ai pensieri e al loro ordine reciproco. Per questo sono ancora più convinto che la lettura – ben scelta e ben guidata – rappresenti un patrimonio preziosissimo e altamente formativo, che può contribuire a fondare e consolidare le categorie linguistiche, logiche, insieme al gusto per la conoscenza di ciò che è l’uomo.

Tornando a Manzoni, so bene anch’io (come ho scritto qualche tempo fa) che uno studente oggi va facilmente in crisi davanti a un capitolo dei Promessi sposi; però so altrettanto bene che, se l’effetto di straniamento è imponente a settembre, lo è molto di meno, o non lo è più affatto, verso marzo-maggio. Questo significa che – entro termini ragionevoli – è possibile far progredire un giovane nella capacità di comprendere il testo narrativo: la via è percorribile!

Non si creda, infine, che io demonizzi i racconti brevi o gli estratti antologici, di cui pure farò uso al rientro in classe. Però non mi limiterò a un anno di brani frammentari, e non ho paura di riproporre, a costo di far strabuzzare gli occhi a qualche ragazzo, quella descrizione così ben orchestrata che inizia così: “Quel ramo del lago di Como…”.