Nelle scuole superiori gli studenti promossi sono stati il 63,5% pari a un più 0,3% rispetto allo scorso anno. I bocciati – per dirla rozzamente, cioè i “non ammessi” – sono stati il 10%, pari allo 0,3% in meno. Anche qui – in numeri assoluti – vuol dire circa 30mila ragazzi. In mezzo tra queste percentuali – i promossi e i bocciati – c’è il corposo esercito di quelli “in sospensione di giudizio”, cioè i ragazzi che devono recuperare dei debiti formativi e che quest’anno sono, come lo scorso anno, il 26,5%. Andando a guardare il tipo di scuola, sono i licei ad avere il maggior numero di promossi (il 72,8%) e gli istituti professionali il numero più basso (54,9%).
Questo dato va interpretato perché è la punta di un iceberg minaccioso. Lasciamo pure la soddisfazione a chi vuole coltivarla e a chi pensa che la percentuale possa essere un segnale di alta positività della scuola. La realtà è ben diversa: a leggere questi dati viene in mente don Milani e il suo giudizio che ritorna quanto mai vero. In tempi non sospetti il prete di Barbiana diceva: “Il problema della scuola sono i ragazzi che perde”.
Oggi sono di meno, ma ancora tanti, sono troppi i ragazzi che la scuola perde! Sono stati circa il 10% i bocciati, e il 26% quelli che stanno trascorrerendo l’estate sui libri di scuola nel tentare di recuperare ciò che un anno di scuola non è riuscito ad insegnare.
Urge una domanda: come mai la scuola oggi perde ancora così tanti ragazzi? A me questa domanda interessa, e vorrei tentare di rispondervi non analizzando le ragioni di ancora tanti insuccessi, ma andando a vedere l’esperienza dei ragazzi che non si sono persi, che cosa ha permesso loro di arrivare al “successo formativo”, come dicono gli esperti, o come più semplicemente viene da dire a me, che cosa li ha portati a conoscere, ad appassionarsi a ciò che ogni mattina si fa in un’aula scolastica. I ragazzi che la scuola perde, li perde non per loro responsabilità, ma perché non li conquista, qui sta la questione seria della scuola; come sia possibile conquistare oggi un ragazzo, portarlo a vivere come una avventura che val la pena lo studio.
E’ quando c’entra con lui, quanto tocca la sua domanda di essere felice: è lì che un ragazzo non viene perso, è quando succede quel fenomeno appassionante che si chiama educazione, e accade per un incontro! Non si perdono, i ragazzi, solo là dove in una classe, in un mattina di scuola, ciò che accade è un incontro, un rapporto tra due libertà che scattano e si liberano in una avventura dove ciò che trascina è la posta in palio e cioè la conquista di se stessi.
Questo e solo questo permette di non perdere i ragazzi, l’esperienza del legame tra ciò che si insegna e ciò che il cuore desidera, che conoscere sia per la felicità. Senza questa tensione ideale del resto perché mai si dovrebbe studiare?
Bisogna prendere sul serio questo dato dei ragazzi che abbiamo perso, e non sottovalutarlo, perché sono ancora troppi. Ma il miglior modo di prenderlo sul serio è capire come dei ragazzi siano stato conquistati dalla passione di conoscere. E’ la domanda seria che un insegnante d’oggi deve porsi – chiedersi come sia successo che ciò che lui propone abbia generato una esperienza in un ragazzo, lo abbia fatto diventare protagonista del conoscere. Non basta che un insegnante proponga, ci vuole il ragazzo, la sua libertà, e quando avviene un incontro, è lì che si inizia un cammino. Stare in quel solco è il compito dell’educazione.